Salvini sposa il ‘modello Marche’ nella guerra alla cannabis light. E i giudici dibattono su una legge ‘fumosa’

Di VALERIO SFORNA

URBINO – Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, aveva usato toni belligeranti: “Farò la guerra ai negozi di cannabis light“. Un giorno dopo, mentre il ministro annuncia una direttiva sulla chiusura dei negozi, il questore di Macerata, Antonio Pignataro – da sempre su posizioni contrarie ai cannabis shop – ordina la chiusura di due negozi a Civitanova Marche (le saracinesche sono state abbassate perché dai controlli sono emersi valori di Thc superiori a quelli consentiti).

“Alle tante mamme che soffrono per i loro figli che fanno uso di cannabis avevo promesso che avrei chiuso tutti i negozi di cannabis legale, oggi ho onorato la mia promessa”, ha spiegato il questore in un comunicato.

Intanto il leader della Lega dal palco di Pesaro in un comizio ringrazia: “Sono grato alle forze dell’ordine e la magistratura perché è in corso la chiusura di alcuni cannabis shop nel maceratese”. Salvini esalta il ‘modello Marche’, come esempio da seguire per arginare lo spaccio, lasciando sorgere seri dubbi  anche nell’alleato di governo, Luigi Di Maio, se ormai combattere la droga sia diventato far chiudere i cannabis shop legali oppure le piazze di spaccio.

La direttiva ‘Salvini’

In seguito alle chiusure marchigiane è arrivata la tanto attesa direttiva, che a sorpresa non prevede nessuna serrata. Paletti più stretti e maggiori controlli emergono dalla lettura del documento diffuso in serata dal Viminale. Il provvedimento sottolinea come “dovrà essere innanzitutto disposta una puntuale ricognizione di tutti gli esercizi e le rivendite presenti sul territorio”. Nei controlli “una cura particolare dovrà riguardare la verifica del possesso delle certificazioni su igiene e sicurezza”. Novità importante, invece, per quanto riguarda la localizzazione degli esercizi commerciali, “con riferimento alla presenza nelle vicinanze di luoghi sensibili quanto al rischio di consumo delle sostanze, come le scuole, gli ospedali e più in generale, i luoghi affollati e di maggiore aggregazione, soprattutto giovanile”.

Una stretta sui requisiti e un attento monitoraggio sulle vendite delle “inflorescenze” nei cannabis shop, affinché non superino le quantità considerate dannose dal punto di vista della salute, ma della chiusura nessuna traccia.

Il clima creato in questi giorni, intorno al tema della canapa light, però, preoccupa e non poco i commercianti, che con la vendita di questi prodotti ci vivono. Anche a Urbino, ci sono tre negozi di questo tipo, e gli affari sembrano funzionare.

La presa di posizione di Salvini, in realtà, è solo l’ultimo episodio di una situazione piuttosto confusa, che attende da almeno tre anni una legislazione risolutiva e puntuale. Cerchiamo di fare chiarezza per capire il sottile confine tra il lecito e l’illecito, provando a tirare al pettine tutti i nodi della canapa.

La legge n. 242 del 2016

Dal 2016 produrre e vendere cannabis light in Italia è legale, anche se manca un quadro normativo chiaro.

È la legge numero 242  che ha reso lecita la produzione e la commercializzazione della canapa con basso contenuto di Thc. Ma cosa significa basso contenuto di Thc? Qui abbiamo già il primo problema perché la norma dice che è legale la produzione di cannabis con un contenuto di Thc non superiore allo 0,2%. La legge però prevede un margine di tolleranza fino allo 0,6%.  Quindi se il  Thc supera lo 0,2%, ma rientra comunque nel limite dello 0,6%, l’agricoltore o il venditore sono sollevati da ogni tipo di responsabilità penale. Oltre lo 0,6% l’autorità giudiziaria procede al sequestro e alla distruzione della marijuana.

Gli utilizzi consentiti

La legge consente l’utilizzo della cannabis “depotenziata” nei seguenti ambiti:

  • Alimentare: i semi possono essere impiegati come ingredienti per preparare torte, pane, biscotti ecc.;
  • Cosmetico: nella preparazione di oli e creme;
  • Tessile: le fibre della canapa, tra le più resistenti in natura, sono utilizzate nel settore dell’abbigliamento;
  • Edilizio: visto l’alto potere isolante la canapa sta riscuotendo un notevole successo nel settore della bioedilizia.

Produzione e vendita della marijuana legale

La canapa può essere coltivata, distribuita e venduta senza autorizzazioni particolari se non quelle necessarie per qualunque esercizio commerciale. Le uniche condizioni sono: il divieto di importazione di varietà non previste dal catalogo europeo allegato alla legge 242; la vendita è libera ma l’uso è vincolato ai soli casi previsti dalla legge 242.

Per queste ragioni si è passati da 400 ettari di terreno coltivati a canapa nel 2013, ai 4.000 ettari del 2018. Oltre 2.000 punti vendita e un fatturato che secondo le stime potrebbe superare  i 40 milioni di euro all’anno.

La cannabis light non si può fumare

I fiori della canapa sono quelli che di solito vengono fumati, ma la legge  242 non prevede l’uso personale ricreativo tra quelli consentiti – come lo stesso Salvini non manca di ricordare nella direttiva emessa.

La questione più dibattuta è infatti proprio quella riguardante la vendita dei fiori di canapa. Il primo ad esporsi in materia è stato il Consiglio superiore di sanità che in un parere, richiesto dal Ministero della salute nel febbraio 2018, ha detto: “Non può essere esclusa la pericolosità dei prodotti contenenti infiorescenze di canapa. Si raccomanda perciò che siano attivate nell’interesse della salute individuale e pubblica misure atte a non consentire la vendita”.

Per questo motivo la terza sezione della Cassazione, con una sentenza del 6 dicembre 2018, aveva vietato la libera vendita dei fiori di marijuana. Questo aveva portato alla chiusura di molti cannabis shop e al sequestro di ingenti quantità di canapa depotenziata.

Molte le proteste:. Dei consumatori, perché i fiori non vengono solo fumati ma possono essere anche utilizzati per infusi, e dei negozianti, che avevano, nel silenzio della legge, commercializzato non solo prodotti a base di canapa ma anche fiori, investendo denaro nelle attività.

La cannabis light si può fumare

La sesta sezione della Cassazione, con la sentenza n. 4920 del 31 gennaio 2019, ha però sparigliato le carte. La Corte ha annullato senza rinvio il sequestro disposto dal riesame di Macerata nei confronti di un 28enne, che aveva messo in commercio fiori di cannabis: “La liceità della vendita delle inflorescenze con percentuale di Thc entro lo 0,6% è un corollario logico-giuridico della liceità della coltivazione, permessa e promossa dalla legge 242. Non va, quindi, considerata sostanza stupefacente soggetta alla legge sulle droghe”.

Sempre il questore di Macerata, Antonio Pignataro,  ha però criticato il cambio di linea. Secondo lui: “Vendere la sostanza che poi viene fumata, con qualsiasi livello di Thc, è illegale”.

A febbraio, la quarta sezione della Cassazione ha rimesso la questione della vendita dei fiori della cannabis sativa depotenziata alle sezioni unite della Corte stessa. In Italia infatti solo le sezioni unite della Corte, quale organo supremo della giustizia, hanno il potere di assicurare l’uniforme interpretazione della legge, soprattutto nei casi di conflitto tra le diverse sezioni.

La sentenza è attesa per il 30 maggio e in molti si augurano che possa finalmente togliere l’alone di incertezza che circonda la materia.

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