L’inchiesta di Perugia e i ‘reati’ dei giornalisti. Tizian: “La fonte è sacra”

Giovanni Tizian, giornalista del Domani
di MARIA CONCETTA VALENTE

URBINO – “Anomalo” e “curioso”: sono le due parole che Giovanni Tizian ripete più spesso per descrivere il caso in cui si trova coinvolto. Ride, “sto bene”, dice, e sembra tranquillo. Mostra la serenità di chi sa di avere fatto il proprio dovere e di stare nel giusto. Tizian è il coordinatore del team investigativo del quotidiano Domani e, insieme con i colleghi Nello Trocchia e Stefano Vergine, è indagato per accesso abusivo in concorso e rivelazione di segreto, nell’inchiesta giudiziaria della procura di Perugia nota con il nome di “dossieraggio”. Nel caso sono coinvolti anche alcuni funzionari dello Stato (i nomi emersi sono quelli del finanziere Pasquale Striano e il magistrato Antonio Laudati accusati di falso, accesso abusivo a sistema informatico e abuso d’ufficio) che avrebbero sfruttato le banche dati della Direzione nazionale antimafia (Dna) per ottenere notizie riservate e informazioni su centinaia di persone, soprattutto politici. Questa vicenda pone tanti interrogativi deontologici e di diritto: dalla responsabilità dei giornalisti alla protezione della fonte, fino alla violazione della libertà di stampa.

Perché non è dossieraggio (nel caso dell’inchiesta giornalistica)

Partiamo dal principio. L’inchiesta di Perugia nasce dalla denuncia del ministro alla difesa Guido Crosetto, dopo la pubblicazione degli articoli di Domani sui compensi ricevuti dalle industrie degli armamenti, in particolare da Leonardo ed Elettronica Spa. Aziende, “che fanno affari con il ministero della Difesa”, spiega Tizian, e da cui Crosetto ha ricevuto 2,3 milioni di euro dal 2018 al 2021. Informazioni che arrivano da un database non disponibile pubblicamente ma “essendo una notizia di interesse pubblico, l’abbiamo verificata e poi pubblicata in tre puntate (27, 28 e 29 ottobre 2022 ndr)”. Per Tizian “è proprio sbagliato parlare di dossieraggio relativamente all’indagine giornalistica” perché, precisa, “non esiste alcun dossieraggio ma solo notizie vere, verificate e pubblicate”. È indagando sulla fuga di documenti, e come siano arrivati nelle mani dei giornalisti, che gli inquirenti hanno scoperto i funzionari “infedeli”.

L’avvocato Carlo Magnani, professore di diritto dell’informazione all’Università di Urbino, precisa la differenza tra il raccogliere materiale per uno o due articoli e l’archiviare migliaia di documenti protetti da segreto. Dossieraggio significa raccogliere materiali per colpire determinati soggetti. E qui la domanda sorge spontanea: è ancora diritto di cronaca o è lotta politica con mezzi discutibili? Per Magnani non c’è una risposta univoca. Bisogna vedere, caso per caso, l’entità delle violazioni, la quantità di file, documenti, persone coinvolte, con quanta frequenza e perché.

Nel caso dei migliaia di accessi abusivi effettuati da Striano “non siamo davanti a un carabiniere che passa la chiavetta di un processo, siamo ben oltre. Come diceva Hegel, la quantità si converte in qualità”, risponde Magnani. Se queste intrusioni riguardano determinate categorie di professionisti, politici o in particolare politici di una determinata parte, “allora sì che è in gioco il principio democratico”. Ma sull’inchiesta di Domani le cose stanno in maniera diversa: “In questo caso c’è un articolo, una pubblicazione, non un mero accumulo di dati riservati”, chiude.

“La fonte è sacra”, soprattutto nel giornalismo d’inchiesta

Alle prime lezioni di giornalismo vengono date due regole principali che sembrano in contrasto. La prima è: citare sempre le fonti. La seconda: rispettare il segreto professionale su di esse quando ciò è richiesto dal loro carattere fiduciario e la cui identificazione possa metterle in pericolo (articolo 2 dell’Ordinamento della professione del giornalista). Un giudice, in casi particolari, può obbligarli a rivelarla ma “la fonte è sacra” è un mantra che accompagna la vita dei giornalisti e li porta a dire: “Piuttosto che confessare le mie fonti, il carcere”. Lo ripete spesso Franco Elisei, presidente dell’Ordine dei giornalisti delle Marche e docente di etica e deontologia del giornalismo. Per lui “la richiesta di Crosetto di conoscere la fonte si scontra contro il muro del segreto professionale del giornalista”. Elisei non vede l’esposto di Crosetto come un attentato alla libertà di stampa, ma poi la sua richiesta “deve passare dai giudici”.

Franco Elisei, presidente dell’Ordine dei giornalisti delle Marche

“La fonte è sacra – ripete anche Tizian, che precisa – soprattutto per chi fa giornalismo investigativo”. Chiarisce fin da subito che non rivelerà mai le fonti che hanno passato loro il materiale su Crosetto. Dice però che ne servono almeno quattro o cinque per portare avanti inchieste di questo tipo. E infatti nessuno sa se tra le fonti dei cronisti indagati ci siano i nomi di Striano e Laudati, né se quei documenti arrivino da accessi abusivi, tantomeno il rapporto tra i giornalisti e chi ha fornito loro le informazioni. È qui che la segretezza della fonte viene messa in pericolo perché l’obiettivo delle indagini della Procura retta da Raffaele Cantone, nata dall’esposto di Crosetto, è partita proprio per cercare la fonte di quella notizia. L’ipotesi degli inquirenti sembra essere quella che i giornalisti abbiano sollecitato Striano a estrarre documenti dall’archivio della Dna.

