Sciopero medici: 1 e 2 marzo chiusi alcuni ambulatori. “Non siamo tappabuchi”

Medici e Protezione civile al lavoro all'ospedale di Pesaro (foto di Davide Nubile)
di CECILIA ROSSI

PESARO-URBINO – Si alza la voce dei medici di base. I sindacati nazionali Smi e Simet – il Sindacato medici italiani e il Sindacato italiano medici del territorio –  hanno indetto, per l’1 e il 2 marzo, uno sciopero per far sentire “il malessere della categoria”. I pazienti quindi potranno trovare alcuni ambulatori chiusi, anche nella provincia di Pesaro e Urbino. Sui circa 400 medici presenti in provincia, saranno circa 30 a scioperare. A dirlo è il dottor Nicola Colonna, segretario provinciale Smi.  È anche un medico di base, convenzionato dal 1984, che opera a Fano e Cartoceto.

“Siamo diventati dei tappabuchi”

“Dobbiamo difendere con le unghie e con i denti i nostri diritti di lavoratori e pazienti” spiega Colonna. “Il problema più importante che riguarda il nostro territorio è la carenza di guardie mediche. Per trovarne una ormai bisogna andare a ‘Chi l’ha visto?'” scherza, ma aggiunge. “La Regione, non trovandole, chiede ai noi di sostituirle, su base volontaria. Così finiamo per essere usati come tappabuchi, stravolgendo turni e orari e senza ricevere un compenso adeguato”.

Nonostante la carenza è prevista l’apertura di altre Case della salute, anche nelle Marche. Si tratta di strutture che garantiscono un’assistenza socio-sanitaria completa, tutti i giorni e a tutte le ore, dove si curano pazienti, soprattutto fragili e anziani, che non necessitano di andare in ospedale o al pronto soccorso.  Al suo interno lavorano diverse figure professionali, dagli specialisti, agli infermieri, ai medici di base. Nelle Marche sono 21, tra cui una ad Urbino, in via Gramsci.

Il governo ha deciso di finanziare più di mille nuove Case della Salute (o Case della comunità) con 2 miliardi di euro provenienti dai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Ma Colonna ribatte: “Rimarranno vuote, perché non c’è personale. Anche quando andiamo in ferie o in malattia, a sostituirci spesso sono dei neolaureati ancora inesperti, costretti a vivere di contratti precari. Quando sono stato a casa perché ero positivo al Covid, al mio posto è andato un giovane appena uscito dalle aule universitarie”.

I disagi che ricadono sui pazienti

Le difficoltà nel settore della Sanità non colpiscono soltanto chi si occupa delle cure, ma anche chi le riceve, secondo Colonna. “C’è il problema, ormai perenne, delle cosiddette ‘liste bloccate'”. Si tratta delle liste d’attesa che stabiliscono la priorità per visite, esami, ricoveri e interventi e di conseguenza la data in cui il paziente potrà usufruire del servizio. Vengono definite “bloccate” perché può succedere che non sia possibile prenotare a causa di una sospensione temporanea del servizio o che gli appuntamenti siano fissati per una data molto lontana nel tempo.

Colonna ne critica aspramente la gestione: “I tempi d’attesa per una prestazione sanitaria con la mutua sono insostenibili, quindi spesso mi trovo costretto ad aggiungere l’etichetta ‘urgente’ per facilitare i miei pazienti”. E fa un esempio: “Per una mammografia devi aspettare anche due anni a Fano e Urbino”.

Ma non solo: nel territorio spesso mancano anche le strutture. “Certi interventi costringono alcuni pazienti ad andare anche molto lontano: nella nostra provincia le cataratte non si fanno praticamente più e sono costretto a mandarli a Macerata. Anche nel caso di anziani che hanno difficoltà a spostarsi così lontano. Un mio paziente che era andato proprio lì per un intervento ha scoperto che il macchinario era rotto solo una volta arrivato. Nessuno lo aveva avvisato” racconta.

Gli indennizzi arrivano, ma pochi e tardi

Molte critiche sono rivolte anche al Governo. Colonna si schiera contro il finanziamento da 15 milioni di euro per il fondo destinato a risarcire le famiglie di tutti quei medici, infermieri e personale sanitario che sono morti a causa del Coronavirus. Approvato il 19 febbraio scorso dal Consiglio dei Ministri, l’indennizzo verrà erogato tramite i fondi del Pnrr.

A essere risarciti saranno i parenti dei medici convenzionati, cioè di quei liberi professionisti  non dipendenti del Sistema sanitario nazionale, e che per questo non godevano della copertura assicurativa dell’Inail – l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Dei quasi 400 medici e odontoiatri italiani scomparsi con la pandemia, più della metà erano convenzionati.

“Dei miei colleghi sono morti mentre facevano il loro lavoro, ammalandosi per colpa del virus che stavano combattendo. Ma le loro famiglie hanno dovuto aspettare anche due anni prima che arrivassero dei soldi” fa sapere Colonna, che aggiunge: “L’indennizzo che arriverà è assolutamente irrisorio”.  Sono più di 250 le famiglie, in tutta Italia, che hanno diritto a riceverlo, a cui verrà corrisposto un indennizzo che oscilla quindi tra i 50 e i 60 mila euro, che, conclude Colonna, “non possono essere considerati sufficienti”.

About the Author

Cecilia Rossi
Nata e cresciuta nelle Marche, studio a Urbino, dove mi laureo in Comunicazione con una tesi sull'involuzione autoritaria in Ungheria. Ho vissuto per sei mesi a Bruxelles, dove non ho migliorato il mio francese, ma in compenso ho studiato un po' di economia. La maggior parte del tempo leggo libri, lavoro a maglia e mi perdo nei documentari.

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