Gli strumenti di Google per raccontare il viaggio. Attene: “Nelle redazioni serve il coraggio di sperimentare” – VIDEO

Clara Attene
di LINDA CAGLIONI

FANO – Viaggio chiama narrazione. E alla narrazione di viaggio servono gli strumenti giusti per raccontare. Alla MeMo Mediateca Montanari, durante il workshop “Tracce digitali. Gli strumenti di Google per il giornalismo di viaggio”,  la giornalista Clara Attene ha illustrato in che modo nella rete si possono trovare risorse preziose per arricchire articoli, servizi e reportage. È intervenuta al Festival del giornalismo culturale nei panni che veste dallo scorso aprile, quelli di “Google News Lab Teaching Fellow”. Ossia una figura ideata dall’azienda statunitense per spargere il verbo del buon utilizzo di strumenti digitali. Ex allieva dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino, co-fondatrice della startup Viz&Chips, specializzata nella produzione di giochi basati sui dati e visualizzazioni interattive per editoria e imprese, Attene è da anni esperta dei meccanismi e delle dure leggi che sottendono il mondo della rete.

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Google News Lab Teaching fellow. Che significa?

Guido i giornalisti nell’utilizzo degli strumenti di Google. Lo faccio per conto del Google News Lab, che è il team che all’interno della Google News Initiative si occupa di fare formazione nel mondo dell’informazione. Oltre a me ci sono una ventina di altri giornalisti sparsi in tutto il mondo. Tra cui Australia, Giappone, Brasile, Stati Uniti.

Quando hai unito la passione per la tecnologia a quella per il giornalismo?

Ai tempi delle superiori ho cominciato a dedicarmi al giornalismo sportivo, andavo allo stadio a vedere la partita appena potevo. Anche l’informatica è un interesse che ho sempre coltivato, ricordo ancora di aver costretto i miei genitoti a fare l’abbonamento a Tiscali, che è stato il primo provider internet gratuito. C’era ancora il modem a 56k. In quegli anni ho cominciato a giocare da autodidatta, ed è una cosa che continuo a fare quando trovo un nuovo programma.

Quando hai intrecciato per la prima volta giornalismo e informatica?

Ho concluso il biennio alla scuola di giornalismo di Urbino 11 anni fa. In occasione del progetto finale, ho usato Dreamweaver. Su quella piattaforma ho raccontato la mia esperienza al museo tattile Omero di Ancona, dove avevo fatto la visita guidata con una benda sugli occhi, accompagnata dalla signora ipovedente che gestiva la struttura. Dreamweaver mi è servito per creare un sito internet in cui riportavo l’esperienza. Mi è capitato di rivedere quella pagina qualche tempo fa. E mi ha fatto sorridere.

A che punto è l’Italia rispetto alla cultura degli strumenti digitali?

Il nostro Paese conferma che c’è bisogno di diffondere la cultura tecnologica, sia di base che più specifica. La cosa positiva è che nei corsi che tengo noto che c’è molto interesse, sia da parte di persone che non hanno la minima esperienza nel settore, sia in quelle che invece maneggiano un po’ gli sturmenti e vogliono capirne di più.

Qual è la domanda che fanno più di freqeunte durante i workshop?

I giornalisti vogliono più chiarezza sulla ricerca avanzata di Google. Anche se se ne parla da anni, molti la usano in maniera istintiva, inseriscono le parole e vedono il risultato. Invece ci sono strumenti che permettono di raffinare la ricerca. Ma ci sono anche domande più specifiche, da chi è un po’ più esperto, che possono essere molto tecniche, come “Quanto pesa lo script della visualizzazione su Flourish“?

Frequentare i corsi è sufficiente per sopperire a queste lacune?

Da un lato fare formazione può colmarle. Ma dall’altro, occorre maturare un approccio in cui non si abbia più paura di sbagliare, di sperimentare nuovi programmi. Ormai tutto il mondo digitale ha ricadute sulla vita quotidiana, esplorare quello che può dare la rete è fondamentale. Anche perché la maggior parte delle risorse ha anche una versione gratuita. Per le redazioni si tratta solo di aver il coraggio di fare un investimento in termini di tempo di apprendimento e di risorse umane. Ma non ci sono costi economici da affrontare. Uno degli obiettivi di Google News Lab è proprio quello di far conoscere gli strumenti tecnologici meno conosciuti. In Italia siamo ancora molto ancorati al concetto di semplice “sperimentazione”, mentre tutta questa tecnologia è già molto presente nella nostra attività e nella nostra vita per cui potrebbe essere il momento giusto per far diventare strutturale l’uso di questi strumenti.

E all’estero invece?

In Olanda e in alcuni paesi scandinavi si usano regolarmente strumenti molto avanzati, in alcune redazioni sperimentano l’intelligenza artificiale. Essere formati con questi strumenti signigfica conoscerne pregi e difetti. Un giornalista può anche scoprire che quello strumento non fa al caso suo, ma farsi una cultura è importante, perché noi subiamo quel che non conosciamo.

Viaggio e data journalism. In che modo secondo te gli strumenti di Google possono arricchire un reportage?

Gli strumenti più preziosi, nel caso del reportage di viaggio, sono le mappe. Penso a MyMaps, a Street View, a Earth Studio, a Google earth. Modi attraverso cui si sfruttando immagini satellitari o ricostruzioni in 3D per raccontare i luoghi che si stanno visitando.

C’è un progetto che ritieni esemplare quando parliamo di giornalismo e strumenti di Google?

L’Abc è una emittente australiana che ha realizzato un ottimo servizio sull’Everest attraverso Earth Studio. I box con le foto e con il testo sono corredati da immagini che mostrano il percorso che si fa per scalare il monte. Il lavoro è relativamente semplice. L’unico sforzo richiesto è la voglia di applicarcisi per familiarizzare con lo strumento.

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