Tizian racconta che già un’altra volta gli era stata chiesta la rivelazione della fonte: sul caso Metropol, l’inchiesta sui presunti fondi russi della Lega, poi archiviata. “Era il 2019 ed era stato il Cremlino a chiederlo, ora è il governo italiano a farlo”. Si lascia andare ancora a una risata: “Mi fa sorridere questa anomalia”. Poi aggiunge: “È una cosa che sta fuori da ogni gioco democratico perché se passa il precedente che ogni volta che si scrive di persone che gestiscono la cosa pubblica si chiede alla procura di individuare le fonti, è molto pericoloso”.

L’interesse generale che muove tutto

Secondo Elisei vanno distinti due casi: se è la fonte, che ha commesso reato, a fornire la notizia al giornalista o se è il giornalista a chiedere alla fonte di commettere un reato pur di avere una notizia che possa essere di interesse pubblico. In quest’ultimo caso “la cosa è assolutamente più seria”. Anche nella prima ipotesi, però, il giornalista deve tener conto del reato commesso dalla fonte, ma in primis deve considerare l’interesse sociale che ha la notizia e verificarla: “Per noi l’interesse generale è quello che muove tutto”.

“Un’inchiesta giornalistica è la paziente fatica di portare alla luce i fatti, di mostrarli nella loro forza incoercibile e nella loro durezza”, diceva Giuseppe D’avanzo, e aggiungeva: “Il buon giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere e se ne fa custode nell’interesse dell’opinione pubblica”. Qui entra in gioco la responsabilità del giornalista, che non deve essere un canale acritico alla mercé di chi vuole strumentalizzare determinate informazioni. Anche perché, come mette in guardia Elisei, “tutte le fonti sono interessate nel fornire una notizia al giornalista. Bisogna vedere se questo interesse, che è comprensibilmente di parte, corrisponde all’interesse collettivo. Se così è, il giornalista può e deve pubblicarla”.

Avv. Carlo Magani, professore di diritto dell’informazione all’Università di Urbino

Dal punto di vista giuridico la pubblicazione è protetta, rassicura Magnani, dall’articolo 51 del Codice penale che stabilisce che “non è punibile chi commette un fatto per esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”. La pubblicazione quindi, “non può mai diventare reato, purché sia vera, riguardi l’interesse generale e sia scritta in maniera continente (con termini non offensivi ndr)”. Il problema però, puntualizza Magnani, sta nell’attività fatta prima della pubblicazione. È protetta oppure no? “Qui la giurisprudenza oscilla – risponde – con una tendenza, in tempi recenti, a considerare escluse dalla scriminante del diritto di cronaca le attività illecite commesse prima della pubblicazione”. Significa che un giornalista che commette reati per entrare in possesso di informazioni potrebbe essere perseguibile. Come sta accadendo a Tizian e colleghi.

In particolare l’avvocato fa riferimento alla sentenza della Corte di cassazione 36407 del 2023, sulla configurabilità del reato di violenza privata. Quanto alla scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, si legge che questa “rileva solo in relazione ai reati commessi con la pubblicazione della notizia e non anche rispetto a eventuali reati compiuti al fine di procacciarsi la notizia”. Un’altra sentenza della Cassazione (la 38277 del 2019) però dice che il diritto di cronaca “arriva a coprire anche i reati commessi prima e in funzione della pubblicazione di una notizia”.

È una violazione della libertà di stampa?

Per Tizian non c’è dubbio: sì, “innanzitutto per come è nata l’inchiesta della procura di Perugia, con una denuncia del ministro Crosetto”. “Tutto questo in un Paese normale – continua il cronista di Domani – avrebbe portato a reazioni diverse”. Ritiene che sia “veramente pericoloso” e intende portare avanti, insieme con i colleghi, una “battaglia di principio sulla segretezza delle fonti”. “Che poi – e su questo torna a sorridere – è curioso che noi siamo venuti a saperlo dai giornali. Si parla di una inchiesta su fughe di notizie e si apprende tutto attraverso altre fughe di notizie. È curioso, è tutto molto curioso”, ripete. “Per fortuna abbiamo molte fonti e quindi continueremo a dare notizie, si spera, di interesse pubblico. Quello che facciamo, lo facciamo per i nostri lettori. Non abbiamo nulla da temere se questo è ancora un Paese con una democrazia sana. Se c’è una notizia vera e riusciamo a documentarla il lettore la saprà da noi”, conclude deciso.

Secondo Elisei il problema riguarda piuttosto l’accesso illegittimo di una banca dati riservatissima e non il diritto a pubblicare una notizia di interesse pubblico: “Parliamoci chiaro, mica tutto è stato trasferito ai giornali. L’interesse generale c’era ed è su questo che il giornalista ha ragionato, non su tutto il resto. L’inchiesta invece, è su tutto il resto”.

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