David Monacchi, il “Noè” dei suoni degli animali: “A Urbino l”orchestra’ della natura si è impoverita”

David Monacchi, ingegnere del suono
di FILIPPO CAMPO ANTICO

URBINO – Incidere i suoni prodotti dalla natura per donarli alle generazioni future. Che non potranno più ascoltarli, almeno in questa complessità, per via del cambiamento climatico che sta portando all’estinzione molte specie animali del nostro pianeta. Questa è la missione dell’ingegnere del suono e professore al Conservatorio Rossini di Pesaro, l’urbinate David Monacchi. “Se mettessimo a confronto le registrazioni che facevo nelle campagne urbinati da bambino con i suoni prodotti dagli animali e dalla natura al giorno d’oggi, si scoprirebbe come la complessità sarebbe nettamente minore, anche se per fare questa comparazione servirebbero decenni di registrazioni”, dice il professore, che ha però svolto questi studi nelle foreste vergini del mondo, quelle in cui l’uomo è passato solo “in punta di piedi”. Martedì 21 maggio alle ore 17.30, nella Sala incisori del Collegio Raffaello in piazza della Repubblica presenterà il suo nuovo libro edito da Mondadori, “L’arca dei suoni originari“.

“Un’arca del suono”, come quella biblica in cui Noè raccolse coppie di tutte le specie per salvarle dal diluvio universale. Il suo obiettivo è quello di creare un archivio dove preservare il suono degli animali delle foreste vergini del mondo e comparare le registrazioni fatte di anno in anno per testimoniare l’estinzione in atto perché “i suoni degli animali sono sempre più disorganizzati e la varietà è in diminuzione”.

Copertina del recente libro del professore, “L’arca dei suoni originari”

Il momento ideale per le registrazioni è il crepuscolo, dove il sole tramonta e lascia spazio alla notte stellata. Le registrazioni avvengono con una particolare attrezzatura che permette di capire da dove arriva ogni frequenza del suono. “Ascoltare la complessità acustica di una foresta pluviale è un po’ come ascoltarne il cuore. Mi concentro su aree ad altissima biodiversità, Difficili da raggiungere, ma uniche”, dice il professore. L’ultima volta in Ecuador Monacchi ha utilizzato l’apparecchiatura più avanzata mai portata prima in ambienti tropicali, che conta ben 38 microfoni. “Quando premi il tasto rec non puoi più distrarti, devi restare immobile e vigile”. Anche perché bisogna guardarsi dagli animali: il morso di un rettile può essere fatale.

La giovinezza nella natura urbinate

“Partivo la mattina con la bicicletta, nello zaino infilavo due mele e un libro. Me ne stavo tutto il giorno seduto sotto le grandi querce ad ascoltare”, descrive nel libro la sua adolescenza Monacchi. La sensibilità acustica non l’ha sviluppata attraverso lo studio della musica ma con l’ascolto della natura. Quella stessa sensibilità che gli ha permesso di vincere premi internazionali, di viaggiare per ricerche sul campo negli angoli sperduti della Terra e di tenere concerti e conferenze tra l’Europa e il Nord America. Urbino è la sua città: lì è nato ed è rimasto anche quando ha cominciato a inseguire il sogno della musica iscrivendosi al Conservatorio di Pesaro, a parte una breve parentesi di vita a Ivrea per seguire i suoi genitori.

Per Monacchi Urbino è stato un laboratorio di sperimentazione musicale a cielo aperto. Come quando nel suo libro racconta: “Appena ho avuto in mano il primo registratore bi-anulare, che è in grado di registrare il suono in modo tridimensionale, ho chiesto a un mio amico di riprendere la mia discesa mentre correvo “ululando” per via Raffaello e di registrare anche i commenti delle persone in piazza per sentire la prospettiva del suono in movimento”, descrivendosi come “una specie di giullare”, un ragazzino frizzante e non convenzionale. Ricorda ancora nel suo libro quando infilava la testa nei pozzi e urlava per sentire il riverbero e la qualità delle risonanze. O ancora quando si era arrampicato ubriaco sulle impalcature del Duomo, dal tetto era riuscito a entrare nella chiesa e si era messo a suonare l’organo. Ma il luogo prediletto era un altro: “Le mie estati le passavo al lago di Santa Maria, alle Cesane. Partivo da Urbino in bicicletta o a piedi. lì non c’erano tracce dell’essere umano e registravo i suoni poliritmici della rane di notte”. Quando ci è tornato alla fine degli anni Novanta quel gracidare era sparito.

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