Due suore raccontano la loro clausura: “Una prigione? No, a Urbino siamo felici”

Le suore e le monache di Urbino hanno partecipato ieri, nel giorno dedicato alla vita consacrata, alla messa nella chiesa di San Domenico. Presente l'arcivescono Giovanni Tani
di CHIARA UGOLINI

URBINO –  La porta di ingresso è aperta, ma non si può entrare nei locali del monastero di clausura. Ti viene indicata una porta accanto, del parlatorio, una stanza adibita proprio all’incontro con le persone ‘esterne’. Salta all’occhio la balaustra di legno che arriva ad altezza vita che divide l’ambiente in modo sproporzionato. Dalla parte più grande, un tavolo in legno e diverse sedie intorno. Dall’altra, suor Michaela, nata Milli Virginia Ferrari, che ti accoglie con due baci sulla guancia. Niente a che fare con gli incontri dietro le famose grate nere. Il contatto non è vietato, men che meno i sorrisi.

“Com’è la mia vita nel monastero di Santa Chiara a Urbino? Io sono felice e non mi sono mai pentita della mia scelta”, dice la monaca. Anche se non tutte sembrano aver avuto questa fortuna. Il mensile dell’Osservatore Romano, Donna Chiesa Mondo, ha denunciato qualche giorno fa l’aumento di casi di “burnout”, esaurimento e stress, causati da lavori umilianti, disparità di genere, organizzazioni antiquate all’interno delle strutture e abusi di potere e sessuali sulle suore. Non sembra essere però questa la realtà urbinate.

Suor Michaela vive nel monastero di Santa Chiara

“Ho sentito parlare, da altre monache, di realtà simili – ammette con dispiacere suor Michaela – ma noi siamo un monastero abbastanza aperto”. Nata a Gordona in Lombardia nel 1965, dall’età di 23 anni la monaca dedica la propria vita alla preghiera. “Sono sempre stata credente, ma più di andare a messa non facevo. Avevo amiche ‘casa e chiesa’, ma a me piaceva andare a ballare il liscio”. “A quel tempo non avrei mai pensato di prendere i voti – sorride la monaca – anzi, pensavo che chi sceglieva questo tipo di vita fosse matto”. Il nero della veste non rispecchia l’animo della donna, che parla e racconta quasi senza prendere fiato. Chiamata alla vocazione quando meno se lo aspettava: “Ero andata al mare con un gruppo di amici e lì abbiamo incontrato una signora che voleva leggerci le carte. Su trenta solo a me la cartomante ha detto di non immaginarmi mai con l’abito bianco all’altare con un uomo. Alla fine nessuno dei miei amici si è sposato, ha indovinato solo me”. E sulla pista da ballo, a passo di valzer tra le braccia di un ragazzo. “In quel momento mi sono resa conto che questa vita fuori mi annoiava – aggiunge sistemandosi gli occhiali da vista – non mi dava più gioia. Volevo solo tornare a casa e mettermi a pregare”.

In 31 anni a Santa Chiara “non ho mai visto situazioni spiacevoli. Ogni monastero però è a sé – sottolinea la monaca – dipende dalla Madre Superiora. Noi abbiamo avuto la fortuna di avere delle Madri che ci hanno sempre messo alla pari e abbiamo sempre avuto la possibilità di incontrare i nostri amici e familiari in tranquillità. Ma ci sono monasteri che hanno ancora le grate e non puoi nemmeno dare un abbraccio. Poi si lamentano che non hanno vocazioni, ma chi vuole una vita così al giorno d’oggi?”

La struttura una volta arrivava a ospitare 50 suore, adesso sono solo in 16. “L’ultima è entrata 11 anni fa e almeno una volta all’anno arriva qualcuno che pensa di avere la vocazione e poi dopo qualche mese esce. Molte si illudono che la nostra vita sia una vita beatificata che si prega solo, ma in verità si lavora molto, ci sono dei sacrifici”. Il calo di vocazioni è infatti uno dei problemi più sentiti e sono molti i monasteri che rischiano di chiudere.  “Anche se si è in poche, però, la quantità di lavoro da fare è lo stesso ed è molto stancante, specialmente per chi non è più giovane. Questo può essere stressante”, aggiunge suor Michaela. Le poche suore rimaste poi a volte temono spesso di essere spostate in un’altra struttura. “Così, quando arrivano delle ragazze nuove, nel tentativo di convincerle a restare, capita che alcune più anziane a volte siano più accondiscendenti, lascino le novizie più libere, non insegnandogli la vera vita di clausura. Oppure, al contrario, provano ad allontanarle dalle vecchie amicizie per inserirle esclusivamente nel monastero”.

Suor Maria Agostina vive nel monastero di S. Caterina D’Alessandria

“Il disagio però non è sempre colpa solo dell’altro”, sottolinea suor Maria Agostina, prima Maria Carmela, nata e cresciuta in provincia di Agrigento, in Sicilia, che vive nel monastero di S. Caterina D’Alessandria in via Saffi da 21 anni. Ha ricevuto due chiamate. “Letteralmente ho ricevuto due telefonate che mi hanno fatto capire quello che volevo – ride al ricordo la monaca – Due ragazze che conoscevo avevano deciso di intraprendere questo cammino. Tutte e due le volte ho chiuso la chiamata e ho pianto, perché ho pensato ‘perché loro sì e io non ho ancora trovato il mio posto?”

Il percorso non è semplice, anche per le scelte che comporta. La vocazione colpisce anche chi ti sta accanto. “I miei genitori all’inizio non avevano preso bene la notizia, hanno provato in tutti i modi a farmi cambiare idea. La lontananza da casa, il fatto di aver scelto la clausura. Poi hanno capito e accettato che non ero fuori di testa o non aveva preso questa decisione per delusioni”.

“Proprio perché non è semplice bisogna selezionare da subito le vere vocazioni, educarle. Poi ci sono dei momenti di difficoltà, devi resettarti quando entri, non annullarti però. Devi abituarti a una vita comunitaria, diversa da quella familiare. Confrontarti con età, culture ed educazioni diverse. Devi imparare ad armonizzarti come in un orchestra e ognuno deve fare la sua parte”. Le monache agostiniane ad aggi sono tredici, dai 27 agli 88 anni. L’ultima novizia, quasi giunta alla fine del suo periodo di prova, ha 28 anni ed è entrata nel 2016. “Chi ci incontra ci dice sempre che siamo felici, che si vede che ci vogliamo bene”, ripete suor Maria Agostina.

In tutti e due i monasteri la vita di clausura A Urbino è scandita da una campana. Preghiera e lavoro sono le due attività dominanti. Dalle 5.30 di mattina si alternano canti e meditazione e il lavoro casalingo e di artigianato. Fino a sera, quando dopo mangiato la comunità ha un momento di ricreazione e le suore possono guardare la televisione, leggere il giornale, parlare tra di loro. “Una volta si parlava solo di cose spirituali, adesso invece ci confrontiamo su cantanti, programmi, moda e le più anziane ci chiedono sempre: ‘Ma chi sono?”, sorride suor Michaela.

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