“Mi chiami chirurgo, non signorina”. La rivincita delle donne in sala operatoria

di CHIARA UGOLINI e CLARISSA CANCELLI

Il mondo della chirurgia sta cambiando. Di anno in anno le dottoresse in sala operatoria non fanno che aumentare, sperimentando anche quelle specializzazioni che sembravano loro precluse. Ma la chirurgia non è ancora un ambiente per donne. Lo dimostrano i numeri degli anni passati, e non solo. Gli episodi di maschilismo, nella scelta di chi tiene il bisturi o a chi destinare un contratto di lavoro, continuano a scoraggiare le giovani dottoresse.

“BRAVA, MA FEMMINA”– CERTI BISTURI SONO PIU’ ROSA 
CAMBIO DI CAMICE  – ANCHE LE REGIONI DISCRIMINANO 
L’ISOLA DELLE DONNE CHE OPERANO E L’ALTRA CHE LE IGNORA
WOMEN IN SURGERY, L’ASSOCIAZIONE CHE UNISCE LE CHIRURGHE 
PARERI CONTRASTANTI

Per tracciare il percorso accademico e lavorativo delle donne in medicina, osservare negli anni quali sono le specializzazioni scelte maggiormente e verificare se davvero le sale operatorie sono così maschiliste come sembrano, abbiamo chiesto alla Federazione nazionale degli ordini dei medici e chirurghi (Fnomceo) quante sono le donne iscritte nei 106 Ordini provinciali, (iscrizione che avviene a seconda di dove si lavora o si risiede). Dai numeri vediamo che in Italia nel 2019 le donne iscritte sono il 42% e che in cinque anni sono aumentate del 2%.

“È impossibile – è la sintesi della risposta degli Ordini – sapere e quantificare, però, quale specializzazione esercitano gli iscritti. Alcuni hanno conseguito più specializzazioni. Altri, oltre ad essere iscritti nell’albo dei Medici e chirurghi, sono anche in quello degli Odontoiatri. Nell’albo, poi, non c’è una distinzione tra medici e chirurghi stessi”.

Se i dati della Federazione, quindi, non ci permettono di fare un focus sulle sale operatorie, ci danno però la visione di insieme. Dal 1998 al 2018 non c’è stato un anno in cui non venissero ammesse più donne che uomini all’Esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione medica, accessibile dopo la laurea in Medicina e chirurgia (la percentuale massima nel 2008 con il 63% di donne abilitate).

Maggioranza femminile che si riafferma anche nell’iscrizione all’Ordine dei medici e chirurghi, ma solo negli ultimi anni. Dai dati del 2019, notiamo che la quota rosa supera il 50% dai 25 ai 54 anni, e oltre il 60% tra i 35 e i 44 anni. A dimostrazione che negli ultimi 30 anni sono e sono state più le donne che gli uomini a intraprendere la carriera sanitaria. Dai 55 ai 75 invece la situazione è completamente opposta: a prescindere dall’area medica, chirurgica o clinica, gli uomini iscritti sono molti di più. È quindi azzeccata l’immagine dell’uomo brizzolato in camice piuttosto che una donna, la cui percentuale scende velocemente dopo i 55 anni, fino ad arrivare al 14% nella fascia d’età minore o uguale ai 75 anni.

Per cercare di capire quante sono le donne che tengono in mano il bisturi (dato che solo i singoli ospedali hanno) abbiamo utilizzato i dati forniti dal Ministero dell’Università sugli iscritti alle specializzazioni, dato disponibile dal 1998 al 2019. Si tratta di un punto di partenza, perché essere specializzati in chirurgia non significa obbligatoriamente vivere dentro la sala operatoria per il resto della propria vita. Questi numeri ci permettono però di sapere quante sono state, in questi ultimi vent’anni, le donne che hanno intrapreso le specializzazioni e in caso osservare se qualcosa è cambiato o sta cambiando.

Al momento della scelta della specializzazione sono tre le vie percorribili. Negli anni analizzati è abbastanza chiara la preferenza delle donne a intraprendere, nell’ambito sanitario, una specializzazione medica (per esempio Cardiologia, Dermatologia, Geriatria ecc.) o clinica (Anatomia patologica, Radioterapia, Igiene e medicina preventiva ecc.), piuttosto che una chirurgica (come Chirurgia generale, Cardiochirurgia, Neurochirurgia): nel 2018/2019 l’iscrizione rosa, infatti, è presente in media il 60% in Medicina e 56% nell’area clinica contro il 46% in Chirurgia.

Rispetto a quasi venti anni fa, però, il numero delle donne in sala operatoria è aumentato: in media cresce del 2%. Nel biennio 1998/1999 su 7.237 specializzandi iscritti solo il 30% erano dottoresse. Immagine che riscontriamo anche negli anni successivi, fino al 2005/2006 quando le donne sono il 40%. Si tocca il picco, ossia il 49% nel 2011/2012.

“Brava, ma femmina”

La presenza femminile in chirurgia cresce, con i suoi tempi, ma cresce. Cresce come in tutto l’ambito sanitario. Nonostante questo, però, la quota rosa in chirurgia non può ancora essere paragonata a quella in medicina. E’ davvero una questione di gusto o nelle sale operatorie regna il maschilismo? I dati non potevano darci questa risposta, così lo abbiamo chiesto proprio a loro, ai medici, donne e uomini che hanno scelto di vivere una vita in camice.

Tutti gli intervistati hanno preferito restare anonimi, i loro nomi quindi sono di fantasia.

“Penso che le specializzazioni chirurgiche – racconta Anna, una specializzanda che adesso lavora nel reparto di Chirurgia generale a Palermo – siano di gran lunga più sessiste delle cliniche. Credo sia legato alla prestazione che si compie eseguendo un intervento che prevede delle capacità manuali più che mentali e forse l’uomo si è sempre ritenuto superiore in questo”.

“È difficile verificare che ci sia una spinta diretta, ossia che atteggiamenti maschilisti spingano le donne a lavorare in certe specializzazioni. Quello che ti posso dire è che ci sono lavori che sembrano accordarsi meglio con la figura della donna, o meglio della mamma. Fare il chirurgo non è uno di questi”, dice Silvia, specializzanda Pavia.

“Per una donna non è facile essere identificata come chirurgo, soprattutto con i dottori più anziani che di donne in chirurgia non ne hanno mai viste tante”, spiega Greta, specializzata in Chirurgia generale da dieci anni che attualmente lavora in un ospedale in provincia di Grosseto, in Toscana.

“Il maschilismo non è sempre evidente”, sottolinea Carlotta specializzanda all’ultimo anno. A volte si insinua in atteggiamenti, affermazioni. E questo avviene non soltanto tra colleghi, ma anche tra i pazienti, giovani e anziani, abituati o rilegati all’immagine di camice maschile. “Spesso mi chiamano ‘signorina’ e sono io a dover ricordare loro di essere un medico, il loro chirurgo”. È una frase che, durante le interviste ricorre spesso.

“La chirurgia è maschia – dice Giulia, una specializzanda all’ultimo anno – gli strutturati (uomini) preferiscono gli specializzandi maschi. Non ci considerano allo stesso livello, e lo fanno percepire in molti modi. Si fidano di più dei colleghi uomini, li ritengono più bravi anche quando non è così. Mi sono sentita dire ‘sei brava peccato che hai un difetto, sei una femmina”.

Uno scherzo, una battuta. Spesso comincia tutto così. Atteggiamenti apparentemente innocenti. Poi però quelle attitudini si trasformano in azioni concrete, che possono mettere a rischio o fermare la carriera di un’aspirante dottoressa. “Si parte in genere con dei commenti idioti per arrivare alle allusioni pesanti, sessiste che sono pane quotidiano in ogni sala operatoria”, racconta ancora Greta.

