Marianna Aprile: “Writer e fumettisti, intellettuali a pieno titolo”

Foto di Maurizio Galimberti
di SARA SPIMPOLO

URBINO – Che spazio hanno i media tradizionali nel 2022? Chi sono gli intellettuali oggi? Ha ancora senso investire sulla carta? Abbiamo posto alcune di queste domande a Marianna Aprile, giornalista, caporedattrice di Oggi e conduttrice di programmi su Rai Radio 1 e La7, che sarà ospite al Festival del giornalismo culturale domenica 9 ottobre. Per Aprile se il giornale di carta è ancora necessario, “perché ha un controllo maggiore del web su quello che stampa”, per sopravvivere ha però bisogno di reinventarsi.

“Non perché la carta debba morire – chiarisce – ma perché nel futuro avrà un’altra funzione e una diversa fruizione. Basti pensare che le edicole stanno scomparendo. La sfida del momento è riuscire a prendere il brand che rappresenta un giornale cartaceo ed espanderlo su altre piattaforme. È quello che sta cercando di fare anche il mio giornale, che sta presentando un grande rilancio del digitale”.

Targetizzare i contenuti: il mio papa e il Post

Evolversi, quindi, e in qualche modo specializzarsi. “La mia opinione è che oggi abbia senso investire in nuovi giornali cartacei solo se si individua un pubblico specifico cui rivolgersi. Mi viene in mente l’esempio della rivista Il mio papa, edita da Mondadori, che nacque dal niente quando fu eletto papa Francesco, intuendo l’esistenza di un potenziale lettore che volesse sapere chi fosse questo nuovo papa. Era una rivista pop, quasi di costume. Hanno fatto un azzardo ed è riuscito”.

“Un altro esempio – continua Aprile – è quello del Post. Con le sue “cose spiegate bene” (che poi è diventato anche il titolo della loro rivista cartacea) hanno individuato un tipo di giornalismo che non esisteva impostato così. Non ti do la breaking news, magari arrivo un po’ dopo, ma la notizia te la spiego bene. E funziona”.

Un lavoro in previsione

“Un ripensamento dei contenuti dei quotidiani – prosegue – è in corso già da qualche anno, alla luce del fatto che le breaking news oramai arrivano dai social e dal web. Sul giornale del giorno dopo sei obbligato a non limitarti alla notizia, ma dare un taglio di approfondimento. E, soprattutto se sei un settimanale, devi avere la capacità di intuire cosa rimarrà vero nel tempo. È un lavoro nel limite del possibile in previsione”.

E se accade che l’informazione prenda parte nel dibattito pubblico, e non si limiti solo a raccontarlo, “da una parte è un fallimento, ma non senza soluzione. Anche se non c’è più chi compra tre o quattro giornali la mattina, le diverse idee entrano in circolo comunque e contribuiscono alla formazione del pensiero critico”.

Da Zerocalcare a Tvboy: l’intellettuale che non spiega, ma interroga

Se l’intellettuale nel Novecento per Aprile era il “grande vecchio” che faceva lezione, oggi è colui che interroga. “È la persona che ti dice: ehi, c’è questo tema. Ti ci eri mai soffermato? Qual è la tua opinione in merito? Intellettuale è un fumetto di Zerocalcare (che non a caso è stato appellato come ‘L’ultimo intellettuale’ da una copertina de l’Espresso nel 2020), intellettuale è un murale di Tvboy. È chi ti impone un ragionamento nel flusso inesauribile d’informazione cui sei sottoposto”.

Ancora tutti maschi

Il circolo degli intellettuali, però, nel Novecento come nel 2022, è ancora composto da soli uomini. “Perché sono tutti maschi dappertutto. Celebriamo Samantha Cristoforetti non solo perché è brava, ma anche perché è l’unica. L’impressione è che opinioni e idee femminili siano ancora molto poco rappresentate. Ma nel momento in cui ti imponi, a parità di competenze, di cercare equilibrio tra donne e uomini, ti accorgi che le donne non c’erano non perché non erano competenti, ma perché non venivano prese in considerazione”.

Investire nelle foto di Cartier-Bresson si può

Resta però una nota di speranza. “Per quello che vedo, lo spazio per la cultura nell’informazione rimane. Le foto di Cartier-Bresson costano di più di quelle di Totti e Blasi, ma se hai le spalle larghe e la voglia di investirci, lo spazio per il giornalismo culturale c’è”.

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