Università, inaugurato l’anno accademico 2021/2022: “Innovazione, ripartenza, speranza”

Il rettore di Urbino, Giorgio Calcagnini all'inaugurazione dell'anno accademico 2021
di MARIA ELENA MARSICO E GUGLIELMO MARIA VESPIGNANI

URBINO – C’è un po’ di emozione nell’aria quando, pochi minuti dopo le 11, le personalità accademiche vengono chiamate a fare il loro ingresso sul palco del Teatro Sanzio. Dopo le limitazioni dello scorso anno, tra distanziamenti e capienza ridotta, sembra quasi come se i loro passi stessero provando a scavalcare un lungo periodo di incertezze, sgomento, paure.

L’inaugurazione dell’Anno Accademico 2021/2022 dell’Università di Urbino, il cinquecentosedicesimo di attività dell’ateneo, si apre di fronte a una platea piena al 100% della capienza, con la presentazione degli accademici ospiti della cerimonia – tra cui l’ex rettore Vilberto Stocchi, salutato con un applauso particolarmente caloroso – e con la proiezione in video dell’esecuzione dell’inno di Mameli eseguito dal Coro 1506 dell’Università degli Studi di Urbino, a cui è affidato anche l’inno degli studenti Gaudeamus igitur, proiettato in apertura e in conclusione: “La grande partecipazione di oggi è la dimostrazione di quanto sia importante l’Università per Urbino” ha detto al termine della cerimonia al Ducato il rettore Giorgio Calcagnini.

Torniamo a percorrere le strade del mondo

Il ritorno al massimo della capienza è tra i punti principali nel discorso del rettore, che comincia salutando le autorità civili, militari e religiose in platea, e poi prosegue: “Ora siamo al 100%: speriamo che questo sia l’inizio di un percorso per recuperare relazioni e contatti umani”. E l’augurio a gli studenti è quello di “entrare in un periodo nel quale declinare nei suoi vari significati la parola ripartenza. Torneremo a percorrere le strade del mondo”.

Guardando alle difficoltà di ieri, però, Calcagnini non manca di sottolineare anche l’efficacia dimostrata dalla Carlo Bo nell’affrontare la pandemia: “Possiamo affermare che la didattica a distanza è stata approntata in tempi ristretti con grande capacità di innovazione”. E siccome sul tema è incentrata la lectio magistralis che chiuderà l’inaugurazione, il rettore decide di darne una propria lettura, usando le parole dell’economista francese Philippe Aghion: “Investire nell’istruzione è funzionale alla crescita e al progresso, per realizzare un cambiamento che deve essere principalmente culturale”. Emblematiche, da questo punto di vista, le parole spese sull’obiettivo della maggior inclusività: “Siamo orgogliosi di avere 546 studenti con disabilità tra i nostri iscritti, e di aver avviato progetti e programmi di accoglienza e inclusione mirati alla riduzione delle disuguaglianze”. Un risultato di cui sarebbe certamente fiero anche Carlo Bo, le cui parole, prese dal suo Urbinate per sempre, vengono lette con partecipazione dal professor Massimo Raffaeli.

Una scuola è, è viva, ha ragione di essere se esiste questa continuità di passioni e di sentimenti, se non viene soffocato il dato dell’amore. Non serve farne una casa senza questa rete di sangue e di sentimenti

Le parole del rettore trovano eco anche nell’intervento del rappresentante del personale tecnico-amministrativo Alessandro Gambarara:”Di fronte alla modifica del paradigma la comunità ha reagito alimentando la conoscenza e riaprendo, non appena consentito, le attività in presenza in sicurezza”. Un obiettivo conseguito anche grazie alla cospicua adesione alla campagna di vaccinazione da parte dei dipendenti Uniurb: “È la scelta che ha fatto quasi l’80% del personale – continua Gambarara – ed è l’unica scelta che consentirà di ripristinare le relazioni”.

Certo, non tutto in questo anno e mezzo è stato perfetto. A farlo notare è soprattutto l’intervento della rappresentante degli studenti Federica Titas, che, dopo aver ringraziato medici, infermieri e operatori socio sanitari, rivolge un appunto alle autorità accademiche: “In alcuni casi la voce degli studenti non è stata ascoltata abbastanza” dice la laureanda in Giurisprudenza, che chiude il proprio intervento esortando docenti e allievi al dialogo. “Probabile che la situazione pandemica abbia accentuato la sensazione di abbandono, soprattutto tra gli studenti più in difficoltà. Ma noi abbiamo cercato di fare il possibile” commenta Calcagnini al Ducato.

L’importanza e il peso della responsabilità che detiene il mondo della formazione sono chiari: non è perciò casuale la scelta del tema della lectio magistralis, tenuta dal manager ed economista Innocenzo Cipolletta. “L’innovazione è sempre stata e sempre sarà la molla della crescita” dice all’inizio della dissertazione dal titolo: “La fatica di innovare”.

“L’innovazione è sovversiva”

Il successo passa per numerosi fallimenti, e il progresso si raggiunge superando i vari ostacoli lungo il percorso. Questo il core-concept della lezione di Cipolletta, che per decenni ha osservato l’economia studiandone i cambiamenti – previsti e non – derivanti dall’evoluzione delle tecnologie. “Le innovazioni non nascono nelle cantine di un genio solitario, ma sono il prodotto di milioni di sforzi, insuccessi ed errori”.

La vera innovazione è quindi “trasgressiva ed eversiva, perché sovverte abitudini, interessi, gerarchie e valori. Per questo spesso è ostacolata dal complesso di norme e di prassi esistenti, disegnate sulla base di vecchie e consolidate tecniche”. Da qui il paragone con l’invenzione della stampa, la nascita della censura e le abitudini che sono arrivate fino ai giorni nostri.

L’economista parla anche dei cambiamenti necessari per combattere la crisi climatica: dai sistemi di riscaldamento a una nuova educazione alimentare. Non manca, poi, il riferimento alla sanità, che per innovarsi ha bisogno del consenso da parte delle popolazioni.

In chiusura della lectio un’esortazione alla collaborazione: sta a noi costruire un mondo più inclusivo, collaborativo e aperto al progresso tecnologico e sociale “se sapremo guardare con spirito aperto ai grandi cambiamenti che ci attendono e se sapremo volgerli a vantaggio di tutti, senza rimanere centrati sui nostri interessi di breve termine e senza cedere alla paura del nuovo”.

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