Morfina scomparsa da ospedale Fossombrone, pm chiede due condanne

Ingresso del Tribunale di Urbino, in via Raffaello
di CHIARA UGOLINI

URBINO – Zittite dai medici, non difese dagli altri colleghi, tenute in una posizione subordinata e in soggezione. Per questo il pubblico ministero Simonetta Catani ha chiesto, ieri, al Tribunale di Urbino, l’assoluzione delle tre infermiere dell’ospedale di Fossombrone accusate di avere falsificato i registri degli stupefacenti, dopo la scomparsa di fiale di morfina dal reparto di emergenza dell’Ospedale di Fossombrone. Per il dottor Massimo Baldassarri la pm ha chiesto una condanna a tre anni e tre mesi per l’accusa di concussione, omessa denuncia e favoreggiamento. Per il dottor Giovanni Picchi una condanna a due anni per peculato. L’accusa di falso nei confronti del dottor Marcello Garozzo è caduta in prescrizione.

Gli avvocati difensori del dottor Picchi hanno contestato l’ipotesi di reato di peculato. Si sono dichiarati innocenti anche gli altri imputati i cui avvocati sono intervenuti. La prossima udienza è fissata al 18 dicembre e la discussione si concluderà con l’arringa del difensore di Baldassarri.

La vicenda risale a quasi 10 anni fa, al 24 dicembre 2010. Alla fine del turno del dottor Picchi è segnalata la scomparsa di due fiale di morfina, che erano conservate in una cassaforte. La denuncia avrebbe dovuto essere presentata entro 24 ore, ma nel registro in cui devono essere annotati tutti i movimenti dello stupefacente venne successivamente scritto che le fiale erano state rotte. Casi analoghi erano avvenuti nei mesi precedenti, sempre in coincidenza con il turno del dottore Picchi, ha sottolineato l’accusa. Ma per gli altri episodi il pm ritiene che non sia stata raggiunta la prova di colpevolezza del medico.

Diverso invece per la scomparsa avvenuta a dicembre, quando, nei giorni successivi alla sparizione delle fiale, il Picchi tenne quello che la pm ha definito un “comportamento sospetto”. Il dottore infatti le avrebbe “ritrovate” nello schedario comune. Una delle due rotta, perché – dichiarò il medico – “caduta sul momento”. Nessun dipendente presente però testimoniò di avere sentito il rumore di una caduta.

Tutti sapevano che le fiale non erano rotte e che non erano state somministrate, ritiene l’accusa, e i medici invece che denunciarle la scomparsa costrinsero le infermiere a mentire e falsificare il registro. Una delle imputate, Maria Cristina Cutrì, al tempo responsabile delle infermiere, ha riferito le parole minacciose del dottor Baldassarri: “Qui comando io, vuole andare via?”, le disse quando lei provò a chiedere spiegazioni.

Per tutto questo la pm ritiene che “una pena nei confronti delle infermiere sarebbe un’ingiustizia”. Secondo la sua ricostruzione, infatti, le tre donne sono state costrette dai medici a firmare i documenti e a dichiarare che le fiale, in realtà scomparse, si erano rotte. Più volte le operatrici avrebbero provato a opporsi, ma inutilmente. Per questo l’accusa ritiene che debba esserne esclusa la colpevolezza.

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