Yuri Rosati al confine ucraino: “Le mamme in fuga stringono i figli per mano, nell’altra la valigia”

Yuri Rosati, inviato al confine tra Polonia e Ucraina.
di CECILIA ROSSI

URBINO –  La linea va e viene nel collegamento tra Urbino e la Polonia, quando chiamiamo Yuri Rosati.  Ex allievo dell’Ifg e ora giornalista a Radio Capital, Rosati è nella città polacca di Medyka, un paesino di seimila abitanti a cavallo tra una paese in guerra e l’Unione europea. “Appena arrivato pensavo di trovarmi in un set cinematografico. Tantissime persone, tutte ammassate e coi volti disperati, che vedi in tv o sui social. Quando te le trovi di fronte pensi siano delle comparse. Faticavo a credere che potesse essere reale”.

È partito lunedì mattina all’alba dall’aeroporto di Ciampino e un aereo l’ha portato fino a Cracovia: “Ma avrei voluto andare in pullman”, confessa. “Era il modo perfetto per poter parlare con le persone, conoscere delle storie”. Una volta atterrato ha affittato una macchina ed è corso verso le “zone calde”: tutte quelle città, piccole o grandi, al confine con l’Ucraina in cui si riversa il fiume in piena dei profughi in fuga dalle bombe. “Mentre guidavo mi accorgevo che le macchine che facevano il mio stesso tragitto era di tre tipi: quelle che sventolavano la bandiera blu e e gialla, quelle con la scritta ‘Press’ dei giornalisti e le ambulanze”, racconta.

Le stazioni piene di mamme e bambini

“La prima tappa è stata la stazione di Przemyśl, una città polacca di 60mila abitanti. La scena che mi sono trovato davanti è stata incredibile”, racconta. “C’erano centinaia di persone, assiepate sulle banchine o dentro le sale d’aspetto. Quella stazione ha solo due binari e in questi giorni sono utilizzati come fossero dei gate dell’aeroporto: al binario uno ci sono quelli a cui devono essere controllati i documenti o che non hanno quelli giusti per entrare nell’Unione europea, al binario due invece quelli che sono pronti ad entrare sul primo treno che li porterà in altre città polacche, e da lì anche in altri Paesi”. In una foto che Rosati invia al Ducato si vede una banchina della stazione che raccoglie una distesa di culle e passeggini, “per i tantissimi bambini che arrivano”,  spiega il giornalista.

Le culle e i passeggini portati dai volontari per i bambini ucraini (foto di Yuri Rosati)

Ma i treni non passano così spesso. “I volontari mi hanno raccontato che ci sono famiglie che aspettano anche un’intera giornata per salire su una carrozza. Appena le porte del vagone si aprono si forma la ressa: si buttano tutti dentro con foga, finendo per spintonarsi a vicenda”, dice. “Mi ha ricordato quelle sere alla stazione di Bologna centrale, dove noi studenti fuorisede ci ammassavamo per poter entrare nel primo regionale che passava dopo ore di ritardi”, aggiunge scherzando.

A riempire le stazioni polacche al confine, però, non sono studenti  universitari ma madri, nonne e “tanti, tantissimi bambini”, sottolinea Rosati. “Appena sono arrivato in stazione l’impatto emotivo è stato fortissimo: vedi queste persone e pensi che non possono che sentirsi disperate. Le mamme hanno tutte la stessa posa: con una mano tengono l’unica valigia che possiedono, con l’altra stringono forte quella di loro figlio”, racconta.

Donne e bambini seduti sulla banchina della stazione di Przemysl (foto di Yuri Rosati)

“Poi però noti come si guardano tra di loro: una parola, uno sguardo, ti accorgi che in un modo o nell’altro la vita va avanti. Queste madri scherzano, giocano con i bambini. La Caritas ha allestito un piccolo asilo con dei giocattoli all’interno della stazione, dove i più piccoli possono distrarsi”. E c’è chi ci riesce: una bambina ha indosso una coperta termica color oro donata dai volontari per ripararla dal freddo, ma lei lo indossa come fosse un mantello o un vestito da principessa per carnevale.

A sinistra, una bambina ucraina con addosso la coperta termica. A destra, l’asilo improvvisato alla stazione di Przemysl (foto di Yuri Rosati)

“Quando finisce la guerra ti invito nel mio ristorante”

E gli uomini? “Tornano indietro”, dice il reporter. “Chi arriva fino al confine lo fa per accompagnare la famiglia al sicuro, poi fa dietrofront. Ho parlato con un uomo che non sapeva l’inglese e che mi ha spiegato, più a gesti che a parole: ‘Fino a ieri facevo il camionista e da domani farò il soldato'”. Frasi che qua possono suonare surreali ma che sono cronaca quotidiana per gli inviati al confine con l’Ucraina.

