Olga Bibus, la giornalista nata a Kherson: “I miei nonni chiusi in casa per il referendum, ma non hanno votato”

Olga Bibus risponde alle domande di Alice Tombesi al Ducato corner. Foto di Sara Spimpolo
di ALICE TOMBESI

URBINO – “L’Ucraina in cui spero di ritornare è un’Ucraina tutta unita, non spezzata” le parole di Olga Bibus riflettono ciò che i suoi occhi trasmettono. Il suo Paese è alle prese con una guerra improvvisa che, improvvisamente, si è trasformata in un conflitto lento, sanguinario e lungo. E allora non può che rimanere la speranza. Originaria di Kherson, tra le città ucraine annesse dalla Federazione russa con un referendum farsa, Bibus è una giornalista ed ex studentessa dell’Ifg. Ospite alla decima edizione del Festival del giornalismo culturale, ai microfoni del Ducato racconta la guerra vista dal suo punto di vista.

GUERRA UCRAINA – L’intervista a Olga Bibus all’inizio del conflitto

Un voto porta a porta in presenza di soldati: il referendum

I suoi nonni sono ancora là, a Kherson. La stessa città che il 27 settembre è stata annessa illegalmente alla Federazione russa di Putin. Dei quattro territori chiamati a referendum, Kherson è stato quello in cui il “sì” all’annessione ha raggiunto i risultati più bassi: 87,05% contro il 98,69% della Repubblica popolare del Donetsk, il 97,93 per cento di Lugansk e il 97,81% di Zaporizhzhia.

Durante i giorni del referendum diversi cittadini ucraini hanno denunciato tentativi di costrizione al voto da parte di soldati russi. Passavano di porta in porta – giorni prima l’agenzia di stampa russa Tass aveva avvertito che il voto si sarebbe svolto così per motivi di sicurezza – per far partecipare al referendum la popolazione del Donbass occupato dai russi.

“I video che avete visto sono veri – conferma Bibus – i miei nonni sono riusciti a non votare perché si sono chiusi in casa i tre giorni del voto e quando i soldati sono arrivati alla porta per farli votare, avendo le telecamere, li hanno visti e non hanno neanche aperto. Nel loro caso i soldati non hanno provato a sfondare la porta ma hanno solo urlato e poi sono andati via. Non c’è stata violenza fisica ma c’è stata costrizione”.

Mentre il leader del Cremlino cercava un ulteriore modo per legittimare la guerra, l’Accademia Svedese si esprimeva netta sulla pace assegnando i Nobel 2022 a tre Paesi apparentemente in guerra ma uniti da spinte sotterranee di democrazia e pace. Oltre all’organizzazione umanitaria russa Memorial e all’attivista bielorusso Ales Bialiatski, il Nobel è andato anche all’ucraino Center for Civil Liberties per il diritto a criticare il potere.

NOBEL PER LA PACE 2022 – Premiati dissidente bielorusso e due ong, una ucraina e una russa 

“Spero che questo aiuti a non spegnere i riflettori su quanto sta succedendo in Ucraina. Spero che serva a non dimenticare” continua Bibus. Dopo le prime settimane di guerra, dalla violenza improvvisa, il conflitto è diventato lento e statico. Gli attacchi sono ristretti alla zona del Donbass e i riflettori sono andati via via spegnendosi. “La guerra nei primi giorni è stata raccontata soprattutto grazie ai freelance ed è un lavoro molto difficile – conclude Bibus – conosco dei colleghi che hanno fatto dei lavori ma non sono riusciti a venderli perché i giornali non vogliono spendere per gli inviati e partire da soli è rischioso. Quindi devo ringraziare i freelance: sono partiti e hanno raccontato la guerra”.

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