Fgcult 2021, Erbani: “Periferie da riabitare e riusare, non solo da riempire”

Francesco Erbani, Beatrice Fabbretti e Fabio Fornasari al Fgcult 2021
di BEATRICE GRECO

URBINO – Ne parlano i politici (ma solo in campagna elettorale), ne discutono gli architetti per farle rinascere o rivivere, ne scrivono i giornalisti per farle conoscere. Si tratta delle periferie. “Non sono scatole da riempire. Lì ci vive la gente” urlava nel finale di Scusate se esisto! un’ architetta a cui avevano appena bocciato un progetto di riqualificazione. Quella era solo una commedia italiana, ma il messaggio è forte e sempre attuale. Un messaggio che vuole dare anche Francesco Erbani, giornalista e autore di L’Italia che rinasce, durante l’incontro ‘Le parole dell’architettura’ del Festival di giornalismo culturale.

“Ho voluto andare a cercare nelle periferie l’immagine meno stereotipata. Volevo raccontarne le persone, le associazioni e le iniziative che le animano” spiega Erbani. Di fianco a lui, a prendere parte alla discussione, gli architetti Fabio Fornasari e Luca Molinari, la giornalista Beatrice Fabbretti e il direttore della Galleria Nazionale delle Marche Luigi Gallo. “La periferia ha assunto nell’accezione comune un aspetto d’immobilismo, mentre in realtà si muove nello spazio e si trasforma. Ci sono zone periferiche anche negli stessi centri storici, a Catania per esempio”.

MOSTRA DANTEUM- Gallo: “A Palazzo Ducale storia dell’architettura italiana”

La ferita delle periferie durante la pandemia

La pandemia ha evidenziato una situazione che era già presente da molto tempo: “Ci ha insegnato che le zone piene solo di bar e ristoranti non sono realmente vissute – spiega Erbani – . Per far sì che lo siano devono esserci i servizi di cui le persone hanno veramente bisogno”.

E poi, bloccati nelle nostre case, ne abbiamo saggiato ogni centimetro quadrato e abbiamo potuto scoprire cosa significa dover condividere gli spazi con genitori, figli, compagni che devono lavorare, studiare o riposare. Il problema degli spazi, abitativi e non solo, è entrato prepotentemente nelle nostre vite durante il lockdown, mostrando in maniera più forte le disuguaglianze.

“Durante la pandemia la città è entrata nella nostra casa, facendoci rendere conto che città e casa sono due gemelli siamesi, due facce della stessa medaglia” afferma Molinari. E così come spesso gli spazi delle abitazioni si sono rivelati insufficienti, così spesso lo sono anche quelli della città”. A pensarci, il palazzo stesso in cui si tiene il Festival, residenza del Duca di Urbino era un messaggio alla città, alla ricerca di un dialogo, un’apertura, diverso dalle fortificazioni del tempo: “Fu il primo esempio di residenza di Stato in Europa – afferma Gallo – e lo resterà fino all’800”.

La soluzione è ascoltare le persone

Parla di riuso degli spazi, Erbani, e non di riqualificazione, troppo spesso accompagnata “dalla sostituzione del ceto popolare con un altro ceto”. “Non basta risolvere tutto dando solo una spolverata di benessere – dice al Ducato – . La soluzione sta nell’ascoltare le esigenze delle persone, leggerne i bisogni e utilizzare gli spazi di conseguenza”. Riabitare è la parola chiave “perché abitare un quartiere non è solo abitare una casa, ma avere una relazione con l’esterno”.

È per questo che il giornalista ha voluto raccontare nel suo libro le persone e le iniziative che animano le zone periferiche. Ha voluto mostrare le “occasioni per ricominciare, perché la periferia non significa solo marginalità, disagio, ma anche vita, lotta”, dando voce a chi si batte perché la realtà cambi. “L’atteggiamento verso questi luoghi deve essere animato dalla curiosità. Bisogna superare il modo semplice di guardare le cose” afferma Erbani. Lasciando una lezione per tutti i giornalisti, e non solo.

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