Chi non ha mai fatto finta di non ascoltare una battuta non troppo simpatica? Queste dottoresse ci sono abituate. Ma “alla lunga stancano le persone insicure – continua il medico – si finisce per cambiare specialità, non tanto per le piccole cattiverie, ma proprio perché ci si sente continuamente escluse dal tavolo operatorio, tanto che condividere il bisturi per ore con certi personaggi può rasentare la tortura”.

“Ci si ritrova spesso in realtà lavorative dove tutti gli strutturati sono uomini – aggiunge Silvia – o le donne sono relegate in Senologia (considerata da sempre “adatta alle femmine”), o a ruoli di compilazione cartelle, gestione reparto, con poco spazio in sala operatoria. Al momento delle assunzioni vengono preferiti i colleghi maschi perché noi corriamo il rischio di rimanere incinte (non sia mai!) e questo viene visto come un atto di poca serietà, del non voler imparare”.

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Certi bisturi sono più rosa

Alcune sale operatorie sono più rosa di altre. Questo è quello che emerge dai dati del Miur. E ai due estremi, le donne fanno nascere i bambini e gli uomini aggiustano le ossa rotte. Dal 1998 al 2019, infatti, sono in media il 76% le dottoresse iscritte a Ginecologia e ostetricia (nel 2018/2019 sono il 78%, il tasso di crescita è in media del 7%), la specializzazione chirurgica ogni anno più scelta dalle donne. Mentre sono solo il 21% quelle in Ortopedia e traumatologia (22% l’ultimo anno registrato, in media cresce del 3%) quella meno “preferita”.

“Si pensa che la donna non sia adeguata a certe specializzazioni, perché gli interventi sono più lunghi e più impegnativi da un punto di vista fisico, come se davvero noi avessimo bisogno del pannolone se non si può andare in bagno. Questa è l’idea di fondo dei maschi”, racconta Greta.

La chirurgia non è sempre fatta per le mani di fata, ci sono procedure che indubbiamente richiedono forza fisica. Capita, perciò, che le braccia femminili non vengano prese in considerazione per questo tipo di operazioni. “Se sei di turno per un intervento di Ortopedia ed è disponibile anche il collega maschio il chirurgo primo operatore uomo chiede il suo aiuto nella procedura perché ritiene sia meglio contare sulle braccia maschili”, dice Camilla specializzanda al terzo anno in chirurgia.

Non sorprende che le iscritte a Urologia siano in media solo il 23%: la specializzazione infatti si posiziona penultima, tra quelle dell’area chirurgica, per percentuale femminile. “Ci sono pazienti uomini che, se devono fare una visita alla prostata, si sentono in imbarazzo se il dottore è donna”, ricorda Francesca, specializzanda a Pavia.

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Cambio di camice

E poi ci sono sale operatorie che diventano sempre più rosa. Il numero di dottoresse iscritte alle varie specializzazioni chirurgiche non è mai sempre lo stesso. Alcune specializzazioni hanno accolto nel corso del tempo più donne, alcune sono rimaste stabili e altre, poche, hanno lasciato che il testosterone prevalesse. I dati però sono positivi, soprattutto riguardo quelle branche chirurgiche da sempre considerate “più da uomini”, che registrano in media una percentuale di dottoresse non così elevata, ma al contrario presentano una crescita femminile più che promettente. Questo significa che un cambiamento c’è stato e potrebbe continuare ad esserci.

Come nel caso di Chirurgia orale. Addentrarsi nella bocca di un paziente o mettere in pratica un’innovativa tecnica di chirurgia ricostruttiva ossea, negli ultimi vent’anni, ha visto in media solo il 26% della presenza femminile. Nonostante questo, Chirurgia orale è la specializzazione con la crescita media femminile più alta: ogni anno le dottoresse iscritte aumentano del 24%.

