La storia di Luca, detenuto e studente universitario: “Grazie ai libri ho ritrovato mio figlio”

di FRANCESCO COFANO

URBINO – “Cosa stai studiando adesso? Qual è la tua materia preferita?” Inizia così una delle tante lettere che Luca (nome di fantasia) invia a suo figlio. Non telefonate, né messaggi su Whatsapp come fanno tutti ma una lettera scritta a penna su un foglio di carta perché, da 16 anni, Luca vive in prigione. Ma non è un semplice detenuto: dal 2016 è anche uno studente universitario nel carcere di Fossombrone. Lì si è fatto trasferire per continuare il percorso di studi cominciato ad Ancona, dove si è diplomato.

E proprio lo studio è stato il seme con cui far germogliare il rapporto col figlio, che aveva un mese quando dietro le spalle di Luca si sono chiuse le porte della prigione. La sua è una storia di delinquenza come tante altre, cominciata fin da piccolo quando entrava e usciva dall’istituto minorile. Poi con altri amici criminali Luca mise su un’organizzazione che si dedicava allo spaccio di droga e all’estorsione, fino a quando un giorno il gruppo scambiò una macchina con dentro due carabinieri in borghese per dei rivali e cominciò a sparare.

“Quando in paese ho saputo dell’errore, ho deciso di costituirmi e da quel momento è cominciata la seconda parte della mia vita”, racconta Luca. Entrato in prigione con la quinta elementare, ora è a metà della strada che porta alla laurea in Scienze dell’educazione.

L’incontro col figlio fuori dal carcere

Per raccontare la sua esperienza ha incontrato gli studenti dell’università di Urbino nell’ambito della “Sesta settimana internazionale dell’Erasmus”. Il suo è un percorso straordinario, grazie al quale nel 2017 ha ottenuto il primo permesso premio dal Tribunale di sorveglianza. Luca ricorda con emozione il momento in cui ha rivisto suo figlio fuori dal carcere dopo 15 anni. “Non ci ho capito nulla, mia moglie diceva che sembravo un bambino. I giorni prima dell’incontro ho mangiato e dormito pochissimo ma poi davanti a mio figlio non sono riuscito a dire una parola”.

Sempre grazie a un permesso Luca era presente il giorno del sedicesimo compleanno di suo figlio. “Abbiamo festeggiato a Fano, dove abbiamo comprato una torta con tanto di candeline. In tutti questi anni mi ero preparato una frase del film Blow (che racconta proprio una storia di droga) da dire in questa occasione”. Ma l’emozione ha tradito ancora una volta Luca. “Non riuscivo a ricordarla tutta e l’ho finita leggendo”, sorride.

Il riscatto e il sogno di diventare educatore

“Il mio sogno, visto che uscirò dal carcere a novembre, è lavorare come educatore – afferma – perché ho un nipotino autistico e perché io stesso mi sento rieducato. Ma se anche non dovessi riuscirci nessuno può togliermi ciò che ho imparato in questi anni”.

Luca è l’esempio di quanto l’attuazione dell’articolo 27 della Costituzione, che sancisce la natura rieducativa della pena, non sia un’utopia nelle carceri italiane, spesso associate a criticità come sovraffollamento, suicidi e condizioni di vita pessime.

“Per i detenuti studiare rappresenta una chance di concreta reintegrazione nel tessuto sociale ma anche l’opportunità per avere un obiettivo da raggiungere e misurarsi con qualcosa durante la detenzione”, spiega Daniela Pajardi, coordinatrice del Polo universitario regionale all’interno della Casa di reclusione di Fossombrone.

Ma il cambiamento in cella non è la regola. “Non tutti i detenuti sono santi: c’è chi non vuole essere reinserito e decide di rimanere un criminale per tutta la vita e c’è chi come me vuole cambiare”, ammette Luca.

Come lui, altri 24 detenuti si sono trasformati in studenti. L’offerta formativa è ampia e tocca nove corsi di laurea: da scienze politiche a economia, da giurisprudenza alla magistrale in lettere.

“I detenuti studiano più dei ragazzi perché hanno paura di fare brutta figura e deludere il professore. Ottenere i permessi per far entrare i docenti in carcere è complesso quindi non ‘tentano’ gli esami come capita agli universitari tradizionali”, dice la Pajardi.

La giornata tipo di Luca

Grazie all’articolo 21 della legge 354/1975 sull’ordinamento penitenziario, che prevede per i detenuti la possibilità di lavorare all’esterno, Luca si divide tra lavoro e studio. “La mattina lavoro in una cooperativa di Fossombrone dove riparo oggetti usati che poi vengono rivenduti. Questo mi permette di guadagnare qualche centinaio di euro che mando anche alla mia famiglia”.

Tornato in carcere all’ora di pranzo, è il momento di mettersi sui libri. “Dopo essermi riposato e aver cenato alle cinque e mezza, studio anche per quattro ore. Di sicuro il tempo non mi manca”, scherza Luca. Che l’anno prossimo vuole partecipare nuovamente all’Erasmus week per raccontare la sua storia. E lo farà da uomo libero.

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