A Urbino in dieci anni saracinesche abbassate su 132 negozi. “Così la nostra città rischia di spegnersi”

di LINDA CAGLIONI

URBINO – Dalla vetrina consumata di un negozio di via Mazzini, oltre la scritta “affittasi”, si scorge il pavimento ampio e desolato, ricoperto di polvere. Sulle piastrelle scure, resta il segno lasciato da quello che doveva essere un ampio bancone. I negozi come quello in via Mazzini ingabbiati dietro saracinesche chiuse fino a data da destinarsi sono un’immagine frequente a Urbino. “Chi ha esperienza va avanti aspettando la pensione – racconta una commerciante, che ha un negozio da oltre 20 anni – ma una giovane donna che aveva aperto proprio davanti a me ha chiuso dopo un anno. La crisi è generale ma ho l’impressione che qui nessuno sovvenzioni noi commercianti. Il Comune si sta facendo in quattro per celebrare Raffaello. Ma lui è morto. Mentre noi siamo vivi, e dobbiamo mangiare”.

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Il commercio urbinate ha seguito la curva discendente che si evidenzia a livello nazionale. Qui la crisi si è fatta più evidente ed è confermata dai numeri. Secondo i dati di Infocamere elaborati per il Ducato dalla Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa, negli ultimi dieci anni hanno chiuso i battenti 132 attività, passate dalle 1.609 contate nell’ultimo trimestre del 2010 alle 1.477 del 2019 (-8,2%).

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La spada di Damocle, tuttavia, non si è abbattuta con la stessa forza su tutti i settori. I più colpiti, con un calo dell’8,7% (333 attività attuali rispetto alle 365 del 2010) sono quelli del commercio all’ingrosso e la riparazione di autoveicoli. Nemmeno il ramo delle costruzioni esplode di salute, con 61 imprese in meno (da 217 a 156). E, seppure in misura minore, suscita preoccupazione anche il manifatturiero: 172 imprese nel passato contro le 139 dei giorni nostri. C’è chi incolpa la crisi del 2008, chi i centri commerciali, chi lo spopolamento. E chi, invece, punta il dito contro il boom dell’e-commerce. “Aumenta la tecnologia e diminuiscono i negozi – racconta Stefano Gamba, gestore dell’emporio sotto i portici di palazzo Albani – la gente preferisce fare acquisti davanti al pc o col cellulare. Una volta i commercianti erano piccoli borghesi. Oggi, dobbiamo tirare la cinghia per farcela”.

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Eppure l’orizzonte non è tutto nero. I dati di Cna mostrano infatti che cinque dei 18 settori presi in considerazione, sono migliorati. È il caso, per esempio, delle “attività professionali, scientifiche e tecniche”, che segnano un aumento di 20 unità (da 30 a 50); o quello del noleggio, passato da 33 a 46.

Segno che è presto per sotterrare definitivamente la speranza di ripresa? “Io mi sento ottimista – aggiunge Stefano – una piccola città non può restare senza le sue vetrine, si trasformerebbe in un luogo fantasma. C’è ancora gente che sa che comprare nei negozi permette a una famiglia di arrivare a fine mese”.

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