Urbino: falsifica esami del sangue per riavere la patente, condannato a sei mesi

Ingresso del Tribunale di Urbino, in via Raffaello
di STEFANO SCIBILIA

URBINO – Il suo sangue risultava “pulito” ma a sottoporsi agli esami era stato in realtà il figlio, un escamotage per riavere la patente che gli era stata ritirata per guida in stato di ebbrezza. Il Tribunale collegiale di Urbino ha condannato a sei mesi di reclusione Piero Micheli, ex direttore dell’ufficio controlli dell’Agenzia delle Entrate di Pesaro.

La vicenda risale al 2013. Il 7 luglio Micheli (difeso dagli avvocati Aldo Valentini e Andrea Casula) è stato fermato dalla Polizia stradale, risultato positivo all’alcol test gli è stata ritirata la patente per 90 giorni. Secondo la ricostruzione dell’accusa (pm Irene Lilliu), Micheli decise allora di rivolgersi all’amico, ex funzionario del Commissariato di Urbino, Umberto Sciamanna, che, a sua volta, lo indirizzò al capo della Polstrada di Urbino, Gianpaolo Garbugli. Il suggerimento di quest’ultimo fu quello di fare ricorso al giudice di Pace e giustificare la positività al test con la necessità di usare un collutorio (a base alcolica).

Ma per riottenere la patente era necessario provare l’assenza di alcol nel sangue con un prelievo, che avvenne a domicilio. A effettuarlo fu il responsabile del Laboratorio di tossicologia dell’Asur di Pesaro, Paolo Curina, il quale era riuscito a farsi affidare le analisi per poi eseguirle non a Piero Micheli ma al figlio, così da far risultare il sangue “pulito”. Curina, che era anche lui indagato, ha patteggiato nel 2015 con sentenza irrevocabile.

Assieme a Micheli, erano a processo anche la dentista Maria Gabriella Cioppi (difesa da Alessandra Repaci) per aver prescritto il collutorio allo scopo di sostenere la versione dell’imputato, e gli stessi Garbugli (difeso dall’avvocato Gabriele Marra) e Sciamanna (difeso da Michele Ambrosini). Questi ultimi tre sono stati assolti dai giudici collegiali (Egidio De Leone, Francesca D’Orazio e Alessandra Conti) perché il fatto non sussiste. “A fare la differenza sono stati il cambiamento della norma sugli abusi d’ufficio e il cambiamento della legge sulle intercettazioni che non ha reso possibile accedere a elementi utili a provare il coinvolgimento degli altri imputati” ha riferito al Ducato la pm Irene Lilliu.

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