Guerra “live” e memoria, tutti i rischi dell’informazione sul conflitto

di STEFANO SCIBILIA

URBINO – “Vogliamo fornirvi gli strumenti per muoversi tra questa valanga di informazioni opprimenti”. Così il rettore dell’Università di Urbino, Giorgio Calcagnini, in un’Aula magna gremita di studenti, cittadini e docenti, ha aperto il seminario “Guerra in diretta: media e opinione pubblica nel conflitto Russia-Ucraina”.

Di fronte al dramma e “all’assurdità della guerra” ci troviamo spaesati, impreparati e spaventati. La comunicazione è fondamentale per comprendere ciò che ci circonda. Da questo nasce il convegno dell’UniUrb per parlare di come si racconta ciò che accade a est, tra Russia e Ucraina. L’ateneo già alcuni giorni fa aveva istituito 17 borse di studio a sostegno degli studenti ucraini. Antonella Negri, Prorettrice allo Sviluppo di Partenariati Strategici Nazionali e Internazionali, nel suo intervento ha fatto il punto dell’iniziativa, ringraziando “coloro che hanno collaborato. Senza il sostegno ricevuto non saremmo qui a parlarne”. Tuttavia ancora non si registrano posti assegnati. “I tempi di realizzazione sono incerti”, ha detto Negri.

Giovanni Boccia Artieri, Prorettore alla Didattica e alla Comunicazione, ha riportato il convegno sui binari mediali. Parlando dei possibili impatti dei media sull’opinione pubblica, il docente ha ribadito l’importanza della tipologia di approccio di chi oggi fa comunicazione e si occupa di temi complessi come i conflitti armati: “Questa è una guerra in diretta che siamo in grado di vedere ogni secondo attraverso i media, il che inevitabilmente influenza l’opinione pubblica”. Una occasione che “se usata bene può rappresentare la base della comunicazione”, ha concluso.

Il media televisivo gioca un ruolo fondamentale. Edoardo Crisafulli, dell’Istituto italiano di Cultura di Kiev, ha fatto notare la differenza tra come la capitale ucraina stia vivendo il conflitto rispetto a come viene raccontato in televisione. “Sono rimasto molto colpito dalla superficialità con cui viene trattata la guerra nei programmi tv”, accusa. “A volte le ideologie si impadroniscono del linguaggio, attraverso l’utilizzo di termini che non hanno nulla a che vedere con la realtà. La cultura – prosegue – è l’unica cosa che può permetterci di ricostruire la pace”. Per perseguire l’obiettivo, bisogna “studiare la storia e documentarsi su quello che l’uomo ha già fatto”. A causa della pandemia prima e della guerra poi, l’informazione “si muove per fornire i mezzi necessari, ma spesso – ha detto Crisafulli – molti opinionisti sono vittime dei loro personaggi”. Alcuni giornalisti, invece, “come Francesca Mannocchi ogni giorno raccontano la guerra direttamente dall’Ucraina e offrono un servizio pubblico di tutto rispetto”.

UCRAINA-URBINO – Le storie dal territorio e degli inviati al fronte

Collegato online Andrea Fagoni, Chief Client Officer Ipsos, ha presentato con le statistiche come i cittadini italiani stanno reagendo al tema del conflitto. “In questo momento la guerra è il principale fattore di preoccupazione dell’Europa – ha spiegato Fagoni – Eppure quasi un terzo degli italiani si dichiara poco o per nulla informato su quanto sta accadendo, mentre solo una piccola parte si dice esperta”. Fondamentali sono anche le fonti su cui gli italiani decidono di informarsi, soprattutto online. In questo caso “la scelta principale è legata ai suggerimenti che arrivano dagli algoritmi e questo favorisce lo sviluppo delle fake news”.

Dai dati Ipsos risulta come ci sia incertezza anche quando si pensa a come la guerra possa evolversi. In molti credono che sanzioni e aiuti militari siano da evitare, perché entrambi i provvedimenti potrebbero causare perdite economiche. Altro punto critico sono le conseguenze politiche. Ilvo Diamanti, Prorettore alle Relazioni Pubbliche, ha fatto riferimento alle elezioni in Francia, che “subiscono le conseguenze della guerra in modo contraddittorio. Il 50% dei candidati al primo turno non si è espresso contro il conflitto in atto. Questo momento storico lascerà segni profondi”. Per quanto riguarda l’opinione pubblica il discorso è complesso: “Tutto dipenderà dal modo in cui fenomeni, come la pandemia o la guerra, vengono raccontati”. C’è spazio per un monito finale. “Senza la memoria non esiste futuro – ha concluso Diamanti – e per questo motivo il ruolo di chi oggi racconta il presente sarà importante per tutti coloro che verranno”.

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