di BEATRICE GRECO
CANTIANO – Le scarpe affondano nel fango che ha invaso le strade di Cantiano. La melma avvolge tutto il piede, camminare è difficoltoso, fare un passo richiede uno sforzo triplo del normale. È come se il fango volesse tenerti lì fermo ad osservare. E infatti qualcuno sta così, fisso sull’uscio di casa. A constatare quanti danni abbia fatto l’acqua, quanti mobili ci siano da buttare, quanto in alto sia arrivata quella fiumana infernale.
Alberto abita all’ingresso del paese. Ha una felpa rossa, che spicca sul marrone che ha conquistato tutta la strada. Se ne sta immobile ad osservare quel fiume che ormai gli scorre in giardino. Il muro di cinta del suo vicino ha ceduto sotto la forza della piena del Burano e in un attimo l’acqua ha raggiunto il suo cortile. Ha gli occhi lucidi e lo sguardo di chi non sa cosa fare. “Non ho mai visto una cosa così – dice Alberto al Ducato – non pensavo fosse possibile”. Spiega che l’acqua ha iniziato a entrare in casa già alle 18, poi si è fermata per un poco e poi ha ricominciato a invadere tutto con una forza inaudita: “Entrava da tutte le parti. Da un lato, io e mia moglie vedevamo il giardino riempirsi e, dall’altro, l’acqua entrava da sotto la porta d’ingresso”. Si dicono fortunati, Alberto e sua moglie Erica: nella loro casa ad avere la peggio sono state solo qualche parte bassa dei mobili, le gambe del tavolo e la cantina, posta allo stesso livello del giardino.
La linea della piena
A fianco alla loro abitazione c’è la porta per accedere al centro di Cantiano e, varcata quella soglia, il fango sale passo dopo passo fino ad arrivare alla piazza principale. Lì, durante la piena, l’acqua ha raggiunto anche un metro e mezzo d’altezza e anche adesso, che sono passate svariate ore, lambisce le ginocchia degli uomini dei vigili del fuoco. Nel tragitto, per terra, ricoperti dalla melma, rami, pezzi di legno, suole, mele, cerini, parti di sedie o di tavoli. Si vede di tutto: la piena ha colto tutti di sorpresa e ha portato con sé qualsiasi cosa.
Nella via principale, sulla destra, c’è il pub irlandese, con Gianluca detto Rum (il proprietario) che cerca di svuotare il locale con un grossa paletta, di quelle che si usano per pulire in casa. “Sono stato fortunato – ammette – perché la porta d’ingresso ha retto e così all’interno sono arrivati solo 30 centimetri d’acqua”. Nel dirlo, indica il portone spalancato di un palazzo. Si riesce a vedere l’androne: una tinta giallina copre le pareti e a circa un metro di altezza c’è una netta linea marrone. La linea della piena.
È la stessa riga netta che ci mostra Elisabetta. Se ne sta all’ingresso della chiesa, quella che tutti chiamano “la collegiata”. Fino a poco prima Elisabetta aveva sorriso, tentando di esorcizzare un momento così tragico. È nata a Cantiano 60 anni fa e lì è cresciuta. Conosce tutti, saluta tutti e a tutti chiede come stanno e qual è la situazione nelle loro case. Ha una parola buona per ognuno di loro e continua ad essere instancabilmente positiva. Poi vede quella linea nella chiesa e non riesce a trattenere le lacrime. “La mia collegiata” riesce solo a dire. Il portone è stato divelto dall’onda di acqua e detriti e all’interno le panche, una volta tutte in file precise, sono ammassate una sull’altra vicino all’altare. I piccoli altarini delle navate sono danneggiati e il pavimento è completamente ricoperto di dieci centimetri di fango. Ma non è nulla in confronto a quella maledetta linea, arrivata a un metro e mezzo.
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Il fango nelle attività
Superata la chiesa, c’è il forno, invaso dal fango, del signor Bartolucci. Lo aveva rinnovato sette anni fa e ora alcuni ragazzi stanno portando fuori dei macchinari completamente ricoperti di melma. “Non so se definire la situazione tragica o drammatica. O forse tutte e due”, cerca di ironizzare Bartolucci, che continua: “Dovrò buttare via tutto”.
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Poco prima della piazza c’è quello che tutti chiamano il “bar del centro”. È stato inaugurato a giugno e ora non ne è rimasto nulla. Di fronte al bar, accatastati, tavolini e sedie divelte, il freezer dei gelati, persino la macchina del caffè. “Mi sono rimaste solo le mura esterne e queste cento bottiglie” dice Francesco, co-proprietario insieme alla moglie, mentre riempie una carriola con bottiglie di vino e liquori, tutte ormai di color grigio fango.
Di fronte al bar, la chiesa San Nicola e la piazza Luceoli su cui lavorano instancabilmente ruspe e uomini della Protezione civile, dei Vigili del Fuoco e tanti volontari, arrivati da tutti i paesi vicini. A far la differenza negli aiuti, dicono tanti cittadini, sono stati i ragazzi della squadra di rugby di Gubbio, arrivati a Cantiano apposta per dare una mano alla cittadinanza.
I gradini della salvezza
Dalla piazza, basta volgere lo sguardo a destra e la situazione si fa ancora più drammatica. Una voragine si è aperta in una via che costeggia la chiesa. Lì nessuno prova a passare ed è da lì che è arrivata, con tutta la sua forza, la piena del fiume. “Ricordo il buio e ricordo la luce dei fulmini che illumina a intermittenza quella marea marrone” racconta Sabrina, che abita in una delle zone più colpite di Cantiano. “È successo tutto in pochi secondi. Un attimo prima il fiume era al suo posto e un attimo dopo…”. Fa fatica a parlare, le si strozza la voce. “Ero in casa con mio marito e i miei figli. Ho visto l’acqua alzarsi sempre più e poi ho visto passare tre macchine una sull’altra trasportate dalla corrente. Dopo la luce è saltata. Ci siamo rifugiati al secondo piano, il primo era completamente sommerso” dice Sabrina, che ancora ha la pelle d’oca. “Guardavo ripetutamente la scala e contavo i gradini che mi separavano da quella marea marrone, che continuava a salire” racconta: s’è fermata tre gradini sotto e quella marea ha raggiunto anche, in casa sua, anche i tre metri e mezzo d’altezza.
La piena è stata impetuosa e, trasportata da quella forza immane, c’è stata anche una ragazza che, per mettersi in salvo, si è aggrappata al ramo di un albero. “Urlava ‘Aiuto, annego. Muoio. Non voglio morire’ – ricorda Sabrina – così mio marito non ci ha pensato un attimo. Con l’aiuto di mio figlio, si è legato con una fune al palazzo e si è tuffato a salvarla”. Negli occhi di Sabrina si legge ancora chiaramente il terrore di quei momenti, ma ora, pensando a quella vita salvata, sorride leggermente. E quello stesso sorriso si vede nei volti di tutti i cittadini di Cantiano. Spalano come possono, con le vanghe, con le pale, con le palette e con i secchi. Ma li muove un solo pensiero. “Rifaremo tutto più bello di prima”.