Social e web: la cultura è anche qui, ma l’intellettuale fatica ad adeguarsi. Presentata a Urbino la ricerca di Ipsos e Larica

 di BEATRICE GRECO

URBINO – La cultura non è morta, ha solo trovato nuove vie per esprimersi. A farla da padrone sono ormai – e da tempo – il mondo digitale e i social, che però non sono ancora conosciuti e sfruttati a pieno. Sta un po’ meno bene invece la figura dell'”intellettuale”, che non è stato in grado di adeguarsi ai tempi che corrono. È uno dei verdetti della ricerca Informazione culturale. Tra occasioni (perse?) e nuove opportunità presentata nel corso della giornata inaugurale della decima edizione del Festival del giornalismo culturale.

Realizzata da Ipsos, in collaborazione con l’Osservatorio News-Italia e LaRica, il Laboratorio di ricerca sulla comunicazione avanzata dell’Università di Urbino, mostra che solo il 36% del campione intervistato ritiene importante dedicare tempo all’approfondimento culturale. “Un dato non altissimo – ammette Andrea Fagnoni, chief client officer di Ipsos – ma è pur vero che le persone entrano in contatto con contenuti culturali molto più spesso di quello che credono”. Questo perché, secondo Fagnoni, la cultura non è più solo quella alta, accademica, ma è un contenitore più ampio, che subisce trasformazioni con il tempo e deve assumere nuove forme. “Prendiamo ad esempio un ragazzino che va al cinema a vedere un film, in cui si parla anche della Seconda guerra mondiale. Poi, incuriosito, cerca online qualche altra informazione. Questa è apertura alla cultura” afferma Fagnoni.

La vera sfida per i contenuti culturali e chi li veicola è adeguarsi ai mezzi. Forse è per questo che l’approccio avviene sempre meno attraverso i canali tradizionali. Riviste cartacee e inserti culturali sono stati surclassati dalla televisione e ancor più dal mondo digitale. Più di 6 persone su 10 utilizzano i siti web per avvicinarsi ad argomenti di approfondimento. Il 42% del campione usa la tv e la stessa percentuale usa i social network. Facebook, Instagram e YouTube sono, al momento, i più usati per la ricerca, seppur con differenziazioni date dalle fasce d’età che usano maggiormente il mezzo. Ancora marginale il ruolo di TikTok, usato dal 13% degli intervistati.

La centralità dei social nell’approfondimento culturale

“I social funzionano da ponte per l’approfondimento – spiega Lella Mazzoli, sociologa e direttrice del Festival e dell’Istituto per la formazione al giornalismo – , pensiamo a Instagram: da un video o da una foto si può passare alla didascalia e da lì arrivare fino a siti e contenuti culturali”. Rispetto agli altri media, ciò che premia l’online, e soprattutto i social network, è proprio la facilità di fruizione dei contenuti. Per il 58% del campione la modalità più gradita di accesso all’informazione è l’online (cui si accede quasi esclusivamente da smartphone), seguita dalla televisione, con un tasso di gradimento del 45%. “Non è giusto pensare ai social come a strumenti superficiali – avverte Mazzoli – in potenza sono molto ricchi, il problema è l’uso che ne facciamo e la competenza che abbiamo del mezzo. Con la tv abbiamo capito come cercare e dove trovare contenuti culturali. Ma con i social facciamo ancora fatica”.

“Online la fruizione piace perché mischia video, immagini, suoni e testi. Crea cioè interazione e interattività. Lo stesso deve fare la cultura: deve prendere vita” afferma Fagnoni. Ancora il 30% di chi si approccia a temi di approfondimento li scopre solo per caso. “Gli editori, cioè tutti coloro che immettono informazione in Rete o su carta, ancora non si sono accorti che le pratiche di cultura sono cambiate” attacca Mazzoli, cui fa eco Fagnoni: “Questo 30% è un’opportunità enorme. Dobbiamo agevolare l’incontro tra domanda e offerta, così da facilitare le persone a trovare i contenuti di cui hanno curiosità”. Per entrambi la soluzione per accrescere l’attenzione ai temi culturali è una maggiore sinergia tra i canali comunicativi.

Il podcast

Per accedere ad approfondimenti culturali un ruolo crescente e sempre più importante lo gioca il podcast. A usarlo è il 26% del campione. Percentuale che sale tra i più giovani, fino ad arrivare al 33% nella fascia tra i 18 e i 34 anni. E l’affermazione del podcast è dovuta, infatti, alla sinergia con i social: tra chi lo utilizza ben 7 persone su 10 ne ha prima sentito parlare sui social network.

Per alcuni è un successo dovuto alla pigrizia degli utenti. “Non credo sia così – dice Mazzoli – , il podcast è recupero di una forma di comunicazione antica, ma ancora molto forte. Piace sempre ascoltare la voce, le storie. Ma il podcast ha al suo interno molte cose: è costruito, ha bisogno di collegamenti, di ricerca. È una narrazione completa e sicuramente è un modo efficiente di informarsi, perché si può ascoltare pur avendo altro da fare”.

Ma esiste ancora “l’intellettuale”?

Ad avere la peggio nella ricerca non è la cultura, ma la figura dell’ intellettuale”. Più di 4 persone su 10 non sanno come definirlo. Un concetto sempre più sfumato, anche e soprattutto per rilevanza. Solo il 31% ritiene che sia una figura importante. “Non mi aspettavo una risposta diversa” afferma Mazzoli. “È inevitabile – spiega – che i concetti cambino con il tempo. Le innovazioni degli anni Duemila hanno fatto perdere forza al ruolo dell’intellettuale”. Per Mazzoli quello attuale è un momento di transizione da una figura a un’altra.

Non c’è più spazio per chi si chiude nella torre d’avorio, secondo Fagnoni, il quale  prende ad esempio Piero Angela. “È stato in grado di parlare a persone diverse, mostrando vicinanza al pubblico e voglia di dialogare. E soprattutto Angela ha saputo adeguarsi e adattarsi al mezzo a sua disposizione”. L’intellettuale, quindi, può esistere ancora, ma deve diventare un divulgatore, uno stimolatore di riflessioni.

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