Fgcult 2021. Contro l’odio in rete, “la chiave è nascosta tra i Big data di Facebook”

Il panel "Le parole dei social", Fgcult 2021
di GUGLIELMO MARIA VESPIGNANI

URBINO – “Dobbiamo ammettere abbiamo creato qualcosa che ci è sfuggito di mano” è il giudizio netto di Fabio Giglietto. Al Festival del Giornalismo Culturale la discussione sulla tecnologia che rivoluziona il modo di comunicare, nel panel dedicato a “Le Parole dei Social”, parte dalla consapevolezza di essere già nell’era dell’informazione frammentata. L’accesso ormai quasi universale alle briciole di conoscenza online si scontra con le costanti insidie delle fake news e dei discorsi d’odio, per i quali emerge la necessità di creare nuove regole.

“Non siamo più in grado di controllare il numero dei dati che produciamo come esseri umani” spiega nel suo intervento il professor Giglietto, docente dell’Università di Urbino. “E certamente ciò che ha raccontato l’ingegnera informatica di Facebook Frances Haugen al Senato degli Stati Uniti mostra la consapevolezza dei danni causati alle persone dall’uso delle piattaforme social” prosegue Ilaria Barbotti, esperta di social media e influencer marketing. Piattaforme che nonostante ciò non si fermano, seguendo la logica del profitto. “Perché allora si può agire per soldi, ma non contro l’hate speech?” è l’interrogativo che si pone anche il moderatore del dibattito Marco Pratellesi.

Oltre le tecnologie buone e cattive

Domande che vanno a comporre la riflessione sulla lingua che cambia, partendo appunto dal ruolo della tecnologia, dalla quale, già nell’introduzione, si tenta di scacciare lo spettro della diffidenza. Internet incoraggia sì il campionamento di piccoli frammenti di conoscenza, smarrendo in parte la nostra capacità di immagazzinare autonomamente grandi quantità informazione, ma la conclusione a cui giunge Pratellesi è che “non esistono tecnologie buone o cattive, ma solo persone che ne fanno un uso che va o nell’una o nell’altra direzione”.

Della stessa idea è Massimo Birattari, relatore del panel e consulente editoriale e traduttore per autori di fama internazionale, che interviene, parlando dei social network, a difesa della semplificazione linguistica. “A seguire i gruppi dove vengono mostrati gli abomini grammaticali che si trovano su Facebook sembra quasi di essere circondati di nostalgici di una fantomatica età dell’oro, dove la lingua era sacra e non si trovavano mai errori nelle tesi di laurea”. La verità però, secondo Birattari, è che questo approccio si trova invece in contrasto con la storia dell’italiano, fatta di continui mutamenti e di un adattamento nel segno della concordanza a senso.

Per un nuovo umanesimo tecnologico

Ma il problema di come porre un freno all’odio rimane: la recente ricerca LaRica/Ipsos promossa dall’Osservatorio News Italia, ha sondato l’opinione di mille italiani sul tema del ruolo dei social nell’evoluzione del linguaggio. La maggioranza ritiene che servano leggi e controlli per regolamentare “la libertà di espressione su internet”, che avrebbe l’effetto di evitare il degenerare dei comportamenti.

La soluzione potrebbe essere quindi proprio partire dalla fonte per studiarne i meccanismi: “L’analisi dati fatta da Facebook sulle sue piattaforme non ha mai riguardato l’effetto delle fake news sulle persone e dei contenuti online sul linguaggio” spiega Giglietto. “Ne usciremo quando le piattaforme saranno legalmente obbligate a fornire dati a soggetti esterni che possono analizzarli”.

L’auspicio è quello di un nuovo “umanesimo tecnologico”, così come lo definisce Pratellesi. “Perché le persone vengono prima di ogni altro tipo di necessità”.

About the Author

Guglielmo Maria Vespignani
Nato nel 1991 ad Ancona, sono cresciuto a Jesi e mi sono diplomato al Liceo Classico Vittorio Emanuele II. Laureato in Filosofia nel 2015 all'Università di Bologna, ho successivamente diviso la mia vita tra sport e impegno sociale.

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