Urbino Volley: processo per fatture gonfiate, le richieste di condanna della pm. Il 3 marzo la sentenza

La squadra della Robur Tiboni Urbino Volley

URBINO, 10 GEN. – Siamo all’ultimo capitolo prima della sentenza per il processo legato all'”operazione Watussi“, che ha coinvolto anche la Robur Tiboni Urbino Volley, la squadra femminile di pallavolo che nel 2011 giocava in A1 e vinceva la coppa CEV, una delle competizioni europee più importanti. Oggi la pm Enrica Pederzoli ha fatto le sue richieste di condanna, tra gli altri, un anno e due mesi per il presidente di quell’associazione sportiva, Giancarlo Sacchi e la figlia Enrica. A cui si sono contrapposte le richieste di assoluzione della difesa, mentre in aula non c’era nessuno degli imputati. La sentenza arriverà nell’udienza del 3 marzo, ore 13.

I protagonisti della vicenda sono la società Cimas, che si occupa di ristorazione per mense e catering, e le associazioni sportive con cui ha stretto contratti di sponsorizzazione, tra cui spicca appunto l’Urbino Volley. L’accusa è il reato di fatture per prestazioni parzialmente inesistenti, ovvero le associazioni sportive avrebbero venduto spazi pubblicitari a prezzi gonfiati per poi restituire parte dei soldi, in modo che entrambe le parti ne ricavassero i relativi benefici economici.

Per Angelo Sansuini e Maurizio Sansuini, alla guida dell’impresa Cimas, la pm ha chiesto due anni. Mentre sui quattro imputati di altre società sportive coinvolte nel processo – Silvano Paiardini, Girolamo Remedia, Valerio Aluigi Pietro Eros Ragnucci – pende anche il reato di favoreggiamento.

La tesi della pm Pederzoli è che ci sia una sproporzione tra i soldi investiti in pubblicità e le prestazioni fornite. Prestazioni pagate con bonifici e che sarebbero concomitanti a prelievi in contanti finalizzati a restituire una parte dei soldi ricevuti. “Si parla di somme ingenti, anche 7.000 euro – ha detto la pm – senza ragione logica che possa giustificare questi soldi come rimborsi. Nessuno degli imputati ha dato una spiegazione concreta per questi prelievi. Non potevano essere stipendi per gli atleti perché il denaro non veniva ritirato con cadenza mensile. Si parla di evasione, vantaggi di natura fiscale e tributaria e da qui si innestano le ipotesi criminose”.

Dall’altra parte gli avvocati difensori chiedono l’assoluzione degli imputati, spiegando che i giocatori di pallavolo, non essendo riconosciuti come professionisti, non ricevono uno stipendio, ma ufficialmente un rimborso, anche se si tratta di diverse decine di migliaia di euro. Inoltre, secondo l’avvocato Michele Ambrosini, difensore di Maurizio Sansuini, “per dimostrare che le spese erano sproporzionate rispetto alle prestazioni pubblicitarie è necessario un esame di comparazione con altre società sportive, chiedendo loro quanto costa fare i cartelloni pubblicitari. Esame che non è stato fatto. Non c’è poi un modus operandi tale da poter correlare i bonifici con i prelievi, perché non sempre sono avvenuti in giorni vicini e a volte i prelievi precedevano i bonifici. Maurizio Sansuini infine non ha mai contattato direttamente la Robur” e quindi, secondo la tesi difenaiva, non avrebbe potuto concordare il piano illecito.

(m.l.c.)

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