Storia sociale della bicicletta: Stefano Pivato racconta un secolo tra salite e discese

Biciclette da corsa in Piazza della Repubblica a Urbino
di NICHOLAS MASETTI

URBINO – Simbolo culturale, strumento di propaganda, ha suscitato fibrillazione e scalpore nella Chiesa e nella politica. Il fascino della bicicletta ha permeato ogni strato della società. Simbolo di modernità tra fine ‘800 e inizio ‘900, dal 1885 – anno in cui venne venduto uno dei primi modelli dal marchio Edoardo Bianchi – a oggi questo mezzo sta vivendo una seconda, se non terza giovinezza. Una storia raccontata dall’ex rettore Stefano Pivato in Storia sociale della bicicletta, titolo del suo libro uscito nel mese di ottobre per la casa editrice il Mulino, “e già alla seconda ristampa”.

Pivato, oggi docente di storia contemporanea alla Carlo Bo e all’università Bourgogne (UBFC) di Besançon, ha fatto come Antonio Ricci, protagonista del film Ladri di bicicletteproiettato al Ducale di Urbino lo scorso aprile – del regista Vittorio De Sica, caricandosi sulle spalle il mondo che circonda il velocipede e raccontando oltre un secolo di storia.

La copertina del libro riprende proprio una scena del film, resa pop-art grazie alla matita di Iker Ayestaran, illustratore basco di Donostia, San Sebastián, “il cui lavoro mi sta facendo vendere più copie e che Ayestaran ha voluto fare con piacere”.

LA STORIA SOCIALE DELLA BICICLETTA TRA PRETI, DONNE E MILITARI

“Sono uno storico dell’immaginario della gente comune – racconta Pivato – e la bicicletta è uno degli oggetti più collettivi della comunità”. Lo storico e saggista romagnolo in passato ha già scritto libri sul mezzo come La bicicletta e il sol dell’Avvenire e il Touring club italiano. Questo però è diverso perché dà indicazioni, spunti e analisi sullo strumento a due ruote “che scompagina la monotonia” scrive il docente nelle pagine dell’introduzione.

“Il decennio d’oro il velocipede lo ha vissuto tra il 1890 e il 1900” racconta Pivato al telefono. Se l’Italia è stato il Paese del perfezionamento e dell’uso, “la Francia è considerata la patria della bici” dice Pivato che nel libro fa continui richiami e parallelismi tra i due Paesi. Un simbolo della modernità che “quadruplica la velocità dell’essere umano e dà la sensazione di volo”.

Le ali, in senso metaforico, permettono a fasce della società italiana di rompere gli schemi: gli operai nel primo decennio del Novecento utilizzano la bici per andare a lavoro, le donne vivono una liberazione e vedono la bici come simbolo del nascente movimento femminista. Ma il mezzo alimenta dibattiti anche all’interno della Chiesa su quanto fosse conveniente, per i preti, montare in sella e sollevare così la veste. Anche nei conflitti la bicicletta ha un rilievo: i partigiani la usano per le loro staffette nel corso della Resistenza. Poi c’è la diatriba interna ai socialisti, che non vedevano di buon occhio lo sport e, quindi, neanche la “biciclettata”. Proprio negli anni della Seconda guerra mondiale diventa il mezzo di trasporto più diffuso. Un boom che Pivato spiega nel libro citando lo sceneggiatore del neorealismo Cesare Zavattini: “La bicicletta ha da noi qualcosa del cane, continua compagna che si porta con sé magari senza montarla, per arrivare dalla casa al caffè che dista venti metri”.

Il velocipede vive però una parabola. Negli anni ’60 inizia il suo declino con l’avvento dei motori e del boom economico. Ma “anche la tragedia di Superga – l’incidente aereo che portò alla scomparsa del grande Torino – nel 1949 sposta l’interesse sportivo principale dal ciclismo al calcio”. Fausto Coppi e Gino Bartali continuano però ad accompagnare le cronache sportive nazionali con le loro corse in sella alla bicicletta per tutta la penisola. Per il popolo italiano aumentano anche le vacanze e la bici ideale diventa la graziella pieghevole, “un mezzo che si fa portare e non porta più” spiega Pivato.

IL PRESENTE DELLA BICICLETTA

Il confronto tra ciclofili, amanti della bici, e ciclofobi, coloro che l’avversano, è ancora attuale. Il mezzo di trasporto è oggi “anti-moderno” dice Pivato riferendosi al nuovo millennio. Un’epoca in cui l’attenzione all’ambiente ha fatto tornare il mezzo di moda perché “contrasta l’inquinamento e resiste al degrado ambientale”. Legate ai pali, appoggiate ai muri, si vedono sempre più biciclette con il freno a bacchetta e il telaio rigido, un modello vintage che “fa da ricordo, evocando il passato per una nuova modernità” racconta il professore.

Città nelle vicinanze come Pesaro e Rimini contano su un elevato numero di piste ciclabili, definite da Pivato “templi e santità di oggi”. Paesi come la Germania e l’Olanda puntano forte sulla bicicletta e hanno creato spazi ad hoc nelle strade delle città. In Italia invece, secondo Pivato, “le bici hanno corsie ottenute dalla redistribuzione di quelle delle auto”.

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