Agosto 1944: i nazisti alle porte e gli ebrei in fuga dalla persecuzione. “Ma a Urbino nessuno tradì”

di GIACOMO PULETTI

URBINO – La Shoah di Urbino ha una data simbolo: 12 agosto 1944. Quel giorno, con le truppe alleate ormai a ridosso delle mura cittadine, molti ebrei che avevano trovato rifugio a Urbino vennero deportati su ordine del comando tedesco che occupava la città. Erano soprattutto stranieri, nessuno era urbinate. Persone arrivate nella città ducale quasi per caso, in fuga dall’odio dilagante in Europa. Alcuni erano tedeschi, altri austriaci, altri ancora scappavano dalla furia dell’antisemitismo croato. Avevano trovato rifugio nel ghetto ebraico della città, ma anche nei dintorni di Fermignano, Sant’Angelo in Vado e Urbania.

Furono uccisi nel campo di aviazione di Forlì, per mano tedesca, in due diverse stragi: la prima, il 5 settembre 1944, provocò la morte di 30 persone; nella seconda, dodici giorni più tardi, le vittime furono 7, tutte donne. Tra loro c’era anche Arthur Amsterdam, figlio di una coppia di ebrei polacchi giunti come profughi a Fermignano il 22 dicembre 1941, in piena Seconda guerra mondiale. E c’era Joseph Tiemann, viennese, trasferito a Urbania dopo essere passato per il campo di Monteroduni, in Molise.

Nomi, luoghi e storie raccontati in Urbino tra le due guerre. Memoria pubblica e privata a cura di Paolo Giannotti ed Ermanno Torrico, che tra le altre cose illustra la vita della comunità ebraica di Urbino nel periodo fascista.

Un periodo relativamente tranquillo per diversi anni, tanto che alcuni ebrei furono anche esponenti del Partito nazionale fascista: come Alessandrina Coen, segretaria del fascio femminile dal 1925 all’agosto 1938, e Claudio Coen, vicesegretario del Fascio per pochi mesi, nel 1938. Vivevano nel ghetto racchiuso tra via Valbona (oggi via Mazzini), via delle Stallacce e via Stretta, dove si trovavano la sinagoga e il macello kosher. Dall’altro lato del centro storico, in via dei Merciai (oggi via Veterani) c’era la Giudecca, un insieme di case abitate da ebrei. Pochi metri più avanti aveva sede il banco di pegno, ancora oggi riconoscibile dalla scritta “disinteresse” sopra un portone di legno.

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La comunità ebraica di Urbino era perfettamente integrata con quella locale, ma poi arrivarono le leggi razziali del 1938. “In quel momento anche gli ebrei di Urbino capirono che le cose stavano cambiando – spiega Torrico, che oggi è presidente della sezione locale dell’Anpi – molti decisero di trasferirsi al Nord, altri invece restarono e non si piegarono mai al regime”.

Come Brenno Coen, repubblicano e antifascista da sempre, tanto da essere spedito al confino prima a Campagna, in provincia di Salerno, poi a Gioia del Colle, in Puglia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 le cose si complicarono irrimediabilmente, costringendo gli ebrei urbinati a scappare tra le campagne di Monte Soffio e Monte Avorio o a rifugiarsi a casa di amici.

“Alcuni urbinati misero in pericolo la propria vita pur di proteggere quella dei concittadini di religione ebraica”, racconta Torrico ricordando alcune figure dell’antifascismo locale. “Sappiamo di due dipendenti comunali che falsificavano documenti pur di ingannare i nazisti e i repubblichini che cercavano gli ebrei”. Nessuno tradì, nemmeno quando i nazifascisti che occupavano la città offrivano cinquemila lire per ogni ebreo segnalato.

Le foto segnaletiche di Arthur Amsterdam e Joseph Tiemann

“La guerra è stata una parentesi orribile nella vita della nostra comunità – dice Vittoria Coen, figlia di padre ebreo e madre cattolica – ma subito dopo tutto tornò come prima. C’era una perfetta armonia”. I pochi ebrei tornati a Urbino dopo la guerra ripresero a frequentare i ricevimenti delle famiglie borghesi, alcuni si reiscrissero al circolo cittadino, altri ricominciarono a festeggiare le celebrazioni ebraiche come il Purim, simile al Carnevale.

VITTORIA SESTILI COEN – Ebrea e cattolica nel ’43: “Qui a Urbino mai nessuno ci denunciò ai fascisti”

“Siamo stati salvati dagli amici che si rifiutarono di collaborare con i tedeschi – ricorda commossa la signora Coen – Il genero del Podestà, nostro amico di famiglia, ci avvertì dell’imminente retata permettendoci di fuggire nottetempo dalla nostra casa in campagna. Erano passati pochi giorni dall’8 settembre, e da lì iniziò il nostro peregrinare”.

LA STORIA – Quando l’Università espulse docenti e dipendenti ebrei

Alcuni scapparono molto prima, ebrei urbinati di nascita ma trasferitisi, per lavoro, paura o necessità, in altri luoghi d’Italia. Il sito nomidellashoah.it elenca le peripezie di alcuni di loro.
C’è la storia di Jole Bemporad, nata a Urbino il 6 ottobre 1886, arrestata a Ferrara e caricata su un convoglio partito da Fossoli il 22 febbraio 1944. Morirà nel campo di concentramento di Auschwitz. Stessa sorte di Arrigo Coen, nato nella città ducale il 17 settembre 1879 e arrestato a Santa Croce sull’Arno, vicino Pisa. Anche lui, come altre centinaia di migliaia di ebrei, troverà la morte nella ferocia di Auschwitz.

Amelia Cohen, invece, fu vittima del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma, quando 1259 persone furono prelevate dalle proprie case per essere deportate. Era l’alba del 16 ottobre 1943, e pochi giorni dopo Amelia e gli altri scorsero la scritta “Arbeit Macht Frei” dal treno dov’erano stipati.

Ferrara, Pisa, Roma. Gli ebrei che avevano lasciato Urbino avevano cercato riparo in ogni parte d’Italia, protetti da amici, conoscenti o chiunque non condividesse il folle piano di sterminio messo in atto dalle truppe nazifasciste dopo l’armistizio.

Lina Milla, nata a Urbino il 10 luglio 1901, si era rifugiata a Milano. Ma proprio nel capoluogo lombardo fu arrestata e caricata su un convoglio che il 6 dicembre 1943, pochi mesi dopo l’armistizio, si allontanò dal binario 21 della Stazione centrale. Un’unica, fatale destinazione: Auschwitz. Aveva poco più di quarant’anni, Lina. Come tutti gli altri, non fece mai ritorno sotto ai torricini.

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