Elena Milashina, Novaya Gazeta: “Non ci siamo salvati, Putin ha consenso perché non c’è libertà d’espressione”

A sinistra la giornalista Elena Milashina (foto di Cpj), a destra l'annuncio di sospensione dell'attività sul sito di Novaya Gazeta
di ALICE TOMBESI

URBINO – È crollato anche l’ultimo baluardo dell’informazione indipendente in Russia. Novaya Gazeta, il giornale fondato dal premio Nobel per la pace Michail Gorbacev, ha sospeso la sua attività. Dopo i due precedenti ammonimenti lanciati dall’agenzia statale russa, un terzo avrebbe comportato la revoca definitiva della licenza. “Non avevamo altra scelta” dice Elena Milashina, giornalista di Novaya Gazeta, raggiunta telefonicamente dal Ducato. È un’altra dimensione della guerra di Putin che si combatte sul web e sulla carta e che censura qualsiasi media che, su suolo russo, definisce l’invasione ucraina come tale e non come ‘operazione speciale militare’, è anche su questo che, secondo la giornalista, Putin costruisce il suo consenso. Milashina Non dice dove si trova ma è dovuta scappare dalla Russia ancor prima dell’inizio della guerra: “Il governatore della Cecenia, Ramzan Kadyrov, mi ha minacciata e crede che io sia una terrorista”. Novaya Gazeta è il giornale di Anna Politkovskaja, spina nel fianco di Putin durante il secondo conflitto ceceno, e di tutti quei giornalisti uccisi mentre scavavano per trovare la verità; ma è anche dell’ultimo premio Nobel per la pace, Dmitry Muratov, che quel giornale lo dirige e che recentemente ha deciso di mettere all’asta la medaglia ricevuta lo scorso anno dall’Accademia svedese per donare il ricavato ai profughi ucraini. Nel frattempo, cala in silenzio anche nella redazione di Novaya Gazeta.

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Lunedì pomeriggio avete deciso di sospendere l’attività di Novaya Gazeta. Ci puoi spiegare in sintesi cos’è cambiato dall’inizio della guerra?

Abbiamo ricevuto il secondo ammonimento che la nostra licenza poteva essere revocata. La censura di guerra è applicata in Russia illegalmente perché la Costituzione russa la vieta e perché non abbiamo ufficialmente una situazione di guerra nel nostro paese, e nemmeno con l’Ucraina, eppure è largamente praticata. Questo vuol dire che sospendere l’attività è stata una decisione forzata, non è dipeso da noi.

Quanto è stato difficile prende una decisione così considerando che eravate uno degli ultimi baluardi dell’informazione indipendente in Russia?

Non avevamo altra scelta, abbiamo provato a salvare la nostra licenza, se l’avessimo persa non l’avremmo più riavuta indietro.

Pensando a ciò che è accaduto in passato, per esempio ad Anna Politkovskaja, i vostri giornalisti hanno subito intimidazioni, qualche episodio che vi ha fatto temere per la vostra incolumità o libertà fisica oltre che per il vostro lavoro?

Vedi, tutto quello che è successo ai miei colleghi, al mio giornale e alla libertà d’espressione in Russia prima del 24 febbraio è tutta un’altra storia. Il 24 febbraio abbiamo cominciato una guerra in Ucraina e quello che sta accadendo ora dimostra che non c’è assolutamente spazio per libertà d’espressione in Russia. Potevamo esistere prima, anche perdendo i nostri colleghi uccisi dalla guerra ma continuando a lavorare, ora non possiamo più.

Come avete coperto le notizie in questi mesi di restrizioni sulla stampa russa?

È passata la legge che ci vietava di utilizzare la parola ‘guerra’ negli articoli quindi abbiamo dovuto tagliare fuori questo termine dai nostri articoli oltre a tutte le critiche sulle condizioni dell’esercito russo e il numero di soldati morti e feriti o quello che stava accadendo in Ucraina. Non abbiamo potuto pubblicare molte notizie sull’Ucraina ma abbiamo comunque coperto in conflitto parlando delle conseguenze di questa guerra sull’economia russa e sui cittadini russi e ucraini. Abbiamo provato a raccontare il più possibile ma alla fine non ci siamo salvati. Adesso stiamo ricontrollando se c’è effettivamente qualche articolo in cui abbiamo infranto la legge ma ne dubitiamo: pensiamo che sia solo una scusa per portarci via la licenza.

Adesso cosa farete?

Domani abbiamo una riunione su Zoom e decideremo come proseguire. Molte persone si trovano fuori dalla Russia perché non sono al sicuro e io stessa sono venuta via prima ancor prima dell’inizio della guerra perché ho ricevuto una minaccia dal governatore della Cecenia, Ramzan Kadyrov. Lunedì ho ricevuto la risposta dalla commissione d’inchiesta: mi ha detto che non è disposta perseguire e condannare Kadyrov – che mi ha definita una terrorista – rispetto alle sue minacce nei miei confronti perché non le vede come un crimine. La situazione per i giornalisti che dicono la verità è ancora peggio rispetto a prima che la guerra cominciasse.

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Quanto è aumentato o diminuito l’appoggio a Putin da parte del popolo russo?

La percentuale ufficiale di gradimento è alta. Forse molte persone supportano le azioni di guerra di Putin ma crederei parzialmente a quella percentuale. Quando c’è stata la guerra nel 2014 in Crimea, il supporto dei russi era maggiore. Ora vedo qualcosa di diverso, anche se pensano che la guerra in Ucraina sia giusta, non vedo lo stesso entusiasmo. Gli uomini russi non vogliono andare a combattere, portare la ‘primavera russa’  in Ucraina, come la chiamano loro, e portare via il Donbass. Molte persone, non importa che supportino o meno la guerra, non capiscono il motivo di bombardare Kharkiv, Kiev, Odessa che sono città all’origine della nostra storia. Bombardare Kharkiv che è una città russa nella cultura o Kiev che è la madre della nostra storia è inconcepibile.

Secondo te il popolo russo è cosciente di quello che sta accadendo in Ucraina?

Un altro fattore è il numero dei soldati dell’esercito russo che sono caduti: non abbiamo mai avuto quei numeri, né in Cecenia né in Afghanistan né dalla Seconda guerra mondiale. Penso che il popolo russo – non tutto – stia acquisendo questa consapevolezza e probabilmente cambierà idea ma il supporto generale rimane alto perché non c’è libertà d’espressione in Russia. Questo è il risultato dell’uccisione di media liberi.

Pensi che quello che stanno facendo i paesi occidentali sia giusto o dovrebbero fare di più?

È molto importante che almeno questa volta gli Stati Uniti, l’Unione europea e la Nato abbiamo considerato la Russia un paese aggressore. L’unica cosa di cui mi dispiace è che non sono stati in grado di farlo nel 2014, nel Donbass, o nel 2008 quando c’è stata la guerra in Georgia. Il segno più evidente di una Russia imperialista è stato in Georgia: se avessero risposto allora forse oggi non ci sarebbe questa catastrofe. Ma è inutile dire cosa sarebbe successo se qualcuno avesse agito diversamente. Oggi sono soddisfatta perché avere una reazione è l’unico modo per fermare la Russia dal fare altro e la Russia è in grado di fare anche peggio.

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