“Così lo Stromboli ha scatenato lo tsunami visto da Petrarca”. Il prof di Urbino racconta la ricerca

Alberto Renzulli, professore dell'università di Urbino
di Maria Pia Petraroli

URBINO – Napoli. Tardo Medioevo. Intorno alla metà del ‘300 un’onda anomala colpisce la città e tutta la zona costiera della Campania. A raccontarlo è un testimone d’eccezione, Francesco Petrarca, che nel novembre del 1343 si trovava nella città partenopea in qualità di ambasciatore di Papa Clemente VI. Ora sappiamo che quello tsunami, e altri due registrati nel Mediterraneo durante il Medioevo, arrivavano dall’eruzione dello Stromboli e dalla frana del suo versante nord-occidentale, detto anche “Sciara del Fuoco”.

A stabilirlo è la ricerca pubblicata sulla rivista Scientific Reports del gruppo editoriale di Nature, alla quale ha contribuito un professore del dipartimento di Scienze pure applicate dell’università di Urbino, Alberto Renzulli. Quello visto da Petrarca fu dunque il primo dei tre tsunami, causati tutti dallo Stromboli, che tra la metà del ‘300 e la metà del ‘400 colpirono il Mediterraneo. Le altre due onde anomale si sono riversate soltanto nelle immediate vicinanze, colpendo la stessa isola di Stromboli.

La ricerca

Lo studio è stato condotto da un’equipe di ricercatori delle Università di Pisa, di Modena-Reggio Emilia, di Urbino, dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, del Cnr e della City University of New York.

Lo Stromboli “è un vulcano a condotto aperto con attività persistente poco esplosiva – spiega Renzulli – e la sua pericolosità è relativa a ciò che può accadere sulla Sciara del Fuoco, spesso soggetta a delle frane, perché piuttosto instabile per effetto della gravità e per la spinta dei magmi”. Frane che, riversandosi in mare, possono causare onde anomale. Come quelle che si sono generate in epoca tardo medioevale.

Alberto Renzulli (di spalle), Mauro Rosi e Marco Pistolesi dell’università di Pisa (sullo sfondo a destra) in prossimità degli scavi archeologici

Per ricostruire quello che accadde all’epoca, vulcanologi e archeologi sono andati alla ricerca delle tracce lasciate dallo tsunami di metà ‘300, il più potente. Le onde, infatti, avevano eroso parte della spiaggia dell’epoca e con il loro carico di sabbia e ciottoli si erano riversate sull’isola per alcune centinaia di metri. I ricercatori, attraverso lo scavo di trincee profonde fino a tre metri, hanno quindi osservato dei depositi differenti da quelli che si formano normalmente, che invece contengono materiali piroclastici e lava (risultato delle eruzioni vulcaniche).

La testimonianza di Petrarca

Dall’isola di Stromboli l’onda di metà ‘300 si è propagata anche al largo, verso le coste della Sicilia, della Calabria e della Campania, dove l’evento fu così catastrofico che  Petrarca scrisse, in una lettera al cardinale Giovanni Colonna, di essere stato spettatore di una grande “tempesta marina” (non si parlava ancora di tsunami). “Che gruppi d’acqua! che venti! che tuoni! che orribile bombire del cielo! che orrendo terremoto! Che strepito spaventevole di mare! e che voci di tutto un sì gran popolo!” (dalle Lettere Familiares).

Il contributo di Alberto Renzulli

Il professore Renzulli racconta al Ducato che per datare gli tsunami sono stati utilizzati diversi metodi tra i quali quello del radiocarbonio su resti organici di origine vegetale, trovati al di sopra e al di sotto dei depositi di sabbia e ciottoli lasciati dall’onda anomala.

“È difficile dire quando è iniziato tutto. Chi fa una ricerca scientifica si basa su tutte le esperienze e i dati raccolti in tanti anni di lavoro. I vari gruppi coinvolti hanno messo assieme le loro conoscenze sul vulcano, sia di tipo geologico che archeologico. Una volta compresa l’importanza dell’episodio abbiamo accelerato le nostre ricerche a partire dal 2016”, aggiunge Renzulli.

Il professore di Urbino, conoscitore di Stromboli dagli anni ‘90, dice:” Oltre ad aver contribuito direttamente al lavoro di terreno e all’interpretazione dei dati raccolti, ho svolto l’importante ruolo di aver messo in contatto i colleghi vulcanologi dell’università dell’Ingv di Pisa con gli archeologi dell’università di Modena e Reggio Emilia, che si occupavano degli scavi di Stromboli già da diversi anni, stimolandoli a collaborare e condividere i dati raccolti fino ad allora per una vera ricerca interdisciplinare”.

“Tra i tanti strumenti che abbiamo utilizzato per datare gli eventi ci sono anche numerose monete coniate nel 1200-1300, una chiesetta crollata dopo la catastrofe e i laterizi, datati con il metodo della termoluminescenza”, conclude Renzulli.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra e di terze parti maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi