Fgcult 2022, la lectio di Carofiglio è sulle metafore politiche, da Berlusconi a Veltroni passando per Obama

Gianrico Carofiglio durante la sua lectio. Foto di Sara Spimpolo
di DAVIDE FANTOZZI

URBINO – “Le parole possono essere pericolose. Sono in grado di cambiare il mondo, in bene o in male”. Si apre così la lectio dello scrittore Gianrico Carofiglio, e con essa l’edizione 2022 del Festival del giornalismo culturale. Il panel si intitola “Le parole sono pistole cariche”, e ha come soggetto una figura retorica molto potente: la metafora.

L’uso della metafora è molto, anzi, “troppo radicato nel modo di pensare”. Tuttavia “è difficile rinunciare al loro utilizzo completamente – spiega Carofiglio – perché sono di aiuto quando la mente si confronta con questioni nuove da comprendere o da comunicare”.

Un quaderno degli appunti sulla lectio

Scendere in campo

Le metafore sono dappertutto, ma quelle usate dalla politica “sono spesso consumate, tossiche, perché esentano chi scrive e chi legge dal pensare. Sono una fuga dal dovere della comprensione”.

In particolare “da trent’anni la politica è influenzata da una formula usata nel 1994 da Silvio Berlusconi: ‘ho scelto di scendere in campo’. Fino a quel momento – prosegue – l’espressione era solo calcistica, ma creava un senso di comunità”. Anche il nome del partito, “Forza Italia”, rievoca lo sport: “È l’urlo che il pubblico lanciava quando gli Azzurri scendevano in campo”.

Per il linguista George Lakoff, citato dall’autore, “la forza delle metafore in politica è nella capacità di attirare frame, ossia strutture comuni. La passione calcistica è comune a tutti i Paesi. È qui la genialità di Berlusconi, aver trovato un modo per produrre emozioni comuni, far sentire ‘a casa’”.

Non pensate all’elefante

Per Carofiglio, però, basarsi su queste metafore tossiche per costruire messaggi contrari “non funziona mai, anzi. È il modo migliore per far vincere un altro, o un’altra. Se vi chiedessi di non pensare a un elefante, chi lo farebbe? La nostra mente quando si tratta di approcciarsi alla politica, o al calcio, o all’elefante, ci pensa subito”.

Un’altra metafora piuttosto nota è “mettere le mani nelle tasche degli italiani. Quando un politico si difende dai populismi degli antitasse e dice ‘non metteremo le mani nelle tasche degli italiani’, ha già perso – sorride mestamente – perché chiede di non pensare all’elefante. Dà per scontato che le tasse equivalgano a mettere le mani nelle tasche degli italiani”.

Alcune alunne dell’Isia di Urbino illustrano le parole di Carofiglio

Si può fare (forse)

L’autore dice di essere “arrabbiato per la sciatta consapevolezza con cui si maneggiano questi strumenti da cui dipende la misura dei successi politici. Si può dire molto bene la verità attraverso, ad esempio, gli slogan”.

Il celebre “Yes, we can” di Barack Obama alle presidenziali statunitensi del 2008 nasce dall’estratto di un discorso: “Fu sussurrato dagli schiavi e dagli abolizionisti mentre tracciavano un sentiero verso la libertà attraverso la più buia delle notti: sì, noi possiamo”. Questo “dà un po’ di brividi – dice Carofiglio – perché c’è la metafora negativa dell’oscurità mentre noi siamo la luce. Ci si sente parte di qualcosa, il messaggio è che noi tutti possiamo qualsiasi cosa. Un senso collettivo di responsabilità.”

Meno fortunata la campagna analoga usata in Italia dal Partito Democratico, guidato da Walter Veltroni nel 2008: “Si può fare”. Slogan che lo scrittore ricorda con ironia: “Una delle più celebri battute di ‘Frankenstein Junior’. Chi sente quella frase ride di te, e in politica va bene se qualcuno ride con te, ma non se ridono di te”.

Verità: rivelata, evitarla o relativa?

La parola “verità – conclude – si presta a 21 anagrammi. Tra questi, rivelata, evitarla, relativa. Ognuno dei tre sintetizza una linea del pensiero di verità: rivelata quella della metafisica o della religione, evitarla in riferimento allo scetticismo radicale di chi pensa che la verità non sia raggiungibile e relativa, che allude a una dimensione plurale della verità, collaborativa”.

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