Omotransfobia, Galeotti (Arcigay): “C’è più sensibilità, difendiamo i diritti di tutti”

Giacomo Galeotti (al centro) con Cinzia Massetti (CGIL), il presidente del Consiglio comunale di Pesaro Marco Perugini, parte della Giunta comunale di Pesaro e altri attivisti, sotto la bandiera per i diritti LGBTQ+ presentata a Pesaro
di CECILIA ROSSI

URBINO – Una nuova bandiera sventola a Baia Flaminia di Pesaro: le sue strisce vanno ad unirsi a quelle dell’arcobaleno già lì dal 2020. Rosa, bianco e azzurro i colori simbolo della comunità transgender. Giacomo Galeotti, presidente di Arcigay Agorà di Pesaro-Urbino e segretario di Marche Pride, celebra sul litorale la giornata internazionale di lotta all’omobitransfobia ammirando i colori dell’inclusione, assieme al sindaco di Pesaro Matteo Ricci.
Quest’anno l’appuntamento contro le discriminazioni delle persone LGBTQ+ assume particolare importanza, si inserisce direttamente nel grande dibattito sorto in seguito al blocco in Senato del ddl Zan, il disegno di legge che prevede l’introduzione di aggravanti per i crimini d’odio legati al genere, al sesso e all’orientamento sessuale.

Giacomo Galeotti, vista anche la recente aggressione avvenuta a Fano, quanto ritiene sia sicuro il territorio urbinate e pesarese per gay, lesbiche, trans, bi?

“La provincia di Pesaro-Urbino è un luogo mediamente difficile in cui vivere per la comunità LGBTQ+, ma è in linea con il resto d’Italia. Un territorio tende ad essere più sicuro quando non ci si trova da soli ad affrontare le discriminazioni, dove si hanno famiglia e amici a sostenerti. Più si fa rete, più si è sicuri. Arcigay riceve tantissime richieste d’aiuto che provengono in particolare da minorenni, che sono quelli più vessati da offese e atti di violenza. L’episodio di Fano rappresenta il sommerso di un fenomeno molto più grande e problematico di quanto si creda. Ad aiutare però devono essere anche le istituzioni e ad Urbino finora sono sempre state d’aiuto.
I servizi dello Stato non sempre sono preparati, sia dal punto di vista psicologico che culturale. Noi offriamo un servizio specifico di assistenza psicologica, che aiuta anche la Commissione territoriale marchigiana nell’accoglienza di migranti che fanno parte della comunità LGBTQ+.”

C’è una forte richiesta da parte delle associazioni come Arcigay Agorà affinché il ddl Zan passi in Parlamento. Avete ricevuto sostegno in provincia anche da parte dei singoli cittadini?

“A livello nazionale i sondaggi dicono che gli italiani sono a favore del ddl Zan: le cifre vanno dal 56% al 70% di italiani favorevoli. In provincia di Pesaro-Urbino, tutti i partiti di centro-sinistra e di stampo progressista ci hanno sostenuto tantissimo. Le persone esterne all’associazione si sono fatte sentire non solo partecipando alle manifestazioni, ma anche con messaggi di supporto attraverso i social. C’è più sensibilità. Quelli che invece si schierano contro contro il ddl Zan tendono a farlo puntando sul “benaltrismo”: c’è sempre qualcosa più importante da fare che garantire i diritti alle minoranze. Però noi ci occupiamo di diritti da più di 30 anni ormai e questo non ci ha fatto distogliere l’attenzione da altre tematiche. Parlare di Covid e di perdita del lavoro è importante e lo si può fare portando avanti anche altre battaglie: anche i gay hanno perso il lavoro con la pandemia, anche i gay si ammalano. Focalizzarsi su una tematica non significa ignorarne altre.”

Ha notato una maggiore partecipazione alle manifestazioni Arcigay o del Marche Pride in questo periodo in cui il tema è così ricorrente?

“Per quanto riguarda gli eventi che organizziamo online, abbiamo notato che le persone sono stanche di stare davanti a un computer per poter dialogare, soprattutto col passare dei mesi. Il problema della partecipazione online, dunque, è una questione di mezzo, più che di interesse ai contenuti. Per le manifestazioni invece si è notata una crescita esponenziale di presenze: a ottobre avevamo organizzato una manifestazione contro il blocco del ddl Zan e avevano partecipato 40 persone, mentre in quella di questo sabato erano più di 400.”

Vittorio Sgarbi, pro-sindaco di Urbino, ha criticato duramente un spot pubblicitario nel quale compaiono famiglie non convenzionali, citando direttamente il ddl Zan. Come risponde?

“Chi dice queste cose cerca solo di fare disinformazione. L’obiettivo di queste uscite è quello di allontanare dal contenuto del testo del disegno di legge: il ddl Zan non parla di pubblicità e quella presentata nello spot è una scelta libera dell’azienda, che ha una certa sensibilità per i cambiamenti sociali.
A proposito della giunta comunale di Urbino. C’è stata una curiosa contraddizione: nel 2019, quando si è tenuto il Marche Pride, il comune di Urbino ha concesso il proprio patrocinio – è stato uno dei pochi a guida centrodestra ad averlo fatto- ma poi quest’anno non ha voluto sostenere pubblicamente la legge Zan.”

L’approvazione del ddl Zan può rappresentare un passo importante nella battaglia per il riconoscimenti dei diritti sociali, ma è comunque solo l’inizio. Come è possibile creare, secondo te, una cultura di accettazione della diversità?

“Gli strumenti legislativi sono certamente utili, ma servono altre leggi che vadano ad impattare sulla cultura, come la riforma dei testi e dei programmi scolastici: l’identità sessuale e l’educazione affettiva andrebbero implementate nelle scuole perché la loro assenza è innanzitutto un diritto negato agli studenti. Per tante istituzioni internazionali, come il Consiglio d’Europa, è un diritto del minore avere una conoscenza completa della diversità umana. Combattere l’omofobia deve partire da ciò che si insegna nelle scuole. È sulla cultura in cui cresciamo che occorre lavorare.
Solo quando si apre un dialogo ci si accorge di cosa si ha in comune. Quando mi è capitato di confrontarmi con la comunità cattolica si sono trovate tanti punti di interesse condivisi. Un prete una volta mi ha detto “lo sai che avete ragione” dopo che avevamo parlato insieme di temi come le adozioni e i matrimoni ugualitari.”

About the Author

Cecilia Rossi
Nata e cresciuta nelle Marche, studio a Urbino, dove mi laureo in Comunicazione con una tesi sull'involuzione autoritaria in Ungheria. Ho vissuto per sei mesi a Bruxelles, dove non ho migliorato il mio francese, ma in compenso ho studiato un po' di economia. La maggior parte del tempo leggo libri, lavoro a maglia e mi perdo nei documentari.

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