Gianrico Carofiglio: “Parlare di meno e ascoltare di più, è tempo di dire ‘comunità’ e non ‘popolo'”

di ENRICO MASCILLI MIGLIORINI

URBINO – Gianrico Carofiglio è un personaggio pubblico in Italia. Spesso opinionista in tv e in cima alla classifica dei romanzi più venduti, nasce come magistrato impegnato nella lotta alle mafie. Nel 2007 è nominato consulente della commissione parlamentare antimafia e dal 2008 al 2013 è senatore della Repubblica per il Partito Democratico. Conduce Dilemmi in seconda serata su Rai3 ogni lunedì e ha vinto 16 premi letterari ma non lo Strega. Il Ducato gli chiede di rispondere ad alcune domande in vista della sua lectio che apre il Festival la mattina di sabato 8 ottobre.

“Le parole sono pistole cariche” è il titolo della sua lectio, che apre il Festival. Il titolo ricorda un suo testo, La manomissione delle parole, di cui è uscita una riedizione nel 2021. Perché c’è stato bisogno di aggiornarlo?

Non parlerei di bisogno, però con l’editore abbiamo pensato che se molte delle cose che c’erano nel testo del 2010 si applicano ancora al presente, in questi dieci anni è cambiato molto. La prima edizione è uscita in piena epopea berlusconiana, che sembrava il limite estremo della distorsione del linguaggio e della propaganda. Poi abbiamo visto i populismi, che per dolo o anche solo per sciatteria hanno ulteriormente manipolato la lingua e la comunicazione.

Cosa hanno aggiunto?

L’uso abusivo del concetto di popolo. I populisti, penso ai primi 5 Stelle o a Salvini (non la Lega in toto), parlano del popolo come di un’entità monolitica, parlando di una volontà popolare unitaria in modo fuorviante e pericoloso. Questa volontà popolare unitaria non esiste ed è un pericoloso strumento di propaganda. Questa nuova edizione cerca di riflettere anche su questo tema, delicatissimo.

Quali parole si sono imposte in questi anni? Una positiva e una negativa.

Positiva comunità e negativa popolo. Sono due concetti, oltre che parole, che nel libro sono messi in contrapposizione e che si sono imposti nel dibattito pubblico in questi dieci anni. Popolo è una parola che va criticata, per le ragioni che ho detto prima. Mi piace invece la parola comunità, perché esprime in maniera efficace la coesistenza di più persone in pace. Che poi è l’idea del progetto di democrazia: persone diverse che rivendicano di essere diverse e comunque trovano le ragioni per restare assieme. Questa è – dovrebbe essere – la politica.

A questo servono le parole?

Le parole sono armi, appunto. E le armi possono offendere ma anche difendere, sono strumenti potenti. Possono cambiare il mondo in una direzione migliore, se usate in maniera consapevole. Allora molte cose vengono da sé. Il tema è diventare consapevoli, dei cittadini responsabili. La consapevolezza è parte di una cura in cui rientra anche la cura del linguaggio. È un tirocinio per diventare membri nella comunità e non sudditi.

L’intellettuale ha la responsabilità di far arrivare questi concetti a tutti? Crede che il suo libro avrà un impatto anche politico?

Per me non esiste alcuna chiamata alle armi dell’intellettuale. Intellettuale chi, poi? Tutti hanno un ruolo politico. Lo spirito degli interventi nel servizio pubblico è tentare di far capire che bisogna prendere parte, parte ideale non per forza politica. Difficile dire quale sia l’impatto di un libro. In tanti mi dicono di avere letto e di condividere. Molti di costoro poi sono stati protagonisti di una campagna elettorale – mi riferisco a quella del centrosinistra – strategicamente e comunicativamente sbagliata.

Cosa si può fare per proteggersi dalle parole usate male?

Per proteggersi bisogna ascoltare davvero, siamo travolti dal rumore di fondo e non ascoltiamo e non leggiamo davvero. Parlare meno e ascoltare. Così si capisce quando le parole vengono trasformate in oggetti contundenti, come nella propaganda. Da noi e nel mondo.

Un esempio?

Il più recente: Putin che chiama “operazione militare speciale” una guerra criminale di aggressione.

About the Author

Enrico Mascilli Migliorini
Irpino innamorato del mare parlo solo e volentieri di musica. Nasco nel 1994 e mi laureo in Storia con una tesi sulla censura e il primo catalogo dei libri proibiti nella triennale a Firenze. Nella tesi di laurea magistrale a Bologna studio il popolo rom, detto zingaro, diventato parte integrante della mia vita soprattutto grazie al progetto CNR-UE Municipality 4 Roma.

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