Coronavirus, 45 contagiati all’ospedale di Urbino. Il primario: “Non venite al Pronto soccorso”

Il primario del Pronto soccorso di Urbino Filippo Mezzolani al lavoro
di GIULIA CIANCAGLINI

URBINO – Dal 9 febbraio non ha un giorno di riposo, ma tra un turno e l’altro il primario del Pronto soccorso dell’Ospedale di Urbino Filippo Mezzolani ha trovato qualche minuto per raccontare al Ducato la situazione nei giorni dell’emergenza Coronavirus. Nel suo reparto si lavora con turni massacranti e con la metà delle forze, perché molti medici sono in quarantena.

Dei 45 malati positivi al Coronavirus ricoverati a Urbino, alcuni dormono tra i pazienti ammassati nell’ambulatorio del Pronto soccorso in condizioni che il primario definisce ‘acrobatiche’. “Cerchiamo di separare i percorsi, per quanto possibile – racconta il medico – ma anche per questo è importante ribadire che, quando possibile, non bisogna venire in Pronto soccorso”. Tredici sono invece ricoverati nei posti letti del reparto di Medicina d’urgenza, sempre sotto la direzione di Mezzolani. Ed è proprio lui a decidere chi spostare e dove, quando dal Gores fanno sapere che qualche altro ospedale della regione ha una disponibilità.

Sia il sindaco Maurizio Gambini che l’assessore alla sanità Elisabetta Foschi hanno parlato di 45 casi di contagiati da Coronavirus all’ospedale di Urbino. Conferma questo numero?

“Sì, più o meno sono questi i numeri. Anche se cambiano ogni giorno perché, quando è possibile, vengono spostati. Purtroppo ci troviamo di fronte a un problema la cui mole è molto superiore alle capacità organizzative e  oggettive di ricezione. Urbino ha fatto l’unica cosa che poteva fare: organizzarsi per dare una mano. Arriva un malato e noi non possiamo rifiutarlo dicendo ‘Questo è un ospedale no-Covid’. Anche perché qui arrivano ambulanze da tutta l’area montana della provincia. I malati vengono da noi e da noi rimangono, perché è difficile ricollocarli altrove. Non dovrebbero stare a Urbino ma in realtà poi ci sono”.

Perché è così difficile spostare i malati contagiati da Coronavirus in altri ospedali?

“Perché c’è Pesaro che, nonostante sia il centro di riferimento, è in una condizione di congestione drammatica. E per questo Pesaro non riesce ad accogliere Urbino. Quindi tutti i giorni grazie a una rete regionale, organizzata dal Gores, abbiamo delle disponibilità sparse in altri ospedali della regione. Ieri per esempio siamo riusciti a trasferire sei pazienti, a Jesi e a Senigallia. Ma in altre circostanze abbiamo avuto la disponibilità anche di Fermo e Camerino”.

In che modo si potrebbe evitare che arrivino a Urbino?

“Il problema è anche quello del 118, perché non dovrebbero proprio portarli qui. Ma manca una disposizione imperativa che faccia sì che tutti i contagiati raccolti dal 118 vengano allocati a Pesaro. Questa disposizione imperativa, da quanto mi risulta, non c’è e in più Pesaro non riesce ad accogliere. E così continuano ad arrivare a Urbino e il numero di contagiati Covid nel nostro ospedale è così grande anche se dovrebbe essere zero. Certo zero non potrà essere mai perché i pazienti non hanno scritto in fronte di essere contagiati”.

Quando si trovano disponibilità per trasferire un paziente contagiato, chi decide? E in che modo?

“Sono io a decidere, in quanto primario del Pronto soccorso. Bisogna valutare chi, tra i pazienti in base alle condizioni, è trasportabile ma anche la capacità degli ospedali che lo riceveranno. Per esempio ieri ho selezionato dei malati che non erano troppo gravi, almeno in base alle prognosi, perché li portavamo in ospedali che avevano i reparti di rianimazione già saturi. Anche lì, bisogna avere un occhio per quello che fa, non c’è un protocollo preciso, cerco di usare il buonsenso nel ridistribuire i malati”.

Il primario del Pronto Soccorso Filippo Mezzolani senza mascherina sul volto

L’ospedale di Urbino ha aperto un nuovo reparto anche se il piano regionale antivirus non lo aveva inserito tra gli ospedali da trasformare. Perché?

“In realtà quello che è stato aperto è la medicina di urgenza, che è una parte essenziale del Pronto soccorso che avrebbe dovuto esserci da sempre ma che da sempre non c’è perché da sempre sono in carenza di personale medico. Comunque il Pronto soccorso non ha tutti i 45 casi di contagio, ma un buon numero perché all’interno delle Medicina d’urgenza sono a disposizione 13 letti. Non sono più di 13”.

E gli altri?

“Abbiamo tanta gente – uso un termine che potrebbe anche sembrare irriguardoso – ammassata dentro al Pronto Soccorso, dentro gli ambienti e l’ambulatorio del Pronto soccorso e dell’osservazione breve perché non abbiamo soluzione. La gente arriva e noi dobbiamo comunque dare un’assistenza, dare una barella. Tutto questo in condizioni di fortuna. Noi cerchiamo di mantenere la dignità di tutti ma lo facciamo in condizioni quasi ‘acrobatiche’. Alcuni pazienti contagiati sono nel Pronto soccorso. Noi cerchiamo di separare i percorsi, per quanto possibile, ma anche per questo è importante ribadire che, quando possibile, non bisogna venire in Pronto soccorso. Che dio ce la mandi buona, perché anche noi siamo in una condizione di saturazione. Noi teniamo botta, abbassiamo la testa e lavoriamo”.

Questa emergenza ha portato anche a dimezzare le forze di lavoro: sappiamo che ci sono molti medici in quarantena. Come riuscite a gestire questa seconda emergenza?

“Turni massacranti, una qualità di lavoro bassissima, una pressione e una difficoltà organizzativa e oggettiva che aumenta lo stress. Cerchiamo di fare quello che possiamo. Ho medici in quarantena e medici che hanno malattie, perché poi ci si ammala, di Covid ma anche di altro. Io mi ritrovo a poter contare sulla metà dei medici che ho di solito a disposizione. Mi trovo in una difficoltà che non le so dire, davvero. E a quelli che ci sono non posso che dire grazie.

Da quanto non ha un giorno di riposo?

“Lo dice il mio cartellino: io non ho un giorno di riposo dal 9 di febbraio. Non era ancora iniziata l’emergenza ma avevo delle defezioni lavorative per dei medici in malattia e dato che ho un organico ridotto, chi li deve sostituire? Poi è arrivato sulle spalle il mattone del virus”

Come è la situazione a Urbino per quanto riguarda mascherine e camici?

“Ancora non ci è mancato niente ma abbiamo paura che da un giorno all’altro, da un’ora all’altra, questo possa succedere perché il consumo è molto elevato. Mascherine, camici, dispositivi di protezione individuale. Siccome ne usiamo tanti, ne avremo bisogno. E bisogna cambiarsi di frequente per stare davvero attenti”.

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