Codice Camaldolese, così per otto secoli i monaci hanno difeso le foreste: “Divenga patrimonio Unesco”

Don Salvatore Frigerio e il vicesindaco Roberto Cioppi durante il workshop sul Codice forestale camaldolese
di FRANCESCO COFANO

Materialmente è un insieme di norme con cui i monaci hanno gestito le foreste dell’Appennino per più di otto secoli. Ma nel Codice forestale camaldolese viene fissato, per la prima volta nella storia occidentale, un rapporto simbiotico tra uomo e natura che nasce da un’istanza etica. L’ambiente, e gli alberi in particolare, diventa un soggetto da rispettare e tutelare, non più un oggetto da gestire.

Un messaggio ribadito ieri nel workshop Il codice forestale camaldolese e il rapporto uomo – ambiente, tenutosi a Urbino nel palazzo Battiferri. Il convegno è stato anche l’occasione per fare il punto sulla candidatura del Codice come patrimonio immateriale dell’umanità, presentata all’Unesco dal 2006.

Lo scorso febbraio la Commissione Nazionale Italiana Unesco ha assegnato il dossier al Ministero delle politiche agricole, forestali e del turismo (MIPAAFT). Da quel momento è ancora lì e dopo tutti questi anni il progetto ha perso priorità per l’Unesco. Per accelerare i tempi la soluzione potrebbe essere quella di realizzare un progetto sovranazionale, ma questo richiede soldi che non sono ancora arrivati. “Senza finanziamento non si va avanti e il dossier è destinato a restare al Ministero a tempo indeterminato. Siamo un po’ perplessi”, afferma Giovanni Perotti, responsabile della cattedra Unesco di “Antropologia della salute” dell’università di Genova che cura l’iter della candidatura dal 2017.

Anche Alessandra Stefani, direttore generale del MIPAAFT, conferma l’esigenza di coinvolgere altri paesi. “La candidatura è tornata indietro dal Ministero dei beni culturali perché per adesso ci hanno detto di sospendere. Bisognerebbe integrarla con una dimensione internazionale, ad esempio inserendo le realtà dei monaci camaldolesi all’estero vedendo cosa hanno realizzato in quei territori col Codice forestale”, afferma la dirigente.

Un momento del convegno

Le pratiche di comportamento dei monaci camaldolesi si sono sedimentate nel corso dei secoli fino al 1866, anno in cui lo Stato italiano incorporò le foreste del monastero nel demanio pubblico. L’esperienza di Camaldoli rappresenta un esempio di come il rispetto dell’ambiente non escluda un profitto economico: quello che oggi si definisce sviluppo sostenibile.

Infatti col tempo il monastero divenne una vera e propria impresa del legno. “Negli archivi di Camaldoli abbiamo trovato le ordinazioni per le travi di San Pietro, firmate addirittura da Michelangelo. Lo stesso avvenne quando bruciò il tetto della basilica di San Paolo fuori le mura. Ma i proventi della foresta appartenevano al territorio: si costruirono lazzaretti, ospedali, il quartiere popolare di San Frediano di Firenze”, spiega don Salvatore Frigerio, per 30 anni membro della comunità di Camaldoli e ora al monastero di Fonte Avellana, entrambi ispirati all’insegnamento di San Benedetto.

Conoscitore delle aree di montagna e da tempo sensibile al tema del loro rilancio per evitarne lo spopolamento, don Salvatore è stato il padre della Carta di Fonte Avellana che, sottoscritta dalla regione Marche nel 1996, anticipa molte delle misure adottate in questi anni dal MIPAAFT. “L’insegnamento dei monaci camaldolesi va oltre il rapporto con la foresta e diventa universale, riguarda il modo in cui l’uomo si adatta al proprio territorio, che sia bosco o città”, continua il monaco.

Un tema a cui si mostra sensibile anche il comune di Urbino, appartenente all’Unione montana dell’Alta Valle del Metauro. Con il Life Sec Adapt, approvato nell’ultimo consiglio comunale, l’amministrazione si assume tra le altre cose l’obbligo di prevenire gli incendi e il dissesto idrogeologico. “Abbiamo individuato nel territorio alcune zone maggiormente a rischio, come le zone marginali del nord-est, dove non ci sono più imprenditori agricoli e manca la manutenzione. Qui bisogna intervenire con il disboscamento e la regimentazione delle acque”, dice il vicesindaco Roberto Cioppi.

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