di FRANCESCA DE MARTINO
URBINO – È morto a 74 anni mentre dedicava il suo tempo alla sua passione della vita, il calcio: se ne è andato così, Claudio Giambartolomei, ex allenatore e calciatore conosciuto in tutta la provincia, guardava vincere la squadra che seguiva, la Juventus, quando il suo cuore all’improvviso ha smesso di battere. E proprio qualche giorno dopo se ne andava un ex campione degli anni sessanta nella massima serie, il calciatore e allenatore bianconero Pietro Anastasi, anche lui sulla settantina. Il caso ha voluto unire due destini, all’apparenza lontani, ma molto vicini: due eccellenze della storia del calcio, chi nel regionale e chi nel nazionale.
Giambartolomei ha iniziato a giocare come centrocampista della Vadese, di cui era anche capitano, perché originario di Sant’Angelo in Vado, e anche nel Piobbico e nel Gallo. Il calcio di punizione al limite dell’area era la sua specialità, sentenza definitiva di molte partite. A notarlo, così da portarlo con sé nell’Urbino calcio degli anni sessanta, fu il padre di Tiziano Vecellio Mancini, Carlo, allora Direttore sportivo dei Ducali: “Il suo tiro di sinistro nel calcio piazzato era fenomenale – racconta Mancini – anche dai trenta metri. Quando tirava già la curva dava per certo che avrebbe segnato. Era una sicurezza per la squadra e anche un buon capitano. Mio padre lo stimava molto”.
L’Urbino in quegli anni si trovava in un periodo florido, ricco di vittorie e passaggi di categoria. Luigi Amaranti era suo compagno di squadra dell’Urbino: “Era un elemento fondamentale per la squadra, il suo talento era superiore alla categoria in cui giocava. Oltre ad avere una qualità tecnica eccellente, era uno sportivo anche negli spogliatoi: era sempre allegro, faceva scherzi e gli piaceva anche riceverli”.
“Nel campionato del 1967 avevamo vissuto insieme un momento importante per la squadra – spiega Amaranti – lo spareggio storico contro il Senigallia che ci fece vincere il campionato di Promozione (oggi Eccellenza) lo ricordo ancora. La soddisfazione fu immensa.”
“In città si è sempre detto che il suo talento era stato notato anche da una squadra di serie A – prosegue – ma non ne abbiamo mai avuto la sicurezza. Certo, le qualità le aveva tutte”.
Ma per la provincia di Pesaro e Urbino, nel suo piccolo, è una leggenda del calcio perché la sua bravura l’aveva trasmessa anche ai suoi ragazzi come allenatore: Schieti, Piandimeleto, Torre e Cavallino sono le realtà che ha formato. “Chi l’ha avuto come allenatore l’ha amato – aggiunge Mancini – perché ci teneva molto e pretendeva il massimo dai ragazzi. Come mister si impegnava tanto quasi fino a stressarsi e, spesso, proprio per questo motivo in panchina perdeva l’equilibrio che lo caratterizzava”.
Professionalità in campo e in panchina, lo ricorda così anche il dirigente dello Schieti calcio Federico Ceccarini: “È stato un grande mister. Mi ha allenato negli anni ’90. Era un appassionato del suo mestiere, ci ha insegnato il calcio – ha proseguito – è rimasto un amico e veniva ad assistere alle nostre partite”.
Per tutti allegro, religioso, di compagnia, anche secondo chi ha avuto per poco l’opportunità di conoscerlo a fondo. Lascia una moglie e quattro figlie. Da dieci anni circa era in pensione come dipendente del Dipartimento di Scienze motorie dell’Università di Urbino, da alcuni anni la sua nuova passione era la fotografia, come riporta il Resto del Carlino. Aveva firmato una mostra alla Sala del Castellare di Palazzo Ducale e un libro sui “Personaggi nella storia di Borgo Pace”. Trascorreva le sue giornate tra passeggiate alla Piantata e il bar del campo sportivo a chiacchierare di sport con gli amici storici: “L’ho incontrato anche il giorno prima che morisse – spiega Amaranti – stava bene. Ci teneva alla sua salute infatti si controllava spesso. La sua scomparsa ci ha colti impreparati in molti. Per me è stato un grande amico”.