Fgcult21 2021, “Per parlare di politica bisogna saperla spiegare come a nostra zia”

Le parole della politica. Nella foto: Paolo di Paolo, Alessandra Sardoni, Andrea Montanari, Giorgio Zanchini e Elisa Cuzzocrea
di EMILIA LEBAN

URBINO – Il giornalismo politico ha un peso enorme nel nostro paese, eppure il pubblico a cui si rivolge non è poi così ampio. Era il 1959 quando un giornalista della stampa, Enzo Forcella, scrisse un saggio più che mai attuale, in cui si diceva che un giornalista politico in Italia può contare su 1500 lettori: tutti ministri, sottosegretari, parlamentari e politici. Come fare, dunque, per rendere l’informazione politica più ampia e accessibile? Di questo si è parlato a Palazzo Ducale nel corso del panel del Festival del giornalismo culturale intitolato Le parole della politic .

La politica è come un gioco

Innanzitutto la politica non è solo di chi la fa e di chi ne scrive. Su questo è stato chiaro Paolo di Paolo, giornalista e scrittore, che ha offerto il suo punto di vista da osservatore esterno ai meccanismi del giornalismo politico. “Non parlo da esperto, ma sono sempre stato incuriosito dall’evoluzione del linguaggio politico – dice -. Quello che ho notato è la grande creatività del giornalismo politico italiano”.

E sì, perché il giornalismo deve inventarsi dei nomi per cose che non esistono: tangentopoli, renzinomics (la concezione economica di Matteo Renzi), il bersanese (il linguaggio di Bersani) sono tutti termini che derivano dal conio giornalistico e che poi sono entrate nei dizionari. Sono parole buffe, addirittura bambinesche, che però aiutano i giornalisti a sdrammatizzare. Del resto, la politica è sempre stata legata al gioco.

Il racconto politico ha perso in qualità

“Una commedia dell’arte”, Così la conduttrice televisiva Alessandra Sardoni descrive la politica. E come tale, niente può raccontarla meglio di un linguaggio ludico, spigliato e ironico. Non a caso sono proprio i programmi televisivi che utilizzano queste forme comunicative, come Propaganda o le maratone di Mentana, ad attirare più spettatori, tra cui molti giovani e giovanissimi.

Ma anche l’informazione politica “divertente” soffre di un grande problema che accomuna tutti i talk show italiani: i programmi e gli spazi per la politica sono troppi. “In Italia c’è una grande quantità di programmi televisivi dedicati alla politica e ancora oggi questa è la forma di fruizione politica dominante – racconta il giornalista Andrea Montanari -. Il problema è che, per coprire tutte le ore di palinsesto televisivo, inevitabilmente si abbassa la qualità del racconto politico”. E quando diminuisce la qualità anche le parole della politica perdono valore.

“Le parole ci danno potere, dobbiamo diventare custodi della buona informazione – dice Vera Gheno, accademica, saggista e traduttrice -. Quando il racconto politico perde di qualità, la politica stessa si distanzia dalla società. Siamo abituati a parlare della politica come se fossimo spettatori di un teatrin, ma dobbiamo ricordarci anche della politica attiva”. Non sorprende, infatti, che la politica costruita meglio sia quella locale, dove c’è un riscontro diretto con l’elettorato e si perde la dimensione della performance per concentrarsi sui contenuti.

La politica deve essere raccontata in modo semplice

Come fare, dunque, per accorciare le distanze tra il mondo della politica e i cittadini? La regola d’oro del giornalismo politico è una soltanto: raccontare bene e in modo semplice. “Io qualche anno fa ho imparato proprio qui a Urbino che per parlare la politica devo immaginarmi di spiegarla a mia zia – dice la giornalista di Repubblica Annalisa Cuzzocrea -. Ho un’ossessione per semplificare la politica”.

Non importa se i lettori sono 1500, 200 o uno. L’importante è riuscire a raggiungere ciascuno di loro. “Spesso ricevo mail di maestre, ferrovieri o tassisti che vogliono sapere cosa ne penso della dichiarazione di un politico – continua Cuzzocrea -: sono le mail che mi piacciono di più perché fanno capire che l’interesse politico è molto più vivo e reale di quanto non si possa credere”. Ma c’è anche un altro elemento da cui nessun giornalista politico si può esimere: il senso di responsabilità, perché le parole, soprattutto quelle politiche, hanno un peso non indifferente e questo “dobbiamo sempre tenerlo presente”.

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