Un marchigiano povero su 10 ha chiesto il Reddito di cittadinanza. Gli esperti: “Sarebbe meglio garantire servizi”

di VALERIO SFORNA

URBINO –  A due mesi dal varo del Reddito di cittadinanza è tempo di un primo bilancio per uno dei pilastri dell’agenda dell’attuale maggioranza di governo, soprattutto per il Movimento 5 stelle. L’Inps ha diffuso i dati riguardanti le richieste arrivate da quando il nuovo sussidio è in vigore, cioè dal 6 marzo 2019, fino al 30 aprile.  Più di un milione di domande, di cui la maggior parte al Centro e al Sud.

Le Marche con 19.473 richieste si piazzano al quattordicesimo posto. Il podio, in termini assoluti, è appannaggio della Campania (172.175 domande), della Sicilia (161.383) e della Lombardia (di molto sotto con 90.296 richieste).

Nella provincia di Pesaro e Urbino le richieste sono 4.321, di cui l’80% fatte presso i Caf (3.422 domande), il 18% negli uffici postali (783) e il restante 2% attraverso l’identità digitale Spid (67) e presso i patronati (49). Tra i richiedenti nella provincia, 2535 sono donne (il 59% del totale) e 1786 uomini (41%).

Numeri che da soli vogliono dire ben poco e che è difficile confrontare con misure precedenti, come il Rei (Reddito d’inclusione). Altro problema è l’inesistenza di dati chiari circa la platea dei beneficiari della misura, numeri su cui ad esempio il governo e l’Istat si sono scontrati.

Confrontare i numeri a dati certi risulta però necessario per capire se il Reddito di cittadinanza sia uno strumento idoneo a combattere la povertà e far ripartire i consumi, così come affermato dall’esecutivo.

Uno strumento utile a un ‘povero’ su 10

Per orientarci, siamo partiti dai dati certi sulla povertà che l’Istat mette a disposizione. Secondo il report ‘La povertà in Italia’ del 2017 (ultimo disponibile) nel nostro Paese ci sono più di un milione e mezzo di famiglie in stato di povertà assoluta, per un totale di 5 milioni di individui.

Ma cosa vuol dire povertà assoluta. Una famiglia è “assolutamente povera” se sostiene una spesa mensile per consumi pari o inferiore ad una soglia detta appunto di povertà assoluta. Questa soglia non ha un valore monetario ma varia secondo alcuni criteri come numero dei componenti del nucleo familiare, zona geografica di residenza e grandezza del comune. A Urbino ad esempio, per una coppia tra i 30 e i 40 anni senza figli a carico, è di 980 euro.

Il dossier quindi, data la volatilità del valore,  non contiene i dati sulla povertà assoluta suddivisi per regione e quindi non può essere utilizzato per confrontare i dati del Reddito di cittadinanza.

È quindi necessario scorrere il report di qualche pagina e ‘accontentarsi’ dei numeri sulla povertà relativa, un valore medio che invece vale per tutto il territorio nazionale. Nel 2017, la linea di povertà relativa è risultata pari a 1085 euro.

Quanti sono i “poveri relativi”: circa 3 milioni di famiglie per un totale di 9 milioni di persone. Nelle Marche sono il 12,4% della popolazione, circa 190mila. Ma attenzione: il Reddito non è dato solo su base economica, ma anche escludendo proprietari di casa o famiglie straniere, tanto che le stime del M5s parlavano di una platea potenziale di 134mila individui. Usando questo numero come base di calcolo però possiamo vedere come il Rdc interessa le famiglie regione per regione.

Le 19mila richieste marchigiane corrispondono al 10,2% dei poveri relativi della regione: quindi, 1 marchigiano “relativamente povero” su 10 ha fatto richiesta di reddito di cittadinanza.

Un dato quello delle Marche in linea con la media nazionale (10,8%) ma inferiore a quello delle regioni vicine: Emilia-Romagna (al primo posto con il 17,2%) e Toscana (16,1%).

Quello che sorprende è che le regioni con più persone sotto la soglia di povertà relativa e ai primi posti per richieste di Rdc hanno alcuni dei più bassi tassi di richieste su numero di poveri ( in Calabria, Sardegna e Puglia meno di un “povero” su dieci ha fatto richiesta). “Questo vuol dire due cose – spiega Giuseppe Travaglini, docente di Politica economica all’Università di Urbino – la prima è che molte famiglie hanno avuto delle difficoltà nel completare le procedure formali. La seconda, quella meno bonaria, è che nei calcoli della povertà c’è una zona grigia in cui si annida l’evasione e il non dichiarato. Fare richiesta di Rdc significa assumersi delle responsabilità, permettere accertamenti e controlli e molti poveri o presunti tali non hanno fatto richiesta”.

Rdc e povertà: i dubbi degli esperti

Ma il Rdc è un buono strumento per abbattere la povertà? Il professor Travaglini è chiaro: “Esistono due strade, la prima è quella dei trasferimenti monetari diretti come ad esempio il Rei o il Rdc, e io sono abbastanza critico verso queste tipologie di soluzioni. La seconda strada, quella dell’erogazione di servizi, è per me la migliore. Si decidono i settori che possono essere ad esempio quelli dell’infanzia (asili nido), dell’assistenza, e le persone in difficoltà possono usufruirne. Attraverso l’erogazione di servizi sociali, pubblici – dice Travaglini – lo Stato risparmia denaro e mantiene sempre il controllo della spesa e della destinazione d’uso della stessa, cosa che con il Rdc non accade”.

Il presidente dell’Acli Marche, il sociologo Maurizio Tomassini, non ha dubbi: “Il provvedimento non è riuscito a intercettare le situazioni di disagio più grave e i giovani, i grandi assenti dei dati pubblicati dall’Inps. Noi in quanto Acli, tra i fondatori dell’Alleanza contro la povertà, abbiamo una posizione netta sul Rdc: riteniamo che le risorse messe in campo, le più ingenti mai viste prima siano qualcosa di positivo ma il provvedimento è stato scritto in fretta, senza riflettere, anche a causa delle imminenti scadenze elettorali per le Europee”.

“Il Rdc è un ibrido – continua Tomassini – tra una misura di contrasto alla povertà e uno strumento di politiche attive per il lavoro che potrebbe portare al paradosso che nessuno degli obiettivi venga in concreto realizzato.  Ad esempio, il governo è molto indietro con l’assunzione dei navigator, considerati parte integrante dello strumento. Questo è accaduto perché non si è saputo e non si è voluto dialogare con le realtà del terzo settore, più vicine alle persone ai loro bisogni e alle loro esigenze”.

Conclude Tomassini: “Ci aspettavamo un numero maggiore di richieste per le Marche vista anche l’ampia sponsorizzazione che il provvedimento ha avuto, ma i numerosi ‘paletti’ inseriti dal governo hanno dissuaso molte persone dal presentare la domanda”.

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