Incontro sulla Sanità: “Troppe strutture, pochi medici. Urbino diventi “ospedale vero”

di BEATRICE GRECO

URBINO – Ci sono troppi ospedali, detta così, sembra quasi un sacrilegio. Il problema è che, come in tutta Italia, ci sono pochi medici. È ciò che affermano alcuni ospiti dell’incontro “Sanità. Riflessioni e proposte per Urbino e il territorio”, organizzato al Collegio Raffaello da Articolo Uno e Sinistra per Urbino, che hanno chiamato a parlare medici e ed ex dirigenti che conoscono le dinamiche in corsia e nell’amministrazione della sanità. La sala, nonostante il grande caldo, è quasi piena. Nel pubblico una folta presenza di chi, per ragioni d’età, sente maggiormente la mancanza di una sanità efficiente.

“Qui la situazione è critica. Si aspetta due anni, anche due anni e mezzo, per un esame strumentale” è l’allarme di Antonio Fabi di Sinistra per Urbino. “Però chi può pagare la prestazione – continua – riesce a ottenerla in dieci giorni e anche meno”. “Siamo delle isole nell’entroterra” afferma amareggiata Ninel Donini di Articolo Uno, analizzando il funzionamento e la situazione dell’ospedale di Urbino e del suo territorio: “Temo che il nostro ospedale non abbia futuro se non viene potenziato”. Un incontro per parlare delle storture della sanità, urbinate ma non solo, per individuarne le motivazioni e per cercare delle possibili soluzioni.

Poco personale medico: il problema cardine

I problemi del territorio nascono da lontano, dalla crisi del servizio sanitario nazionale. “Pochi finanziamenti pubblici e pochi medici: queste sono le due motivazioni principali” afferma Claudio Maffei, ex direttore sanitario dell’Inrca (Istituto nazionale di riposo e cura per gli anziani) ora in pensione. Una questione tutta italiana che si ripercuote inevitabilmente anche sulla sanità marchigiana e urbinate. Secondo Simona Ricci, Articolo Uno Pesaro Urbino, il problema della risorse finanziarie è ora meno stringente grazie ai fondi del Pnrr, ma “ciò che manca nel territorio è soprattutto il personale”. “I tagli del 2009-2010, quando al governo c’era la destra – osserva – sono ancora vigenti. La Regione Marche non può assumere perché deve rispettare il tetto massimo di spesa per il personale che è pari a quello del 2004 diminuito del 1,4%”. Poi pone l’accento sulla maglia nera della sanità marchigiana: “Per il personale non dirigente, come infermieri e operatorio socio-sanitari, i tagli nella nostra regione sono doppi rispetto alla media nazionale, mentre per i medici la riduzione è del 2,6%, in linea con il Paese”.

Un momento dell’incontro sul futuro della sanità per Urbino e il territorio

“Il problema della carenza dei medici c’è già dal 2015” sottolinea Piero Benedetti, ex direttore del reparto di medicina e lungodegenza dell’ospedale di Cagli e ora presidente dell’associazione di volontariato “Il Vascello”, che si occupa anche di assistenza medica. Ora che è in pensione, racconta la sua esperienza durante gli anni di lavoro: “Eravamo solo in quattro in reparto e per coprire il pronto intervento dovevamo fare turni da 24 ore più volte a settimana. C’era poi anche la parte ambulatoriale, ma, essendo pochi, le liste d’attesa erano molto lunghe”. Così spesso Benedetti racconta che si ritrovava a fare visite anche in orari non prestabiliti per rispondere alle esigenze dei pazienti.

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Una carenza dovuta anche al numero chiuso della facoltà di medicina e alla forte concorrenza del privato, secondo Carlo Zaccari, medico dell’Ospedale di Urbino in pensione. Nel suo intervento un focus sulle tappe che hanno portato alla situazione attuale: dalla razionalizzazione degli anni ’80 fino alle ‘privatizzazioni’ degli ultimi anni, che hanno visto coinvolto anche Urbino con l’appalto a privati per il pronto soccorso e il reparto di pediatria o come nel caso dell’ospedale di Sassocorvaro.. “Un medico della cooperativa chiamato in pronto soccorso prende anche 1.000 euro al giorno – dice al Ducato – un medico dipendente ne prende 400. In quest’ottica mi sembra normale che molti professionisti scappino dal pubblico”.

Troppi ospedali per pochi medici

“Il primo problema delle Marche è l’alto numero di ospedali” afferma Maffei. Quella che dai toni sembra quasi un’eresia, viene poi spiegata. Il personale è ridotto e la rete ospedaliera finisce per richiedere risorse che non sono disponibili. “In regione – spiega Maffei – gli ospedali di primo livello, con rianimazione e medicina d’urgenza, dovrebbero essere al massimo dieci, invece sono 14. Avere troppi ospedali significa avere troppe sedi in cui si fanno molte urgenze e poca attività programmata. Cosa che, invece, è molto importante per il medico perché è ciò che lo caratterizza professionalmente”.

La soluzione? Pochi ospedali grandi e più medicina sul territorio

Servirebbe una sanità più distribuita e organizzata in maniera differente. Questo il parere di tutti gli ospiti dell’incontro. “Usiamo gli ospedali per cose che non dovrebbero stare in ospedale” sottolinea Roberto Rossini, segretario generale Cgil Pesaro Urbino.

Una semplificazione della rete ospedaliera con una struttura unica tra Pesaro e Fano, questa la ricetta di Maffei: “Questa nuova struttura sarebbe più robusta perché non ci sarebbe più bisogno di distribuire le attività su due sedi. In questo modo si libererebbero risorse per Urbino, che invece ha senso di esistere perché copre il bacino d’utenza dell’area interna”. Nelle sue parole anche un modo per rendere il Santa Maria della Misericordia più appetibile per il personale medico: “Deve funzionare come un ospedale vero. Deve avere medicina d’urgenza e deve garantire tecnologie e risorse”.

Una proposta condivisa e ampliata da Benedetti: “Le emergenze devono essere gestite da pochi ospedali attrezzati con tutte le specializzazioni, mentre la diagnostica e la cura dei pazienti cronici deve essere periferizzata”. Secondo l’ex direttore, si devono prevedere strutture su tutto il territorio con meno tecnologia e meno presenza medica, ma con una componente riabilitativa e un’assistenza infermieristica maggiore.

Medici di base e età pensionabile: gli ingranaggi da rivedere

Altre soluzioni potrebbe essere quella di incentivare la permanenza al lavoro anche dopo la soglia dell’età pensionabile, secondo Zaccari. “Molti medici delle strutture pubbliche vanno in pensione perché obbligati – spiega – ma poi continuano a prestare servizio nel privato. Se invece fosse possibile lavorare qualche anno in più rispetto a quello ora previsto, penso che la situazione sarebbe meno critica”. Un rapporto più stretto tra medici di base e specialisti ospedalieri è, invece, quello che vorrebbe Benedetti: “I medici di medicina generale dovrebbero essere preparati meglio e in maniera differente. E poi una collaborazione più intrecciata con l’ospedale permetterebbe una migliore gestione dei ricoveri”.

Non da ultimo, per un migliore funzionamento del sistema, bisogna “imporre che si sappia come vanno le cose” dicono Maffei e Rossini, “perché sono due anni che chiediamo i dati a Regione e due anni che non ci arrivano”.

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