Giannubilo a Urbino: “Volponi è stato un faro per me”. E sul Premio Strega: “Non ho l’ansia dei favoriti”

Pier Paolo Giannubilo a "Urbino e le città del libro"
di FRANCESCO COFANO e MARIA PIA PETRAROLI

URBINO – Cammina per le strade di Urbino con la stessa discrezione con cui risponde alle domande. Raccolto nel suo giubbotto a collo alto, ammira la bellezza della città con l’atteggiamento simile a quello di chi non vuole disturbare. Timido quando si tratta di rompere il ghiaccio, diventa di colpo loquace quando parla del suo ultimo libro, Il risolutore. “Un antieroe dei nostri giorni, un personaggio da antica tragedia greca carico di sofferenze personali indicibili”. Ospite nella città ducale per la sesta edizione del festival letterario “Urbino e le città del libro”, Pier Paolo Giannubilo definisce così Gian Ruggero Manzoni, il protagonista del suo terzo romanzo, che ne definisce la maturità artistica, dopo Corpi estranei Lo sguardo impuro. Lo scrittore molisano è in corsa per il più ambito premio letterario italiano, lo Strega. Selezionato a marzo tra i dodici finalisti, ora si gioca un posto nella cinquina che si contenderà il riconoscimento il 4 luglio al Ninfeo di Villa Giulia a Roma.

Come spiegato da Giannubilo durante l’incontro “Vite irritabili” nel foyer del Teatro Sanzio, Il risolutore nasce da una serie di incontri con Manzoni che vanno dal 2004 al 2013. Tappe che portano lo scrittore da un iniziale scetticismo nei confronti di quello che sembrava un affabulatore al fascino via via crescente per una storia che racchiude più vite: da quella di bambino deriso per il suo peso a quella di giovane militante nella Bologna degli anni Settanta, da quella di pittore a quella, lunga 25 anni, di agente sotto copertura.

Cosa significa per la sua carriera di scrittore partecipare per la prima volta al festival “Urbino e le città del libro”?

Fino a qualche tempo fa non sapevo dell’esistenza del festival ma ho trovato delle persone bellissime sia tra gli organizzatori che tra il pubblico. Sono molto contento di essere qui, è un’esperienza interessante.

Paolo Volponi, lo scrittore a cui è dedicato il festival, spesso non viene studiato nei licei. Da insegnante di italiano e latino, perché farebbe leggere Volponi ai ragazzi?

Purtroppo è un problema che non riguarda solo lui. Quando si parla di secondo Novecento siamo un po’ carenti, anche se da qualche anno il Ministero sta cercando di invertire la tendenza. Per quanto mi riguarda Volponi è stato un faro, soprattutto col suo Memoriale. Ha rappresentato un momento di svolta perché è stato un testimone della complessità dei suoi anni, è un interprete di un pezzo d’Italia importante e di un preciso momento storico che adesso sembra lontanissimo.

Proprio Volponi ha vinto due volte il Premio Strega nel 1965 e nel 1991. Quali sono le sue aspettative per quest’anno visto che rientra tra i dodici finalisti?

In verità sono molto sereno e tranquillo. La candidatura per me è stata una cosa importante, per la prima volta mi sono affacciato sul  terreno delle major e per la prima volta ho pubblicato con una casa editrice importante. Non ho l’ansia da prestazione che hanno magari i favoriti alla vittoria finale e non la vivo con nessun tipo di patema. È un’occasione in più per far conoscere il libro.

Perché ha scelto di strutturare  il suo romanzo alternando momenti della sua vita al racconto della storia di Manzoni?

Di Manzoni mi interessava l’eccezionalità del personaggio. Si tratta  di un antieroe dei nostri giorni vero, autentico, pur nell’ambiguità di fondo che lo caratterizza. Mi sembrava di avere a che fare con un personaggio carico di drammi e sofferenze in cerca di una seconda possibilità,  di un’opportunità di riscatto. Ho scoperto che nella realtà ci sono delle situazioni molto più allucinate e romanzesche di quelle che si possono inventare nella fiction. Piuttosto che cercare di scrivere una storia inventata sforzandomi di fare in modo che abbia sapore di realtà, in questa fase della mia vita preferisco le storie vere che sembrano dei romanzi.

Come si è evoluto il rapporto tra intervistatore e intervistato nel corso del racconto che Manzoni le ha fatto?

All’inizio ero molto combattuto se dare credito a Manzoni come persona, ero molto distaccato. Poi entrando più a fondo nella sua vita e conoscendo meglio la sua storia, che prima ignoravo, il rapporto tra il me-autore e il personaggio è diventato il rapporto tra due persone. Manzoni è un individuo che ha attraversato nel bene e nel male, soprattutto nel male, tutto il secondo Novecento in termini, politici, artistici e letterari e la sua vicenda si è rivelata uno strumento di autoconoscenza.

Nel corso della sua vita Manzoni è entrato in contatto con un mondo culturale molto vivace, basti pensare a Tondelli, Pazienza e Amelia Rosselli. Il mondo di quegli anni però era anche fortemente politicizzato. Che rapporto c’è fra questi due mondi nel suo romanzo?

Racconto non soltanto la storia di una persona, racconto un mondo che parte dal ’77 e arriva fino ai giorni nostri. All’epoca c’era molto di politico nell’arte e anche molto di artistico nel mondo politico. C’era una vivacità che oggi è quasi scomparsa. Manzoni è il punto di intersezione fra questi due  mondi: ha avuto un ruolo, anche se sotto copertura, nella politica di quegli anni, ha attraversato vari conflitti e contestualmente, nella sua vita di superficie, ha avuto rapporti con i principali rappresentanti non soltanto italiani ma anche europei sia della letteratura che del mondo artistico.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra e di terze parti maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi