Francesca Mannocchi: “Ho intervistato un jihadista con la maglia Marvel. Il viaggio è scoprire l’inaspettato”

Francesca Mannocchi
di LUCA GASPERONI

PESARO – A volte viaggiare significa scoprire che quello che ci si aspetta di trovare non c’è, che le cose sono diverse da come immaginate. “La realtà si decodifica con lo stupore di non aver capito niente”, dice la giornalista e scrittrice Francesca Mannocchi, oggi sul palco del teatro Rossini di Pesaro per parlare della narrazione di viaggio al Festival del Giornalismo culturale.

“La prima volta che sono entrato in una prigione a Mosul per intervistare un jihadista ho incontrato un ragazzo normale: maglietta Marvel, barba corta, niente kefiah, le mani pulite – racconta Mannocchi, autrice di numerosi reportage in Medioriente tra Iraq, Siria, Libia e Yemen – Non aveva l’ombra di uno stigma, non era adatto alla mia narrazione. Questo mi ha fatto capire i preconcetti che avevo, non trovavo in lui il monolite nero che ci eravamo raccontati”.

Nessuno è disposto ad accettare che un ragazzo che vuole diventare martire di Allah possa avere istanze sociali simili alle nostre. Preconcetti e pregiudizi allontanano dalla verità, specialmente in viaggio: non ci sono ruoli ben definiti, né certezze a cui appoggiarsi. “Non abbiamo paura delle cose distanti da noi, ma di realizzare di essere vicini: una posizione difficile perché richiede di ribaltare il paradigma del racconto, non cercare un elemento di stortura ma riconoscere i punti di vicinanza”, spiega Mannocchi.

La reporter, da sempre attiva sul tema delle migrazioni, ha scritto proprio quest’anno un libro sui viaggi della speranza in Libia e lo ha fatto a suo modo, uscendo da un punto di vista convenzionale: non concentrandosi sui migranti ma sui trafficanti, non bollandoli come colpevoli ‘a prescindere’ ma indagando la loro posizione. In Io Khaled vendo uomini e sono innocente la scrittrice infatti dà voce al colpevole ‘designato’ per spiegare i motivi e le cause della propria scelta. La storia di Khaled si intreccia con i grandi eventi libici degli ultimi anni (come la caduta di Gheddafi), il difficile rapporto con il padre, le pressioni delle milizie e un’ammissione inaspettata di innocenza.

“La realtà ha molte facce: spesso ha il volto di quello non ci aspettavamo assolutamente di trovare”, dice Mannocchi che l’ha sperimentata sulla propria pelle anche nell’ultimo viaggio in Yemen. “Mi aspettavo di trovare un popolo in ginocchio, affamato e invece ho trovato il mercato pieno di persone che compravano, la mia storia non esisteva. Ecco questo è il primo panico del narratore: la storia che cercavo non c’è”. La soluzione per la scrittrice è abbandonare le proprie certezze e i propri giudizi, avere nuovi occhi, “Ogni viaggio deve prevedere un solo elemento: sapersi stupire dei nostri errori prima di sbattere contro la realtà”.

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