Seguono Cardiochirurgia, Chirurgia maxillo-facciale e Neurochirurgia, anche loro ancora lontane dalla gender equality (intorno al 30% in media di donne iscritte), ma registrano un aumento di iscritte in media del 9% la prima e il 6% le altre due.

A dare ulteriore speranza di un prossimo riequilibrio dei generi nelle specializzazioni chirurgiche è Chirurgia pediatrica, la seconda specializzazione per percentuale di donne iscritte (in media 62%, nel 2018/2019 il 65%): negli ultimi vent’anni la quota rosa è diminuita in media del -2%, come Oftamologia.

Chirurgia dell’apparato digerente, invece, potrebbe sembrare il nemico numero uno delle donne: risulta, infatti, essere la specializzazione con la crescita media più bassa, -10%. In verità, però, il dato deve essere rapportato al numero totale di posti disponibili in Italia che negli ultimi anni è diminuito, fino ad azzerarsi completamente nel 2018/2019. Osservando, infatti, la percentuale media di dottoresse presenti negli ultimi vent’anni (42%), Chirurgia dell’apparato digerente è tra le specializzazioni più scelte dalle donne.

Per rendere ancora più chiaro il cambiamento che c’è stato in questi vent’anni, abbiamo messo a confronto tre bienni: 1998/1999, 2008/2009 e 2018/2019. Dal primo al secondo biennio si può vedere che il salto in Italia è stato radicale. Cardiochirurgia ha visto raddoppiare la percentuale femminile media dal 14% al 27%, come Chirurgia toracica dal 23% al 45% e Chirurgia vascolare dal 22% al 41%. Quadruplicata invece a Chirurgia maxillo-facciale (dal 10% al 42%).

Dieci anni dopo, Cardiochirurgia non molla lo scatto e continua la sua scalata verso la gender equality: raggiunge infatti 44% di presenza rosa. Come Neurochirurgia, dal 19% al 40%. Chirurgia generale conquista il 50% (partita nel 1998 con il 27%), come Chirurgia vascolare e Chirurgia toracica che lo supera (54%).

Più difficile da concretizzare, invece, è un “cambio di camice” per Urologia e Ortopedia e traumatologia. Se dal 1998 al 2008 entrambe avevano registrato un aumento, non grande, ma comunque significato per le due specializzazioni con la percentuale più bassa di donne iscritte di sempre (dal 13% al 26% e dal 15% al 23% rispettivamente), nel 2018 fotografano però un lieve passo indietro (-2% e -1%).

Dai pochi bisturi rosa ai troppi in Ginecologia e ostetricia: anche qui lo stereotipo si riconferma negli anni. Il 50% lo si è superato da un pezzo, anche se non sappiamo da quando visto che i dati del Miur sono disponibili dal 1998. A distanza di 10 anni (2008-2018) Ginecologia conferma la stessa percentuale di donne, 78%.

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Anche le regioni discriminano

Scegliere dove studiare a volte può portarti lontano da casa, anche in un’altra regione. Le motivazioni che spingono un aspirante chirurgo a partire sono tante, ma una di queste potrebbe essere la scarsa disponibilità di borse di studio. I dati del Miur sugli iscritti alle specializzazioni di area sanitaria, che comprendono ogni tipo di finanziamento ricevuto (statale, regionale  o derivanti da donazioni o finanziamenti di enti pubblici e/o privati), suddividono anche dottoresse e dottori in base all’ateneo frequentato.

In Italia nel 2019 sono 1.100 le Scuole di specializzazione sanitarie, accreditate dal ministero dell’Istruzione e dal ministero della Salute. Alcune regioni presentano più corsi di specializzazione di altri tra l’area medica, clinica e chirurgica. L’unica regione a non fornire alcun posto, secondo i dati del Miur, è la Basilicata. Il Molise non è stato preso in considerazione volontariamente nell’analisi territoriale, perché apre un corso di Ginecologia e ostetricia solo a partire dal 2013/2014.

