Si vendono mascherine, ma si mangia cinese. Coronavirus a Urbino tra timori e ironia

di MARIA PIA PETRAROLI e NICCOLÒ SEVERINI

URBINO – C’è ma non si vede. Ma forse non c’è. La preoccupazione per il Coronavirus sembra prendere forma nelle farmacie del centro, dove mascherine e flaconi di Amuchina a disposizione sono già finiti, ma non nelle strade, dove invece le mascherine non si vedono. Eppure qualche studentessa cinese percepisce commenti e sguardi sgradevoli, ma l’unico ristoratore cinese del centro assicura che in questi giorni non è entrato nessun cliente in meno. E alla notizia data in esclusiva dal nostro sito, proprio sulla vendita delle mascherine, i commenti – lontanissimi dall’aria di odio che circola in questi giorni sui social – sono per lo più ironici e quasi divertiti.

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Carnevale in anticipo

Saranno venti, al massimo trenta, le mascherine che si vendono in un intero anno a Urbino assicurano i farmacisti. Ma dalla settimana scorsa è stato un boom, quasi come se fosse l’ultimo capo firmato o la moda del momento, tanto che sotto al post Facebook del Ducato parlano già di Carnevale in maniera ironica. “Di solito ne teniamo due o tre di scorta – racconta Antonio Lamedica, titolare dell’omonima farmacia – nell’ultima settimana ce le chiedevano tutti così le abbiamo ordinate: venerdì mattina ne abbiamo finite 50 in mezz’ora”. Ma gli acquirenti di questi oggetti diventati introvabili non si vedono in città.

Dalla farmacia Ricciarelli raccontano la stessa cosa: “Abbiamo richiamato il fornitore ma le ha terminate”. Rincara la dose la farmacia Comunale: “Siamo arrivati a telefonare ai produttori ma non ne hanno più”. La psicosi nazionale da mascherina è arrivata anche qui? Non sembra esattamente così, ma preoccupazione sì. I farmacisti sono quasi attoniti quando arrivano clienti che le cercano. Clienti di tutte le età: ragazzi, adulti e anziani. “I ragazzi ‘giustificano’ l’acquisto per andare negli aeroporti o in viaggio (come da disposizione di indirizzo nazionale, ndr) perché costretti”, spiegano congiunti i farmacisti. Altrimenti, sono i ragazzi che frequentano l’Accademia delle Belle Arti di Urbino o l’Istituto superiore per le industrie artistiche (Isia) che le utilizzano per ripararsi quando lavorano con vernici o altri prodotti potenzialmente tossici all’inalazione.

“Quando esco metto le cuffie per non sentire commenti negativi”

Si sente offesa e arrabbiata Felicia Jiang, 23 anni ed ex studentessa cinese dell’Accademia di Belle Arti, che per via della sua provenienza ha vissuti nei giorni scorsi episodi spiacevoli. Proprio a Urbino, la città che – come lei stessa racconta al Ducato –  per tre anni è stata la sua seconda casa e dove ha conosciuto la sua seconda famiglia. “Ero per strada, quando un gruppo di cinque persone, tutti adulti, ha iniziato a guardarmi insistentemente e a ripetere: ‘Guarda, c’è un cinese!'”.

“Hanno iniziato a fissarmi solo per via della mia faccia – dice Felicia – poi due di loro si sono coperti il viso col cappotto. Ci sono rimasta male, però ho deciso di non rimanere zitta. Ho risposto: ‘Sì, sono cinese, ma sono sana’. A quel punto uno di loro ha iniziato a ridere e dopo se ne sono andati”.

Felicia Jiang

La ragazza, tornata a Urbino solo per pochi giorni (adesso frequenta un master in Olanda e poi partirà per l’Irlanda del Nord), racconta che non ha più tanta voglia di uscire di casa dopo l’episodio: “Ora metto sempre le cuffie quando sono per strada, perché capisco l’italiano e mi farebbe male sentire dei commenti negativi contro di me”. Felicia però spiega anche che di tutte le persone incontrate in centro in questi giorni, poche sono quelle che l’hanno fissata o che le hanno rivolto commenti.

La sua famiglia è rimasta in Cina, nella provincia di Jiangsu, vicino a Shangai. “Restano a casa volontariamente per proteggersi, ma sono piuttosto tranquilli”, racconta ancora la studentessa.
La paura da Coronavirus si è fatta sentire anche in uno degli alberghi del centro. Nell’hotel “Italia” infatti – come dice al Ducato la titolare della struttura Maddalena Monteboni – è arrivata qualche giorno fa una prenotazione, ma al telefono una delle prime domande fatte al receptionist è stata: “Ci sono cinesi?”.

Bacchette sempre alla bocca

Questo “allarme” non placa la fame. Gli involtini primavera e i ravioli al vapore continuano a essere gli sfizi. L’unico ristorante di cucina cinese e giapponese della città, Zhong Yi non ha avuto alcun problema ed è perfettamente in media con i clienti, ci ha spiegato Lucia co-titolare del locale. Ma ci ha tenuto a precisare che loro non tornano in Cina da cinque anni e i prodotti usati nelle preparazioni sono esclusivamente italiani, come a non voler dar adito a sospetti e i suoi genitori abitano nelle campagne di Qinghai a quasi 1.800 chilometri da Whuan, città dove è esplosa l’epidemia di Coronavirus.

L’insegna del ristorante cinese di Urbino: Zhong Ly

In caso di sospetto virus, cosa accade?

Se una persona si sentisse male, con febbre alta, dolori intestinali e alla testa e avesse paura di covare il Coronavirus può rivolgersi all’ospedale di Urbino che provvederà ad indirizzare il paziente verso il reparto di infettivologia più vicino a livello regionale, probabilmente Ancona per le Marche, fanno sapere dall’ufficio stampa del ministero della Salute. Se si dovesse accertare un caso di malattia, il contagiato sarebbe trasferito all’istituto Spallanzani di Roma, il centro dove hanno isolato il virus, o all’ospedale Luigi Sacco di Milano.

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