Scuole ‘insolite’ tra Urbino e Albania nella mostra “Hyrja e dytë” allo spazio Rumore Isia

Inaugurazione mostra nello spazio Rumore Isia
di MARIA CONCETTA VALENTE

URBINO – Banchi di scuola arrugginiti, penne, goniometri, ‘abbecedari’ attaccati ai muri e fotografie di vecchi ricordi. È stata inaugurata ieri Hyrja e dytë, la mostra a cura di Gloria Shtini, installata nello spazio Rumore Isia fino all’8 marzo. L’argomento è un parallelo tra la scuola demolita in via Oddi, a Urbino e le scuole ospitate in ambienti domestici in Albania, suo paese di origine, negli anni ’90.

Gloria Shtini presenta la mostra

“Voglio mantenere vivo il ricordo d’infanzia quando andavo nella seconda casa di mio nonno – da qui il titolo Hyrja e dytë che significa ‘secondo ingresso’ – in Albania, in cui si trovava allestita una classe scolastica, di cui oggi restano solo delle fotografie”, racconta Shtini. Con la caduta del comunismo il sistema scolastico era al collasso e nella città albanese di Kavajë docenti e professori “costruivano classi nelle loro abitazioni, dove potevano continuare a insegnare”. Il parallelo con la scuola urbinate viene dalla “massa di oggetti che dopo la demolizione della scuola, nel luglio scorso, sono stati distribuiti nelle case, nei terrazzi e nei giardini della città, ‘trasportandola’ ovunque”.

Gli ‘abbecedari’ della classe domestica del nonno di Shtini

“Questo è un lavoro sulla memoria, che può essere quantificabile e misurabile”, spiega Shtini. Per farlo l’artista ha preso come misure di riferimento il suo peso e la sua altezza. Così lungo i muri bianchi dello spazio allestito, è tracciata una linea rossa a 165 centimetri dal pavimento: “È l’altezza del mio sguardo sul territorio, che parte da un archivio personale”. E poi c’è il peso, rappresentato dall’installazione di un “tradizionale tappeto albanese”, realizzato con 57 chili di lamine, pietre grandi e piccole, tubi e altre macerie.

Il “tradizionale tappeto albanese”

Questi due luoghi, la scuola in via Oddi e quella del nonno di Shtini in Albania, diventano così “due poli di tensione”: al centro, il tappeto, “il momento della dissoluzione” per l’artista, in cui la scuola diventa un non luogo, astrazione pura. “Se la scuola è stata distrutta, si può ricostruire. Dalla scomparsa del luogo ne compare un altro”, conclude Shtini.

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