La “Covid generation” alla Maturità. “Mai nessuno come noi”

di ROBERTA ROTELLI e SARA SPIMPOLO

URBINO – È la prima maturità della “Generazione Covid”, quella che negli ultimi tre anni ha fatto i conti con la pandemia. Due dei quali  tra lezioni virtuali e interrogazioni svolte davanti a uno schermo, spesso con l’aiuto di un quaderno di appunti. È stata affrontata combattendo anche contro dei nemici nuovi che si chiamano ansia, depressione, apatia, nati dall’abuso forzato di strumenti didattici compensativi (come la didattica a distanza), che invece di salvarli in alcuni casi hanno complicato la vita. E che sono esplosi con il ritorno in presenza nelle classi.

La maturità dopo la Dad

Lo conferma la professoressa Federica Ciaroni, docente di spagnolo e coordinatrice di una classe quinta al liceo Laurana Baldi: “Il ritorno sui banchi per molti è stato difficile: alcuni studenti avevano l’ansia di dover recuperare ciò che non avevano approfondito in Dad e il terrore della prestazione. Quando hanno saputo che la maturità avrebbe avuto le prove scritte, hanno protestato moltissimo. L’hanno vissuta come una grande ingiustizia perché si sentivano penalizzati”.

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Fino all’anno scorso infatti la maturità consisteva in un solo colloquio orale, sostenuto di fronte a una commissione di docenti interni alla classe. Quest’anno studenti e studentesse dovranno affrontare la prova di italiano, la seconda prova sulla materia di indirizzo e un colloquio orale, che sarà un percorso multidisciplinare da svolgere a partire da un argomento scelto dalla commissione d’esame. Visto da fuori potrebbe sembrare un esame accessibile ma parlando con i giovani che lo stanno preparando si scoprono una serie di problematiche che la Dad ha accentuato e trascinato con sé fino a oggi.

Apatia e difficoltà nello studio: i racconti di studenti e studentesse

Come nel caso di Luca, uno studente di quinta del liceo Laurana Baldi, che a causa della sua fragilità di salute è stato costretto a seguire le lezioni da remoto per più di un anno e mezzo. “Ho fatto molta fatica a riprendere il ritmo della scuola in presenza quest’anno – racconta al Ducato – Da un lato ero felice di vedere di nuovo i compagni ma dall’altro stando a casa mi ero abituato a studiare la sera dopo cena e con i ritmi della scuola ero sempre stanco perché non recuperavo le ore di sonno perse. Ci ho messo due mesi a rimettermi in carreggiata”. Luca spiega che per studiare gli era risultato utile fare quelli che lui chiama “gruppi virtuali” sulla piattaforma Meet, ma quando poteva si incontrava personalmente con un amico: “Io sono bravo in matematica, lui in filosofia. Insieme ci compensavamo e ci facevamo forza a vicenda”.

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Giulia invece parla di quella “apatia” che per lei è iniziata nell’estate 2020 ed è proseguita anche durante l’anno successivo: “Io ho sofferto tanto stando chiusa a casa: lontano dai compagni mi sono sentita sola anche perché sono figlia unica, e se avessi potuto sarei tornata a scuola subito. Quando però le zone rosse sono state tolte, e si poteva ricominciare a uscire, io non avevo più voglia di farlo. Ho passato almeno due mesi senza riuscire a trovare il senso e il piacere di fare le cose. Poi arrivavano i sensi di colpa, perché avrei voluto studiare ma non ci riuscivo. Sono voluta andare da uno psicologo per farmi aiutare”.

L’assenza di dialogo in classe

Anche un’altra Giulia ha scelto di iniziare un percorso psicologico dopo il periodo del Covid. “La Dad l’avevo vissuta in maniera abbastanza tranquilla, anche se lo studio ne ha risentito – racconta al Ducato – ma quando sono tornata a scuola ho vissuto come un peso le preoccupazioni legate alle distanze, al non poter mantenere il contatto fisico. L’abbraccio, lo scherzo, la spinta: sono cose che mi sono mancate molto. Essendo un sistema nuovo è stato difficile adattarsi anche per gli insegnanti”.

Giulia spiega che avrebbe voluto che si prestasse maggiore attenzione in classe all’aspetto psicologico legato al periodo del Covid, ma così non è stato. “Si percepiva la tensione e la paura dai parte dei docenti di non finire il programma, di non essere in pari. Ma non c’è stato dialogo, come se tutti volessimo evitare di parlare di ciò che avevamo passato. Sono rimasta delusa, soprattutto perché io faccio il liceo delle scienze umane, quello che studiamo è proprio l’attenzione alla psicologia”.

Le psicologhe: “Aumento dei casi, poca attenzione al malessere dei ragazzi”

A tracciare la gravità del quadro psicologico legato al post-Covid per i liceali sono le psicologhe del territorio, che hanno riscontrato un aumento di casi di ansia, attacchi di panico, difficoltà a frequentare la scuola, fino ad arrivare all’abbandono scolastico e all’autolesionismo. “La ripercussione inizia a farsi sentire adesso in maniera importante, perché prima era tutto insabbiato dall’emergenza – spiega al Ducato la dottoressa Elisa Bellucci, che pratica anche su Urbino – Questi due anni di stop sono corrisposti a un rientro a scuola fanno di verifiche e compiti, e c’è stata più attenzione alla didattica che alla componente emotiva e al malessere di questi ragazzi”.

Una situazione pesante “soprattutto per chi ora si trova ad affrontare la maturità – continua Bellucci – e non ha un altro anno per riabituarsi. Spesso emerge dai colloqui che avrebbero avuto bisogno di un confronto maggiore in classe. Si sono ritrovati a dover replicare le modalità di didattica precedenti come se non fosse successo niente, e invece sono stati due anni terribili, che avrebbero forse richiesto un graduale riaccompagno. Va tenuto poi in conto che, anche se la cultura della salute mentale è molto più radicata che nel passato nei ragazzi e nei loro genitori, non tutti hanno la possibilità di farsi aiutare”.

Salute mentale, per alcuni è un lusso

Si trova d’accordo la dottoressa Laura Piccinini, anche lei psicologa su Urbino: “Un intervento precoce, in quest’età flessibile, non ha paragoni rispetto a uno tardivo. Ma non tutti hanno le risorse per attivarlo. Con l’isolamento e la mancanza di socializzazione tutte le abilità sociali che i ragazzini stavano allenando sono state stoppate, e chi era già in difficoltà ha dovuto praticamente ricominciare da capo”.

Il divario sociale allargato dal Covid si tocca nel mano anche nelle vite di questi ragazzi e ragazze: “Questa maturità può rappresentare una chiusura del cerchio – spiega Piccinini – l’affaccio nella vita adulta, le novità, l’allontanamento da un periodo negativo. Ma c’è una grande differenza tra chi ha avuto la possibilità di sognare e poi pianificare il suo futuro, e chi invece arriva alla maturità in una grande incertezza”.

È d’accordo la dottoressa Valeria Betti, che tiene uno sportello d’ascolto psicologico in tre dei quattro licei di Urbino. “Le problematiche sono trasversali a tutti gli istituti – dice al Ducato – ansia da prestazione e attacchi di panico si ritrovano nel 70 per cento degli studenti su tutti i plessi, oltre a disturbi alimentari e del sonno. Oltre alla dipendenza da ausili informatici, da dopo il Covid sono in crescita anche i disturbi ossessivo compulsivi e di isolamento sociale”. In difficoltà anche gli stessi insegnanti: “Molti sono stati alle porte del burnout, e alcuni lo anche attraversato”.

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