In quarantena 30 medici in provincia di Pesaro e Urbino. Valeri: “Siamo rassegnati, territorio abbandonato”

di CHIARA UGOLINI

URBINO – Dalle otto di mattina, in un’ora, il telefono squilla sei volte. Al giorno sono più di 100 le chiamate che riceve il dottor Fabrizio Valeri, segretario regionale e rappresentante della Provincia di Pesaro e Urbino Snami (Sindacato nazionale autonomo medici italiani), che esercita sul territorio come medico di base. Dall’altra parte della cornetta, uomini e donne di ogni età della Provincia: “Ho la febbre, che faccio?”. Secondo Valeri, il territorio è abbandonato, lui e i suoi colleghi non hanno abbastanza supporto, a cominciare dalle protezioni: “Ci hanno dato le mascherine ma calzari, occhialini, tute o camici usa e getta, abbiamo dovuto trovarli noi”.

Ma la giornata non è fatta solo di telefonate, ci sono anche le visite in tre ambulatori differenti. “Lascio la porta di ingresso chiusa e faccio entrare un paziente alla volta anche in sala di attesa”, dice il dottore. Poi ci sono le visite a domicilio. Quasi non si contano le ore di lavoro. Sabato e domenica compresi. “Come medico, non puoi non rispondere alla gente”.

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Di fronte all’emergenza Coronavirus, le forze mediche sono messe a dura prova non solo a livello nazionale: su circa 100 medici di famiglia operativi nella Provincia, ad oggi, 30 sono in quarantena perché venuti a contatto con pazienti positivi al Coronavirus. “So che hanno fatto il tampone e stanno attendendo i risultati – aggiunge Valeri – Di questi anche un medico di Urbino è in gravi condizioni”.

Non tutti gli ambulatori poi possono contare su due o più medici che si danno il cambio. “Finché ci sono dei giovani medici che ci sostituiscono riusciamo ad andare avanti, ma noi siamo da soli. Andiamo in ambulatori anche di altri comuni vicini”.

“Siamo veramente a mani nude”, sospira il dottore, mentre il telefono squilla altre due volte ed è costretto ad interrompere l’intervista per qualche minuto. “Mi scusi, ma due pazienti avevano bisogno. Oggi devo andare a fare delle visite a domicilio”.

Giusto in tempo per provare le nuove mascherine chirurgiche fornite dell’Asur Marche (Azienda sanitaria unica regionale). “Solo in questi giorni ce le hanno consegnate, dieci a testa – aggiunge Valeri – Ma servono a poco visto che non ci hanno dato anche calzari, occhialini, tute o camici usa e getta. Abbiamo dovuto trovare tutto noi”. Le precauzioni vengono prese, “ma solo di nostra iniziativa”, sottolinea il medico. “Siamo rassegnati. Ho dovuto comprare degli occhialini da saldatore e quando vado a casa dei pazienti indosso i calzari di colleghi odontoiatri. Tutto fatto in casa. Altri miei colleghi medici indossano le mascherine usate nelle fabbriche per lavorare le vernici. Non abbiamo aiuto, dobbiamo arrangiarci con quello che abbiamo”.

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La procedura prevede di non recarsi direttamente al pronto soccorso o in ospedale, ma di chiamare il medico di famiglia. Ed è proprio il medico il primo a entrare in contatto con il paziente che pensa di essere affetto dal virus.  Ma ad essere a rischio non è solo il medico, ma anche il paziente stesso. “Tutti potremmo essere portatori sani e noi non vogliamo fare gli untori. Per questo, quando mi chiamano, non vado subito a fare visita di persona, aspetto qualche giorno. Provo a curare il paziente a casa. Poi, vestito come posso, non posso non andare”.

L’ospedale si cerca di evitarlo inizialmente. “Finché riusciamo con i nostri mezzi ci proviamo. In base ai sintomi diciamo di stare in quarantena, curiamo a casa, contattiamo l’ufficio di prevenzione igiene della nostra area e loro mandano qualcuno a fare il tampone. Se vediamo invece che c’è un grosso rischio di infezione, mandiamo il paziente al pronto soccorso”.

La difficoltà però non è solo nel numero dei medici attivi, ma anche nell’organizzazione. “So di colleghi che hanno telefonato per richiedere di effettuare dei tamponi, sopratutto in città, Pesaro e Fano, ma non hanno ancora ricevuto risposta e non riescono a contattare nessun altro. Consigliano di mandare un’email all’Asur, ma sono giorni che aspettano”.

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Le chiamate nel frattempo continuano e non c’è tempo per perdersi in parole. “Più andiamo avanti e più penso che ci sia una situazione di abbandono totale del territorio. Noi lavoriamo tutti i giorni, la gente è disperata. Siamo alla frutta – conclude Valeri – Al momento la situazione è tragica, ho una decina di persone con febbre e tosse a casa che tengo buone con tachipirina. Ma un’alternativa non c’è. Non riusciamo a fermare i contagi nel territorio e la gente non è tranquilla”.

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