La Val d’Aosta ha deciso di finanziare con risorse proprie i contratti di formazione specialistica di area sanitaria per il biennio 2018/2019, mentre la provincia autonoma di Bolzano finanzia ogni anno posti di formazione nelle università convenzionate di Verona e Padova (quindi, in questo caso, il Trentino Alto Adige non è assente nella nostra analisi, ma solo incluso nei dati del Veneto). Le borse di studio vengono assegnate tramite il concorso nazionale bandito dal Miur ogni anno e i medici interessati possono scegliere la borsa di Bolzano per avere così accesso ai posti riservati. Sempre il Trentino, inoltre, a partire dal 2019, ha dato la possibilità ai dottori di svolgere la loro formazione medico specialistica negli ospedali secondo il regolamento formativo austriaco.

Tutto questo non ci permette di avere una panoramica reale su quale regione sia più sessista e quale meno, ma ci dice qual è il territorio che le donne scelgono maggiormente per specializzarsi, forse anche con l’intenzione di rimanerci. Abbiamo deciso di analizzare quelle che rappresentano i casi limite rispetto alla media italiana, cercando di suffragare i dati con le dichiarazioni di chi lavora sul campo.

C’è chi dice che sia soltanto un caso che alcune specializzazioni hanno più dottori che dottoresse. Altri invece ritengono che la chirurgia sia maschia da sempre e questo spinge le donne a scegliere altri mestieri. Magari più conformi all’immagine della donna che si deve dividere tra lavoro e famiglia e che, nella mentalità di molti, coincide poco con i ritmi indiavolati di un chirurgo.

Ci sono poi quelle specializzazioni considerate d’élite, che dispongono di poche borse di studio in Italia. Nella penisola queste chirurgie spariscono, riappaiono per qualche anno, magari con pochi posti a disposizione, per poi annullarsi di nuovo. Ci sono poi quelle specializzazioni più conosciute, come Cardiochirurgia o Ginecologia, che invece vedono oscillare le loro percentuali di iscritte a seconda del biennio preso in considerazione e della Regione che si sceglie di osservare.

In generale però la crescita delle donne in Chirurgia è riscontrabile in tutte le regioni, chi più chi meno. Percorrendo l’Italia, si va da uno 0,27% fino ad arrivare al 15% di chirurghe in più. Nessuna percentuale negativa e questo è decisamente un buon segno.

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L’isola delle donne che operano e l’altra che le ignora

La Sardegna si tinge di rosa, è l’isola delle donne che operano. La percentuale di donne iscritte a Chirurgia in media è infatti la più alta tra le regioni d’Italia: il 48%.

Anche nelle specializzazioni, se si prende in considerazione la media italiana, la Sardegna le cammina sempre affianco, se non oltre. Colpiscono i 15 punti percentuali in più di dottoresse iscritte a Chirurgia toracica e Chirurgia orale nella Regione rispetto alla media italiana. Distacco significativo (+10%) anche in Chirurgia dell’apparato digerente e Chirurgia vascolare. Ma a sorprendere di più è Urologia che registra negli ultimi tre bienni analizzati il 40% di iscritte donne (mentre in Italia è il 24%).

E’ la Campania invece la Regione più maschilista di tutte. Negli ultimi vent’anni in media solo il 35% degli iscritti a Chirurgia è donna. Alcune sale operatorie, poi, sono rosa tanto quanto quelle nella media italiana, altre invece meno. I casi più evidenti: Chirurgia generale (la regione registra il 31% di iscritte, contro il 40% in Italia), Chirurgia plastica (22% Campania, 36% Italia), Ginecologia e ostetricia (62% Campania, 75% Italia) e Urologia (11% Campania, 23% Italia).

La crescita della Campania, comunque, fa ben sperare, a differenza della Sardegna che rimane stabile. Al di sopra della media italiana, la Campania ha infatti un tasso di crescita di iscritte in media del 4%.

