Fossombrone, lancia liquido corrosivo a un vicino di cella. Detenuto a processo a Urbino

di FRANCESCA DE MARTINO

URBINO – Un detenuto in carcere a Fossombrone era nella sua cella quando il liquido corrosivo lanciato da un altro carcerato lo ha raggiunto mentre si stava vestendo: “Ero uscito dalla doccia e quando sono tornato in cella sono stato aggredito”, lo ha detto il trentatreenne davanti al giudice di pace di Urbino Paola Morosi. Il fatto è avvenuto nel primo pomeriggio del 3 ottobre 2016. Il capo d’imputazione per il presunto aggressore Ajari Bohrane, un quarantatreenne di origini tunisine “ossessionato” dalla jihad, è di percosse e nelle prossime udienze verranno sentiti l’imputato e gli altri testimoni del processo: due agenti della polizia penitenziaria e un detenuto italiano.

Ancora orrore e preoccupazione nel volto della vittima che nell’ottobre del 2016 ha riportato lesioni alla schiena, alla spalla destra e al braccio sinistro. L’imputato, secondo quanto riportato dalla vittima, era solito comportarsi in maniera prepotente con tutti e non era la prima volta che tra i due nasceva una discussione. “Quel pomeriggio, dopo che ero uscito dalla doccia e prima che entrassi in cella mi aveva messo le mani al collo accusandomi di avergli procurato un taglio in viso. Insieme a me c’era un altro detenuto italiano – ha raccontato la vittima – poi Ajari è ritornato nella sua cella, vicina alla mia, e con la scusa di andare a prendere qualcosa in frigo è uscito di nuovo per colpirmi”. Entrambi, detenuti per simili reati tra cui spaccio di droga, risiedono nelle celle singole della sezione chiusa della struttura carceraria di Fossombrone.

“Il liquido era in una ciotola – ha riferito il trentatreenne rispondendo alla pm Catia Letizi – e lo ha lanciato dalle sbarre della mia cella chiusa perché pensava che io fossi già nel letto a riposare. I letti in genere sono vicino alle sbarre e quindi è chiaro volesse colpire proprio me, ma io mi stavo ancora vestendo dall’altra parte della stanza e mi sono arrivati solo degli schizzi. Ho gridato aiuto, ma il personale sanitario non mi ha subito soccorso. Forse perché sono straniero e delinquente per loro – ha proseguito – la polizia penitenziaria è intervenuta solo poco dopo”.

L’imputato, con già 19 anni di pena da scontare per traffico di cocaina, ha un passato burrascoso con la giustizia: l’ultimo episodio risale al maggio scorso. Mentre era al carcere di Opera a Milano si era fatto ricoverare per accertamenti con un finto tentativo di suicidio al Fatebenefratelli di Milano per poi evadere. Dopo pochi giorni l’uomo era stato ritrovato e arrestato a Palermo mentre tentava la fuga dall’Italia. Fin dal 2014 era monitorato per la sua attitudine a predicare la jihad perché in carcere si era “autoproclamato” imam: arruolare i suoi compagni nella “guerra santa” era la sua ossessione.

“E’ una persona cattiva e non ha pietà per nessuno. Ho rischiato di morire quando a casa ho una moglie che mi aspetta e una situazione difficile. Lui lo sapeva e non gliene è importato nulla”, ha detto il trentatreenne alle domande del Pubblico ministero.

“Voleva portare sulla cattiva strada tutti quelli che, come me, vogliono uscire dal carcere una persona migliore. Sto anche studiando in carcere e lui, invece, quando veniva a scuola insieme agli altri compagni dava fastidio anche ai professori”, ha concluso la parte offesa.

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