La famiglia di Luda in Ucraina, tra il fronte e la città: “Non sentivamo Vlad da tre giorni”

Lyudmyla Fursa, detta Luda, mentre legge le chat con i suoi parenti su Viber
di CECILIA ROSSI

TAVOLETO – “Sono giorni molto difficili perché ogni volta che guardo il telegiornale vedo svanire il mio sogno: tornare in patria, in Ucraina”.  A parlare è Lyudmyla Fursa, che in Italia si fa chiamare Luda. “Speravo di tornare per godermi la pensione in serenità con la mia famiglia, come ho sempre voluto”.

Un ricordo della sua patria lo tiene sempre in tasca: è un cioccolatino dall’incarto rosa e viola, con al centro il viso di una donna fiera e con le labbra carnose accese da un rossetto rosso. Sotto di lei una scritta bianca: Madam Buvoge. “Questo dolcetto si produce sia in Ucraina che in Russia” spiega Luda. “Questa è una delle tante cose che abbiamo in comune, eppure c’è la guerra”.

La città al confine con l’Occidente

Anche Luda, come la donna disegnata sulla carta dei cioccolatini, indossa del rossetto. Ha i capelli corti e biondi, ben sistemati. Oggi vive a Tavoleto: meno di 900 abitanti al confine tra Marche ed Emilia Romagna, dove lavora come badante. Ma la città di Luda è un’altra, molto più grande: si chiama Kamianets Podilskyi, dove vivono più di centomila persone, a meno di 250 chilometri dal confine con la Romania.

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La sua posizione geografica le ha conferito negli ultimi giorni un’importanza strategica: “La mia città è una tappa obbligata per chi viene dall’Est. Passano tutti da lì. Prima era piena di turisti perché è una città molto bella, antica. Oggi è meta degli ucraini che fuggono verso l’Europa”, racconta. “Mio figlio Nazar lavora come benzinaio e mi racconta che tutti i giorni ci sono file infinite di macchine che fanno il pieno. Poi ripartono dirette verso il confine, per andare in Romania, ma anche in Slovacchia, Ungheria e Polonia”.

Il rifugio in cantina

Nazar ha 46 anni e vive a Kamianets Podilskyi con la moglie Clarissa e il figlio Mark, di 14 anni. “Prima il coronavirus, ora la guerra, è troppo tempo che mio nipote non va più a scuola”, racconta Luda. “Le scuole dalla scorsa settimana sono tutte chiuse e lui sta a casa a fare quello che gli piace, disegnare, ma anche cucinare quando è possibile, perché spesso devono scendere di sotto”.

“Di sotto” è la cantina, l’unico luogo sicuro del condominio di periferia in cui vivono. La città è ancora libera e non c’è stato nessun attacco, “ma già in certi momenti si sentono le sirene che avvisano di andare a trovarsi un riparo. Allora vanno tutti di sotto, per stare più sicuri. Ma quando Nazar è al lavoro la cantina non c’è. Se parte la sirena e lui è alla pompa di benzina, può solo stare lì e continuare a lavorare con il rumore intorno”.

“Mamma non mi chiedere troppo, non mi sento sicuro”

Nelle ore in cui suo figlio ha il turno di lavoro, Luda è sempre in tensione. Nazar lo sa e la chiama tre volte al giorno, così che sua madre può assicurarsi che lui è lì, al telefono, che parla con lei e che tutto va ancora bene. “È un bravo ragazzo, non mi fa mai preoccupare” dice Luda e apre la chat di Viber su cui si scambiano messaggi nell’alfabeto cirillico.

Non c’è nessuna foto, solo qualche link  che rimanda a dei post di diversi social media dove si parla della guerra, caricati dai profili di altre persone che stanno in Ucraina. Nazar è stato chiaro fin dall’inizio: “Mamma non mi chiedere troppo, perché non si può parlare. Non mi sento sicuro”. Luda quindi si accontenta delle sue tre chiamate al giorno e delle foto di disegni, intagli e collage che le manda suo nipote.

