Fgcult 2021, l’inno al dialetto di Stefania Auci: “L’italiano è la testa, il siciliano il cuore”

Di ROBERTA ROTELLI

URBINO – “Essere qui oggi, è come precipitarsi a capofitto nei libri di storia che ho studiato da bambina”. Si guarda attorno, Stefania Auci, circondata dagli arazzi della Sala del Trono del Palazzo Ducale di Urbino. Con il suo libro, I leoni di Sicilia, l’autrice trapanese ha conquistato il successo internazionale vendendo più di 650 mila copie, già tradotto in in 32 paesi. La sua lectio magistralis apre la nona edizione del Festival del Giornalismo Culturale di Urbino. E anche per lei propone un viaggio nel tempo.

Le sue origini

Il suo intervento è un inno al dialetto siciliano, un elogio alle radici e a quella lingua parlata che rappresenta la culla della sua memoria di bambina. “Il dialetto a casa mia l’ho imparato, vissuto e assaporato senza pregiudizio. I miei genitori, entrambi insegnanti, non hanno avuto timore di usare il siciliano in casa sebbene molti non fossero d’accordo”.

STEFANIA AUCI – “Scrivere e insegnare, due facce della stessa medaglia”

Oggi Stefania Auci è anche una docente di italiano in un istituto alberghiero superiore e proprio parlando dell’esperienza della comunicazione con i ragazzi spiega: “L’italiano è la lingua delle istituzioni, però coi giovani a volte è necessaria ma non sufficiente, parla ma non comunica. C’è bisogno invece, come dice Tullio de Mauro, di usare la lingua del cuore per dare voce all’interiorità e ai sentimenti”. Quando usa il siciliano infatti la Auci si illumina e quasi non riesce a staccare gli occhi dal leggio, come a voler contenere quella visibile emozione che la Sala del Trono suscita in lei. “ Il dialetto rappresenta per me un ristoro dell’anima, quella battaglia che da sempre vive dentro di me tra testa e cuore”.

Il viaggio nella letteratura siciliana

Lo scontro tra il dialetto siciliano e l’italiano è il protagonista della lectio magistralis proposta dalla Auci che, come con una macchina del tempo, fa da guida in un viaggio tematico tra passato e presente. Ecco che riascoltiamo così le voci di Padron Toni e di Masto Don Gesualdo, i due protagonisti dell’opera verghiana. “Verga-  ci spiega- era poco innamorato del siciliano. L’ha usato per delineare quella linea di confine tra ricchezza e povertà, tra ignoranza e cultura. È come se quei calli di Padron Toni fossero diventati metafora di un linguaggio, quello dialettale, che non sarà mai all’altezza della vita delle “persone per bene”.

Da Giovanni Verga si arriva poi a Luigi Pirandello che la Auci definisce “come un chimico, che sperimenta, elimina, condensa, contrae ed espande. Per lui il siciliano è il modulo espressivo di una certa realtà e per la prima volta i suoi personaggi dialettali assumono delle sfumature di dignità. Nelle sue novelle e poi nel teatro il dialetto diventerà una vera e propria Lingua”. Solo con Sciascia però l’onirico e la quotidianità convergeranno, con una forza semantica e amplificata dall’uso di un lessico dialettale “rustico e greve”. Con il suo stile plasmato e tagliente, l’autore di Girgenti, riuscirà infatti a “trasformare una storia di mafia, in un evento che trasuda Sicilia”.

Infine a conclusione di questo percorso tematico nella storia della letteratura e della cultura siciliana, si arriva al grande maestro, Andrea Camilleri che scriveva “Spesso le parole in italiano che adoperavo, non mi appartenevano pienamente. Nel linguaggio parlato di casa mia invece trovavo ristoro e quell’immediatezza che mi permetteva di essere ciò che sono”. L’autrice siciliana sente così sue queste parole che con un augurio letterario conclude: “Come direbbe Tomasi di Lampedusa, prima che il fragore del mare si porti via tutto, teniamoci stretto ciò che siamo”.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra e di terze parti maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi