Inviati di guerra – Nicolosi: “Difficile muoversi, le fonti sono fondamentali”

Di ALICE TOMBESI

Urbino – Il volto e la voce di Valerio Nicolosi, inviato per la rivista Micromega e con un’esclusiva televisiva per il Tg1, sono tra i più familiari dei reporter a Kiev. Si trovava  nella capitale ucraina intrappolata dalle truppe russe nei primi giorni dopo lo scoppio del conflitto. È riuscito ad evacuare dalla città e a dirigersi verso la Moldavia e da lì in Italia, insieme al gruppo con cui si era rifugiato nel palazzo dell’ambasciata italiana. Prima di Kiev, ha alle spalle anni come fotografo e giornalista tra il Medio Oriente e la rotta balcanica. Di origine romana, Nicolosi ha collaborato a lungo per Associated Press, Reuters, Ansa ma anche SkyTg24, Rai News, Mediaset. La decisione partire per l’Ucraina è stata repentina. Non conosceva la città, non aveva con sé un elmetto e un giubbotto antiproiettile. Quando è arrivato era l’alba del conflitto e ha trascorso una sola notte in albergo prima di essere diretto testimone dell’invasione lampo dell’esercito russo. Ogni giorno racconta la guerra e la resistenza ucraina con un podcast, Voci da Kiev sotto assedio. Quando il Ducato lo raggiunge al telefono, in Ucraina sono le 20 del 27 febbraio.

INVIATI DI GUERRA – Con elmetto e taccuino. “Così raccontiamo l’invasione russa”

Valerio, dove ti trovi in questo momento? 

Mi trovo in un rifugio a Kiev insieme a diverse famiglie che vivono qua. All’inizio eravamo 130 poi alcuni sono stati evacuati. Poco dopo il sindaco di Kiev ha detto che la città era circondata dalle truppe russe, rendendo impossibile l’uscita dei civili dalla città. Sono arrivato nella capitale ucraina il 23 febbraio. Pensavo di avere qualche giorno di tempo per potermi organizzare perché non conosco la città – è la prima volta che mi trovo a Kiev – e di solito passa del tempo prima di raccontare i posti in cui mi trovo o anche per procurarmi il materiale necessario come l’elmetto e il giubbotto antiproiettile. Invece mercoledì quando sono atterrato ho avuto giusto il tempo di mangiare un panino e bere una birra nell’hotel in cui mi trovavo. Giovedì hanno cominciato a sparare.

Sei da solo o insieme a te c’è un fixer ovvero un traduttore o un giornalista locale che ti aiuta

Non lavoro con fixer perché costano troppo, mi trovo bene da solo. Mi ero però già procurato dei contatti prima di venire a Kiev.

Com’è scandita la tua giornata lavorativa? 

Mi alzo alle cinque e vado a dormire alle 2 di notte. Passo tutto il tempo in giro finché si può per via del coprifuoco, dalle 17 alle 8 (ora il coprifuoco è solo serale ndr). La giornata è molto lunga e di notte bombardano. Con Micromega, la rivista di approfondimento per cui lavoro, sto facendo un podcast perché è meno faticoso rispetto a scrivere ed è più accessibile. Nel frattempo faccio anche varie dirette sempre per la mia rivista e per il Tg1.

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Non potendoti muovere dal rifugio e, in generale, spostandoti con difficoltà, come fai a verificare una notizia? 

Le fonti in questo caso sono fondamentali. Ti faccio un esempio: si pensava fosse stato colpito l’ospedale oncologico di Kiev. Prima di dare la notizia ho contattato una persona che abita lì vicino e mi ha detto che non gli sembrava ci fosse stata un’esplosione ma non era certa. Allora ho contattato un’associazione italiana che lavora con i bambini oncologici, si chiama Terra del Sole, che ha parlato con il primario il quale ha negato fosse stato colpito l’ospedale. In questi casi per verificare e poi, in caso, dare la notizia devi riorganizzarti e arrivarci per vie traverse.

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Qual è la situazione più difficile che hai vissuto finora? 

La difficoltà è muoversi: io sono abituato a lavorare molto sul campo mentre qui c’è lo stallo. La si può raccontare comunque però sarebbe meglio avere maggiore mobilità. Questo vuol dire che faccio più fatica a trovare storie ma racconto comunque quelle delle persone che mi stanno vicino.

Quando pensi di tornare? 

Non dipende da me, al momento non posso. Se ci dovesse essere un’evacuazione tornerei subito con il primo convoglio anche perché non sono attrezzato. La cosa che vorrei fosse chiara è che non siamo eroi, siamo giornalisti. L’esperienza ti porta a fare una scelta: domani finisce il coprifuoco alle 8 e mi devo chiedere: sono tranquillo a girare in centro senza il giubbotto antiproiettile o senza un fixer in una città che non ho avuto il tempo di conoscere?

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