“Un ragazzo della mia età che era lì mi ha confessato il suo sogno: aprire un ristorante di cucina italo-georgiana. Ma la guerra ha spazzato via i suoi piani”, prosegue Rosati. “Ora torna col treno a Leopoli per unirsi alla resistenza armata. Quando gli ho chiesto se avesse già dei contatti in città, mi ha risposto che sarebbe andato in giro a cercare qualcuno con cui combattere. E prima di andarsene ha aggiunto: ‘Segui il mio profilo su Instagram: quando finisce la guerra ti invito a mangiare nel mio ristorante'”.

Una voce in italiano in mezzo alla folla

“Con gli ucraini che hanno voglia di raccontarmi la loro storia parlo sempre in inglese. Quando ieri sono arrivato a Medyka e ho sentito delle parole in italiano non ci potevo credere” osserva Rosati. La voce era quella di Katarina, che viene da Chernihiv, una città nel nord dell’Ucraina, al confine con la Bielorussia, che è stata già presa d’assalto dai soldati russi. “Katarina è orfana da quando è bambina e sa parlare italiano perché per un po’ di anni è vissuta in Campania, a Sorrento”.

“Il giorno che è scoppiata la guerra, Katarina si trovava in vacanza in Germania, dove vivono le sue nipoti – prosegue – in Ucraina sono rimaste le sue sorelle, che non riesce più a contattare. Da giorni sta qui al confine con dei volontari tedeschi”. Uno di loro è Philippe, “che ha 26 anni e vive in Germania da quando ha iniziato l’università. Ma è nato e cresciuto a Dnipro”, nel sud-est dell’Ucraina, dove il rumore dei bombardamenti riecheggia per le strada ormai da giorni.

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“In Germania Philippe fa il consulente finanziario. Ha ammesso di non aver mai tenuto un’arma in mano, ma in questi giorni sta pensando di andare in Ucraina. Ha detto di essere abbastanza atletico e che a spronarlo è l’idea di salvare il suo Paese. Mi ha detto: ‘Bisogna combattere, perché se Putin smette di fare la guerra, c’è la pace. Se gli ucraini smettono di fare la guerra, l’Ucraina smette di esistere”.

La prima volta verso una guerra

Yuri Rosati è arrivato preparato al freddo polacco: indossa un cappello di lana e un giubbotto imbottito. La partenza è stata decisa quasi all’improvviso, ma tutto è stato organizzato con cura. “Mi sono proposto al mio direttore per seguire direttamente sul campo. Avevo intenzione di andare anche in Ucraina, poi ho capito che dovevo fare un passo alla volta. Ora sono qua a fare un’esperienza completamente nuova per me e sto imparando molto. Faccio tutto ‘a naso'”, specifica, “ma prima di partire ho parlato con dei colleghi che di guerra e profughi ne hanno visti tanti e hanno saputo consigliarmi come muovermi”.

LA DIRETTA INSTAGRAM DALLA POLONIA In collegamento live da Medyka 

Dopo Przemyśl e Medyka, la prossima tappa di Rosati è Korczowa, sempre alla frontiera. “Prima di partire ero molto preoccupato – confessa – perché sento la responsabilità di raccontare nella maniera più fedele possibile. Le mie prime due ore in stazione, in mezzo a quelle persone, stavo così male che mi veniva da piangere. In poco tempo però il cervello si imposta sulla ‘modalità lavoro’. Ti rendi conto che hai tra le mani delle storie importanti. Sono convinto di aver fatto la scelta giusta: mettermi in gioco, non solo per queste persone che vanno raccontate, ma anche un po’ per me. Ho acquisito una nuova piccola consapevolezza: riesco a lavorare come vorrei anche a 2.000 chilometri da casa, seguendo un risvolto collaterale dell’evento più importante degli ultimi decenni”.

About the Author

Cecilia Rossi
Nata e cresciuta nelle Marche, studio a Urbino, dove mi laureo in Comunicazione con una tesi sull'involuzione autoritaria in Ungheria. Ho vissuto per sei mesi a Bruxelles, dove non ho migliorato il mio francese, ma in compenso ho studiato un po' di economia. La maggior parte del tempo leggo libri, lavoro a maglia e mi perdo nei documentari.

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