Nella Pink room dell’ospedale di Urbino: “Massaggi e creme di bellezza ci aiutano ad affrontare la malattia”

di FRANCESCO COFANO

URBINO – “Bello non è”. Tre parole che cambiano per sempre la vita di Nicoletta, 50 anni e madre di un figlio. Doveva essere una mammografia di routine, fatta subito dopo il lavoro in una giornata di giugno come le altre. Invece la diagnosi del medico di Fano cambia tutto. “Sono stati giorni di pianti e di preghiere, in quei momenti ho ritrovato la fede”, racconta Nicoletta nei corridoi dell’ospedale di Urbino mentre attende di rientrare nella Pink room, lo spazio dedicato all’estetica con massaggi, trattamenti estetici e consigli per il make-up nel reparto di oncologia.

I timori iniziali scompaiono e la donna si scioglie in un racconto concitato e ritmato costantemente dal gesticolare delle mani. “Segnali”. È così che Nicoletta definisce a posteriori le coincidenze drammatiche che l’hanno portata a Urbino. Scoperto il male avrebbe dovuto fare la biopsia e l’ago aspirato al presidio San Salvatore nel quartiere “Muraglia” di Pesaro. Ma il macchinario ha un guasto e l’operazione viene rinviata. Il copione si ripete una seconda volta. Ed è a quel punto che, data l’urgenza, arriva al “Santa Maria della Misericordia”.

LE VOLONTARIE – “Regaliamo sorrisi a chi ha meno fortuna”

“Sono stata operata il 24 luglio da Cesare Magalotti e ho scelto di continuare il percorso oncologico a Urbino. Il calvario della chemioterapia è finito il 14 febbraio scorso. Ora da due settimane sono alle prese con la radioterapia”, dice Nicoletta.

Rowena Coles, 69 anni, britannica di origine ma italiana di adozione dopo più di 40 anni vissuti a Urbino come ricercatrice di lingua inglese, siede composta sulla panchina della sala d’attesa con le gambe incrociate e le mani intrecciate.

Gli occhi azzurri cercano sempre quelli del suo interlocutore mentre racconta la sua storia col sorriso sul volto. “Sono sempre stata attenta alla prevenzione, facevo regolarmente screening ma non è bastato. Ho scoperto il nodulo al seno esattamente un anno fa, era il sabato di Pasqua”. I racconti di Nicoletta e Rowena sono scanditi dalla stessa geometria: giorni, date, visite e interventi restano scolpiti nella memoria.

Rowena a colloquio con l’estetista

La Pink room, una stanza tutta rosa

Per entrambe quello di lunedì 2 aprile è il primo appuntamento nella Pink room, conosciuta durante i mesi di chemio anche attraverso i consigli chiesti alle infermiere. All’appuntamento, le due donne vengono accolte dall’estetista in una stanza illuminata da due ampie finestre con pareti rosa. Dello stesso colore sono le sedie, il tappeto ai piedi del lettino e l’attaccapanni, quasi a voler ribadire la femminilità ritrovata nella camera.

Quando Rowena chiede il perché di un’espressione inglese, pink room, l’estetista Eleonora Bicchiarelli risponde che “deve essere tutto armonioso ma allo stesso tempo sprint e frizzante già a partire dal nome. L’italiano avrebbe avuto un suono troppo piatto”. Tra quelle mura ogni cosa appare sobria e curata nei dettagli: dal lettino, su cui le donne si stendono per ricevere un massaggio al corpo o al viso, al tavolo pieno di creme idratanti e trucchi per la pelle, tutto dentro un cestino rigorosamente rosa.

Appesi alla parete tre specchi rotondi riflettono la sagoma di un armadio. Su un ripiano, tra i tanti libri, c’è Insieme in volo legate alla vita, una raccolta di testimonianze delle donne che hanno vinto la loro battaglia contro il tumore al seno.

La solitudine e l’importanza della famiglia

Messaggi che portano speranza, come quello che trasmette Rowena che ha alle sue spalle quasi un anno di terapie e controlli continui. “A fine maggio mi sono operata e non c’è stato alcun problema. Sono riuscita a superare i sei mesi successivi di chemio anche per merito della gentilezza e alla professionalità degli infermieri. Non mi sono mai vergognata di avere un tumore: parlarne è terapeutico, crea solidarietà intorno a te. Se lo si tiene per sé, si soffre e spesso si è costretti a mentire. Io sono positiva per natura e anche la mia famiglia è stata importante perché non mi ha mai trattato come una malata”, afferma.

Famiglia che ha un ruolo centrale anche nella vicenda di Nicoletta. “Quando ti arrivano i messaggi, molti ti chiedono come stai ma in pochi si preoccupano di ciò di cui hai bisogno perché sono situazioni che devi vivere per capirle davvero. Per fortuna mio marito è stato sempre presente anche nelle piccole cose quotidiane nonostante gli impegni di lavoro”.

Le settimane successive alla fine della chemio sono sempre le più difficili. Le infermiere che ti seguivano fino a qualche giorno prima non ci sono più. Si resta sole con il terrore che la malattia si ripresenti. Per questo strutture come la Pink Room sono essenziali per riprendere confidenza col proprio corpo, a partire dalle piccole attenzioni quotidiane.

“L’estetista mi ha fatto un massaggio rilassante e mi ha spiegato quali creme usare per il viso, perché la terapia ti rovina la pelle”, spiega Nicoletta. Rowena, invece, sceglie il trattamento per le sopracciglia. Per i capelli preferisce affidarsi alla parrucchiera di fiducia.

La pink room all’interno dell’ospedale di Urbino

La perdita dei capelli, un momento traumatico

Proprio la perdita dei capelli è uno dei momenti più dolorosi della terapia. “Lo sai bene e lo metti in conto ma il trauma resta inciso nella mente. Dopo la prima chemio cominciano a caderti e in ospedale ti consigliano di tagliarli per rendere meno doloroso il momento”, racconta Nicoletta.

“Quando mi sono accorta che passando le dita sulla testa mi ritrovavo con le ciocche in mano, ho deciso di andare a Fermignano a tagliarli. Quel giorno nel salone non c’era nessun altro e ricordo di aver provato a entrare diverse volte, senza trovare la forza di varcare la soglia. Alla fine mi sono decisa ma mi sono fatta rasare senza guardarmi allo specchio”.

Rowena alle parrucche preferisce i copricapi, ne ha di tutti i tipi. Perdere i capelli per lei non è stata un’esperienza così terribile. “Quando una settimana fa mio nipote mi ha detto che vedermi con i capelli così corti non era un problema, è stato un momento liberatorio per me”, spiega, “ma se fossi stata più giovane sarei stato malissimo anche io”.

Avere a disposizione estetiste altamente qualificate che come volontarie dedicano il proprio tempo alle donne malate cambia la prospettiva. “Uno spazio come la Pink Room è importante anche dal punto di vista psicologico”, afferma Rowena. “Essere seguiti e coccolati aiuta a essere più positivi”.

Nicoletta e Rowena hanno una cosa in comune: continuano a guardare avanti nonostante le difficoltà del percorso. Nicoletta segue convegni su salute e alimentazione perché “la prevenzione è essenziale”, spiega. Mentre Rowena non si lascia frenare dalla pensione e continua a offrire la sua collaborazione ad alcuni progetti dell’università di Urbino.

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