La Taverna di Franco, ritrovo di intellettuali: Eco, Dalla e quel tavolo riservato a Carlo Bo – VIDEO

Franco, il cuoco romano di Urbino, insieme con i suoi dipendenti. Tra loro anche Manuela e Afredita
di GIULIA CIANCAGLINI, servizio tv di ALICE POSSIDENTE e CHIARA UGOLINI

URBINO – Una mensa per intellettuali, perfetta per la pausa pranzo. Una cartina dell’antico ducato di Urbino circondata da un sigillo rosso con la scritta “da Franco”. Un cortile interno per le giornate più calde. Un crocevia obbligato per la Urbino universitaria e intellettuale. Questo era “da Franco”. O meglio questo era il ristorante che, pur chiamandosi da sempre “Il Castello”, tutti ricordano con questo nome. Il cuoco romano non cucinava più da tre anni e sabato 15 giugno una malattia se l’è portato via. “Da Franco” hanno mangiato proprio tutti. I sindaci, gli artisti che si fermavano a Urbino per esibirsi, fino al professore che ha dato il nome all’ateneo della città, Carlo Bo. Tanto che i pochi che non lo chiamavano “da Franco”, dicevano: “Andiamo a mangiare al ristorante di Carlo Bo”.

L’ultimo saluto al cuoco “romano d’Urbino”

La fotografia del rettore Carlo Bo appesa dietro al posto riservato per lui

Una fotografia appesa al muro ricordava che lì – in quell’angolo in fondo a sinistra, al capo di un tavolo a sei posti –  mangiava il rettore. Un coltello dal manico rosso, “quello che taglia di più”, sulla tovaglia rivelava che lo studioso sarebbe arrivato di lì a poco. Il coltello ora è riposto in un cassetto, la foto non è più esposta e la sedia è cambiata. Così come sono cambiati la gestione, l’ambiente e il menù del ristorante di fiducia dell’ex rettore. Ma il bagaglio sorprendente di ricordi legati al cuoco resta.

Franco ha servito Oscar Luigi Scalfaro in occasione dei 50 anni di rettorato di Carlo Bo, Giovanni Spadolini, Giuseppe Saragate Arnaldo Forlani. Ha cucinato per scrittori come Umberto Eco, per studiosi come Ilvo Diamanti, ma anche per dirigenti dell’Università e personalità del mondo musicale e artistico come Gianni Morandi, che si fermò da lui quando il tour del 1988 lo portò a cantare in Piazza Borgo Mercatale, o come Veronica Pivetti, che gli mandò un mazzo di fiori dopo aver assaggiato la sua cucina.

Lucio Dalla e Gianni Morandi durante il tour del 1988 che toccò anche la città di Urbino

Il suo ristorante era frequentato anche da Lucio Dalla, che aveva acquistato una casa a Urbino. Un personaggio che non passava inosservato né durante le sue lezioni alla facoltà di Sociologia, dove nel 2002 divenne professore ordinario, né quando si aggirava per il centro di Urbino e improvvisava nuovi sport, come lo “sputo al piccione”, lasciando basiti i turisti che si avvicinavano per un autografo. Con la soprano Katia Ricciarelli il cuoco si fece addirittura fotografare, lui che – come racconta la moglie Rita quando le chiediamo qualche scatto – “non amava stare davanti all’obiettivo”. Manuela Sparaventi, storica cameriera di Franco, ricorda di aver servito anche il premio Nobel per la medicina Rita Levi-Montalcini: una delle poche persone che, non sapendolo, si sedette proprio al posto riservato di Carlo Bo.

Ogni giorno il cuoco, dopo aver finito in cucina, si appoggiava sullo sgabello alla cassa e da lì controllava ogni dettaglio. “Aveva gli occhi anche dietro la testa – racconta Manuela – nulla poteva sfuggirgli, era attentissimo. Si ricordava anche tutti i nomi, i volti e i gusti dei clienti”.