“Attualmente presso la Scuola di Specializzazione in Chirurgia dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli – spiega il professore Silvestro Canonico, direttore della Scuola di specializzazione in Chirurgia – risultano iscritti complessivamente, nei cinque anni di corso 56 allievi, dei quali esattamente la metà (28) sono di sesso femminile. La maggioranza proviene dalla Campania, ma abbiamo un discreto numero da altre regioni, anche del nord. A volte alcuni iscritti extraregionali (indipendentemente dal sesso) cercano di sfruttare ogni cavillo per trasferirsi vicino alla città di provenienza. Ma tale scelta non è dettata da insoddisfazione professionale”.

“Mediamente – aggiunge poi Canonico – da noi non esiste differenziazione tra i sessi per le attività svolte. Anzi, se dovessi esprimere un’opinione, spesso le donne sono più motivate e disponibili”.

La chirurgia sta cambiando, lo vediamo anche a livello regionale. Alcuni territori diventano rosa più lentamente, altri lo erano già prima e rimangono stabili negli anni. E poi ci sono regioni come la Calabria, che tutt’ora è seconda alla Campania con la percentuale più bassa di iscritte (in media 36%), ma è tra i tre territori con la crescita di iscritte maggiore. Dopo Lazio (+15%) e Piemonte (+11%), negli ultimi vent’anni le dottoresse in Calabria sono aumentate del 9%.

Nel 1998/1999 le donne erano solo il 15%, arrivando nel 2019 al 57%, ben 42 punti percentuali in più, classificandosi anche (per quell’anno) come la Regione con la percentuale di donne iscritte più alta di tutta Italia.

Nel corso degli anni le borse di studio (ognuna delle quali equivale a uno specializzando) non sono costanti, nemmeno in quelle specializzazioni che sono generalmente più stabili. E quando il numero dei posti disponibili si restringe, soprattutto in chirurgie “molto specialiste”, le borse finiscono tutte nelle mani di specializzandi maschi. Chirurgia maxillo facciale, ad esempio, avviata nel biennio 2004/2005 fino 2011/2012: non c’è stato un anno in cui ci fossero più di cinque borse di studio, e mai una di queste è andata a finire a una donna.

“Noi abbiamo avuto la scuola di specializzazione in Calabria fino a qualche anno fa. In quegli anni ricordo di aver specializzato donne – spiega Maria Giulia Cristofaro, unico direttore donna dell’unità operativa complessa di Chirurgia maxillo facciale in Italia, che adesso insegna alla Federico II di Napoli – Maxillo facciale è una chirurgia bellissima, ma ci sono problemi nel trovare lavoro dopo. Questa forse è una delle ragioni per cui viene scelta poco. Che poi siano principalmente uomini, forse è solo un caso. È vero, io sono l’unica donna direttore e forse è perché gli specializzandi sono prevalentemente maschi. Ed è anche vero che in Chirurgia non ci sono tante donne, ma da sempre è così: su otto specializzandi che avevo, solo tre erano dottoresse. Poi negli anni la situazione si è evoluta”.

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Women in Surgery, l’associazione che unisce le chirurghe

Isabella Frigerio e Gaya Spolverato. Foto della pagina Facebook di Women in Surgery Italia

Molte delle testimonianze delle dottoresse in questa pagina sono state ottenute grazie a Women in Surgery, un’associazione nata nel 2015 con l’obiettivo di sostenere le donne chirurgo nello sviluppo della propria professione. A fondare questa istituzione culturale sono state due dottoresse, Isabella Frigerio e Gaya Spolverato.

“Una donna che sceglie di fare il chirurgo sa bene cosa l’aspetta – si legge sul sito di Women in Surgery–  dietro a questa decisione c’è la passione verso un lavoro unico, gratificante e impegnativo, dove il genere di appartenenza non deve rappresentare un difetto”.

La fondatrice e la presidentessa dell’associazione è Spolverato, 36 anni, chirurga oncologa, dirigente medico al policlinico di Padova, docente universitaria, laureata in Italia e specializzata a New York, ha parlato a Repubblica del costante aumento della percentuale delle donne nel mondo del bisturi, che però deve ancora fare molti passi avanti per raggiungere una gender equality a 360 gradi.

“Negli ultimi cinque anni – ha detto – c’è stata una crescita importante delle donne iscritte alle scuole di chirurgia generale. La sensazione molto forte è che il mondo della formazione non sia preparato ad una tale ondata di donne. Chi vuole avere una famiglia, ad esempio, è penalizzata”.

Secondo la presidente di Wis, le scuole chirurgiche italiane sono da sempre molto tradizionaliste e “da sempre hanno preferito gli allievi maschili. La donna un tempo era considerata più un’infermiera o una strumentista. Noi siamo più attente, precise e abbiamo l’umiltà di chiedere aiuto. Siamo molto diverse dalla vecchia generazione di donne medico, molte delle quali erano ‘baronesse’, in tutto simili ai maschi di potere”.

Women in Surgery, sottolinea Spolverato, è aperta a tutti i chirurghi, che siano donne o uomini, e dà la possibilità di dare vita a discussioni, dibattiti, ma anche nuove proposte, tutto all’insegna di due grandi temi, che insieme possono fare grandi cose: le donne e la chirurgia.

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Pareri contrastanti

Dati i cambiamenti in corso, davvero il chirurgo “deve” essere un uomo? Da quanto raccontano le nostre testimonianze, sembra che la tendenza sia ancora questa. Ma non tutti la pensano così. “Non mi è mai capitato che un paziente preferisse me come medico rispetto a una mia collega”, afferma Alberto, un dirigente medico (figura sottostante quella del Primario) di Pescara.

Il calo delle iscrizioni, secondo il chirurgo, nell’ambito del bisturi, riguarda entrambi i sessi ed “è dovuto al rischio professionale elevato e alla qualità di vita dei chirurghi stessi. Indubbiamente è una branca della medicina che ha coinvolto maggiormente il sesso maschile, ma nella mia personale esperienza durante la specializzazione ho notato un trend contrastante a quello che registra un ambiente prevalentemente maschilista”.

I modelli di riferimento, però, secondo la maggior parte delle testimoni anonime, in chirurgia sono ancora al maschile. Nonostante il numero di donne chirurgo stia sempre più eguagliando quello degli uomini. “Si vive costantemente all’interno di un ambiente goliardico e sessista in cui la maggior parte dei riferimenti è a sfondo sessuale ed ogni occasione è buona per pensare alla donna come oggetto sessuale”, racconta Maria, una dottoressa di Palermo.

Alcuni primari continuano a preferire al loro fianco specializzandi maschi. A meno che le donne, parola delle chirurghe, lavorino il triplo (come spesso accade) o peggio, fungano da vallette.

“Quando devono offrirti un contratto determinato – racconta invece Gianna, una dottoressa in Chirurgia generale – pensano ovviamente all’eventualità che tu possa restare incinta. E quando succede, ti senti quasi in colpa, perché poi i colleghi devono sostituirti ma senza essere pagati di più”.

I dati parlano da soli. Il mondo chirurgico sta cambiando.Tuttavia i passi da fare sono ancora molti. “Non consiglierei mai a mia figlia la chirurgia. Sarebbe infatti costretta a subire traumi insostenibili. Siamo ancora agli inizi”. Parola di una mamma chirurgo.

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Note:

I dati in possesso della Fnomceo provengono  dai flussi informatici dei singoli Ordini provinciali. Non possono però ritenersi completi ed esaustivi. I dati sugli iscritti alle specializzazioni del 2018/2019 del Miur sono invece ancora provvisori.

A questo link è possibile scaricare i nostri dati 

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