Annalisa Monfreda, mamma e direttrice di Donna Moderna: “All’inizio mi sentivo sempre nel posto sbagliato”

di GIULIA CIANCAGLINI

URBINO – Al Jazz Club di Urbino, in un ambiente soffuso e tra le note della Rhapsody in Blues, la direttrice di Donna Moderna, Annalisa Monfreda, ha presentato il libro Come se tu non fossi femmina (Mondadori, 2018). Un’occasione per regalare ai lettori alcuni suggerimenti per crescere ragazze coraggiose ma gentili.

Nella storia tutta al femminile c’è anche un uomo, del quale non si conosce il nome, sempre menzionato con un generico Lui. “È il mio lui della vita vera” ha detto l’autrice. La protagonista sarebbe dovuta partire con Lui che, troppo impegnato con il lavoro, rinuncia al viaggio.  Così lei prepara i bagagli, prende la macchina e parte con le sue due bambine.

La scrittrice ha raccontato alla platea – composta quasi unicamente da donne – come vive il suo essere mamma e direttrice di un giornale: “Ho preso la direzione proprio quando sono nate le mie figlie. All’inizio mi sentivo sempre nel posto sbagliato, sia a casa che in redazione. Poi mi sono riorganizzata”. Ora anche le sue bambine vivono l’assenza della mamma come qualcosa di bello. “Sentono che il mio lavoro è una cosa importante. – ha detto – hanno il loro momento di responsabilità e imparano a contare su loro stesse”. Le figlie, di sette e dieci anni, non le chiedono più “Mamma ma tu non sei il capo?” come se il direttore potesse permettersi tutto, anche non lavorare.

Nel romanzo consiglia alle bambine di fare ogni cosa “come se non fossero femmine”, richiamando la celebre citazione di Virginia Woolf: “Scriveva come una donna, ma come una donna che si è dimenticata di essere donna”.

E in redazione anche lei si comporta così: “Non penso di dover seguire degli stereotipi di comportamento e di immagine femminile. – ha raccontato – E allo stesso tempo non mi sento ingabbiata nei contro-stereotipi: non cerco neanche di farmi valere utilizzando metodi che fanno riferimento a un archetipo maschile”. Nel suo essere capo riconosce, nell’empatia e nella gentilezza, la sua femminilità. È convinta che le donne possano cambiare il potere, proprio perché il potere non è mai appartenuto loro. “Mi sento profondamente libera di essere me stessa come se non avessi un genere di appartenenza”, racconta l’autrice, e così vorrebbe che si sentissero anche le sue figlie.

Lella Mazzoli, direttrice dell’Istituto di Formazione al Giornalismo di Urbino e moderatrice dell’evento, le ha chiesto perché è difficile per una donna essere una giornalista. Monfreda ha risposto ricordando come neanche per un istante, nella sua carriera da giornalista, abbia creduto che qualcosa, in quanto donna, le fosse precluso. “Non ho mai pensato che non sarei riuscita ad arrivare a una fonte, o a lavorare a un’inchiesta, perché ero donna. Forse però è successo.”

Non avere il pregiudizio le ha permesso di non porre ulteriori ostacoli e di non vedere quelli che la realtà le metteva davanti. “È stato un approccio vincente”. A dirlo, oltre a lei, anche i fatti: è direttrice del giornale settimanale da dieci anni. In Italia, solo il 20% delle testate giornalistiche ha una direzione femminile e i caporedattori uomini sono il triplo delle donne ma su dieci giornalisti iscritti all’Ordine quattro sono donne. “Il giornalismo ha un ritmo di lavoro che in altri tempi non poteva adattarsi alle donne. Ma le cose stanno cambiando” ha detto al Ducato. Secondo lei, soprattutto quando si parla di economia o di politica, si fa ancora molta fatica ad ascoltare la voce femminile.

Le violenze di genere stanno a cuore al giornale ma, sottolinea la giornalista, “vedo pochissimo movimento in Italia anche dopo lo scandalo #MeToo. Una mia collega mi ha raccontato di aver subito molestie sul lavoro per dieci anni e, anche se per molto tempo non lo ha fatto, oggi ha denunciato. E questo è già un segnale”.

Il giornale ultimamente si è aperto al mondo digitale e ha 142 mila follower su Instagram. La direttrice si definisce una “tecno-ottimista” e ha stretto un patto con le figlie: avranno lo smartphone a 14 anni. Ritiene infatti che sia importante usare i social network quando si è strutturati, non prima di aver maturato un’adeguata percezione di sé. “Sui social succede di tutto: il peggio ma anche il meglio”.

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