La telefonata di Vlad dal fronte

Più difficile è la situazione di un’altra madre, Clarissa, la moglie di Nazar. Si sono sposati quando lei era già mamma di Vlad, avuto dal matrimonio precedente. Vlad ha 23 anni e, nell’unica foto che Luda ha di lui sul telefono, mostra fieramente, ai bordi di un lago, un pesce appena pescato in una giornata d’estate. Vlad ha i capelli cortissimi,  lo sguardo contento e braccia che mostrano muscoli guizzanti. Si è arruolato nell’esercito appena ha compiuto venti anni e in questi giorni è uno dei tanti soldati al fronte.

Aveva fatto visita alla famiglia l’estate scorsa, poi a settembre era tornato alla vita di caserma insieme ai compagni. Nemmeno sei mesi dopo è scoppiata la guerra ed è partito verso Est per frenare l’avanzata russa. L’ultima volta che Clarissa e Nazar lo avevano sentito era il giorno dopo l’inizio del conflitto, giovedì sera, e Vlad si trovava a dieci chilometri dal confine con la Russia. Poi per tre giorni interi dal suo contatto di Viber non è più arrivato nessun messaggio e non si sono avute più sue notizie. “Ieri sera all’improvviso Clarissa ha ricevuto una chiamata” racconta Luda, “lei e Vlad sono stati al telefono solo un secondo. Lui le ha detto ‘ciao mamma, sto bene’, poi ha subito riattaccato ed è tornato a fare il suo lavoro”.

L’oasi sicura del villaggio

In Ucraina Luda ha anche un marito, che vive nella loro casa in mezzo alla campagna, a 50 km dalla città, in quello che Luda definisce “il villaggio”. Non è preoccupata per lui, dice, “perché chi sta lontano dai centri, in mezzo ai campi non sente le sirene e non vede i carrarmati, quelli sono solo nelle città”. In quella casa che oggi sembra trovarsi in una bolla ovattata, lontana dai rumori delle bombe e degli spari, Luda torna ogni estate “per raccogliere le patate con la famiglia”, nel suo mese di vacanza.

“La nostra casa è bellissima e molto grande, ha i muri tutti ricoperti di piastrelle colorate” e aggiunge, “se peggiorasse la situazione in città sarà lì che andrà mio figlio con la sua famiglia, per stare più al sicuro. Ma ancora non se ne parla”. Sicuramente non potranno muoversi verso l’Italia, perché “gli uomini dai 18 ai 60 anni non possono più lasciare il Paese e prima non ci avevamo proprio pensato”, precisa Luda.

È sparito il futuro

“Mai come ora vorrei essere a casa, vicino ai miei cari”, confessa Luda. “Ho sempre pensato che tutti i soldi che mandavo nella mia patria, quelli che risparmiavo lavorando in Italia, sarebbero serviti per vivere la pensione tranquilla. Prima piangevo per la nostalgia di mio nipote, di mio figlio. Oggi piango per la paura che ho per loro”.

All’ora di cena, Luda si mette a preparare una minestra calda. Dice che parlare dell’Ucraina le fa bene e male allo stesso tempo. E che in questo momento preferirebbe cucinare un bel boršč, la zuppa dal colore rosso intenso, quasi sanguigno, fatta di barbabietola e patate, servita con panna acida e pane di segale. “Ognuno vuole solo stare a casa sua e ora ho paura che la mia non ci sarà più dopo la guerra. Non vedo più la vita, non vedo più il futuro”.

About the Author

Cecilia Rossi
Nata e cresciuta nelle Marche, studio a Urbino, dove mi laureo in Comunicazione con una tesi sull'involuzione autoritaria in Ungheria. Ho vissuto per sei mesi a Bruxelles, dove non ho migliorato il mio francese, ma in compenso ho studiato un po' di economia. La maggior parte del tempo leggo libri, lavoro a maglia e mi perdo nei documentari.

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