A Carlo Bo, rettore dell’Università di Urbino per 54 anni e senatore a vita per volontà del presidente della Repubblica Sandro Pertini, il cuoco proponeva un piatto e Bo, che era di poche parole, quasi sempre rispondeva “Va bene”. Il Magnifico quando finiva di mangiare si alzava, senza preoccuparsi di chi sedeva con lui. “Scappava via – racconta Gianni Rossetti, giornalista ed ex direttore dell’Ifg, l’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino – ma il suo posto rimaneva comunque vuoto, aveva ormai una valenza simbolica. Chi sedeva lì ambiva alla successione e al confronto con il grande intellettuale, o almeno così si pensava”. Una volta Bo ha chiesto a Franco un’intera sala per i suoi ospiti e il cuoco, senza pudore, gli ha detto: “Lei faccia il rettore de là, che io lo faccio de qua”.

Franco con il grembiule in occasione della festa per il cambio di gestione del suo ristorante

Il 19 maggio di tre anni fa, con una festa, il “cuoco romano di Urbino” Gianfranco Fraternale, per tutti Franco, aveva salutato il ristorante, che per lui era ‘casa’, così come chi passava lì tutte le ore del giorno era ‘famiglia’. “Non poteva più vivere senza il suo ristorante”, bisbiglia qualcuno al suo funerale nella Chiesa di Pieve San Cassiano a Cavallino, dove viveva. Ricordandolo anche il prete si commuove: “Permettetemi di chiamarlo Franco, come tutti, e non Gianfranco come vorrebbe la liturgia”.

Manuela e la lavapiatti Afredita hanno continuato a lavorare per “Il Castello”. “Sono cambiate così tante cose, sembra un altro posto”, commenta la cameriera. “All’inizio Francone era un po’ burbero e capitava che ci sgridasse anche davanti ai clienti – ammette – poi ha imparato a conoscerci. Era come un papà per me. Quando andava a Roma non si dimenticava del mio bambino: gli portava un sacco pieno di rosette romane, perché sapeva che lui ne andava matto”.

Code alla vaccinara, carciofi alla romana, fegatini, ‘matriciana come diceva lui, carbonara. “Certo la pasta la fanno buonissima anche ora eh, ma quella di Franco era tutta un’altra cosa”, sospira Manuela ricordando l’odore dei piatti che ha servito per più di quindici anni. Per il suo menù dai sapori romani utilizzava prodotti locali. “Solo materie prime a chilometro zero. Lui sapeva scegliere e capire in un attimo cosa fosse buono e cosa no”, spiega Giuseppe Biancalana, un dipendente dell’università che a forza di cappuccini e cornetti era diventato suo amico.

Il sigillo “personalizzato” di una cartina dell’antico ducato di Urbino nella sala interna del ristorante

Franco era nato a Roma nel 1943 e nella capitale aveva iniziato a lavorare nella ristorazione, al Caffè dell’Epoca a piazzale Porta Pia. Ancora prima di arrivare nella città ducale, aveva avuto modo di conoscere personaggi della Roma dello spettacolo, come Federico Fellini e Gigi Proietti. A soli ventitré anni aveva avviato la prima attività a Torvaianica. L’amore lo ha poi portato a Urbino e qui, in terra marchigiana, nonostante la tradizione romana, aveva sperimentato anche nuove creazioni. “Sapeva ibridare – ricorda Lella Mazzoli, direttrice dell’Ifg – il coniglio, per esempio, lo faceva all’urbinate ed era squisito”. Era umile ma ospitale anche con le persone più importanti: Angelo Giuliani, un vecchio amico, racconta di come il cuoco portasse sempre uno straccio sulle spalle per pulirsi prima di stringere la mano a persone di riguardo.

Dal 1984 al 2016 ha sempre lavorato lì, vicino a piazza Rinascimento, poco prima della discesa di via Saffi. E da quando aveva smesso di lavorare, da Castel Cavallino continuava a venire tutte le mattine a Urbino. Negli ultimi tempi non si faceva vedere molto. Non passava quasi mai al suo vecchio ristorante. “Gli faceva male al cuore venire qui”, dice Manuela. Si fermava sempre al Vecchio Mulino, all’ingresso della città. “Si piazzava qui fuori, prendeva il nostro caffè e leggeva il giornale – racconta Massimo, il barista – era incredibile. Tutti lo conoscevano, tutti si fermavano per salutarlo”.

Trentatré anni in cucina, a Urbino e in pieno centro storico, hanno fatto di lui un’istituzione a tal punto che un urbinate doc gli ha dedicato una poesia in dialetto romanesco: “Sarà la tu’ panza, sarà forse la tu’ parannanza ma tu tra de noi sei già un personaggio, come er sindaco dentro ar villaggio”.

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