Elezioni, Donato Demeli: l’imbianchino che legge Marx e scioperava già alle medie

di CLARISSA CANCELLI, GIACOMO PULETTI, FEDERICO SOZIO e CHIARA UGOLINI

URBINO – Di professione “pittore edile”, o più semplicemente imbianchino, come ama definirsi lui, Donato Demeli, 62 anni, è uno dei cinque candidati sindaco di Urbino.

Non ha mai abbandonato la terra in cui è nato e, dicono i suoi compagni di partito, ha sempre lottato contro le ingiustizie in favore dei più deboli. Fin dal primo sciopero, nel 1969 alla scuola media, per il quale non è stato punito dai genitori, mai venuti a conoscenza del fatto: la mancanza del telefono a casa Demeli infatti impedì a professori e preside di informarli della sua insubordinazione. Ma lui non partecipava solo alle manifestazioni studentesche, le organizzava.

Tra le diverse proteste il candidato ricorda sorridendo che una volta alle superiori, Itis Mattei di Urbino, difese un ragazzo dal dirigente scolastico che lo stava sbeffeggiando. O quando partecipò a una manifestazione a Napoli: in quell’occasione fu schedato e il maresciallo dei carabinieri di Urbino del tempo mostrò la sua foto segnaletica al padre. L’incazzatura da studente, poi, si trasformò in un vero e proprio impegno politico sul territorio all’interno del Partito Comunista Italiano, che nemmeno l’anno di servizio militare, svolto a Roma in fanteria, riuscì a placare.

Gli amici lo descrivono come una persona che sa premiarsi dopo la fatica, anche in casa. “Dopo aver rimesso la legna per l’inverno – dice un vicino che lo conosce da 30 anni – festeggia sempre con prosecco e salsicce”. Sposato da 37 anni con Luigia, ha due figli: Federico e Alessio, di 37 e 27 anni, che non sempre la pensano come lui, tanto che a tavola non mancano mai le discussioni sulla politica. “Più o meno abbiamo le stesse idee, ma con sfumature differenti”, dice il più grande, che da vent’anni condivide con il padre anche l’impresa di pittura.

Demeli al lavoro con il figlio più grande Federico

Abbandonato dopo tre anni il lavoro di perito metalmeccanico, nel 1982 Demeli decide di aprire un bar-pizzeria a Gadana, in cui può esprimere con i clienti la sua passione da “vagamente” milanista. Unico ambito in cui accetta un altro colore, il nero, vicino al rosso, della bandiera comunista.

Se da giovane rischiava la vita scalando con gli amici il Gran Sasso, con il passare degli anni alla neve ha sostituito l’erba dei sentieri urbinati. Le scampagnate in montagna il suo unico hobby. Ma la politica la sua vera fede. Il leitmotiv di tutta la sua vita: ancora oggi partecipava almeno una volta all’anno ai ritrovi dei compagni di partito in giro per l’Italia.

Nel 1990 accade la sua personale “svolta della Bolognina”: chiude il bar e si dedica all’attività attuale. Nello stesso tempo rifiuta di iscriversi al neonato Pds e aderisce a Rifondazione comunista. Tessera che non ha mai rinnegato e che tutt’ora porta in tasca. Dal 1995 mette in pratica la sua indole politica e svolge per quattro anni il ruolo di consigliere comunale, poi per altri dieci quello di assessore alle attività produttive.

La tessera di Rifondazione Comunista che Demeli porta sempre con sé

Antonio Santini, amico di vecchia data e collega di tante controversie politiche lo descrive come molto attento alle esigenze ambientali e artistiche del territorio. “Nel 2006 – ricorda con orgoglio – quando eravamo entrambi assessori, ci opponemmo con fermezza alla costruzione del centro commerciale Santa Lucia che, essendo a ridosso delle mura cittadine, avrebbe deturpato la bellezza artistica e storica di Urbino”. Secondo i colleghi dell’epoca, più della metà dell’opinione pubblica era dalla loro parte, ma quella fu una delle tante battaglie “giuste” dalla quale uscirono sconfitti.

Le voci della piazza, ovvero quelle di alcuni signori che sono soliti ritrovarsi alla fontana di fronte all’edicola, dicono che Demeli è “una brava persona”. “Aveva fiducia nei suoi colleghi – dice uno di questi, Luciano Felice, che lo ha conosciuto quando era assessore e lui lavorava nella Polizia municipale – ma era molto impegnato nel suo mestiere che non ha mai abbandonato”.

Altri, però, pensano che l’attaccamento a certi ideali antichi possa portare più simpatie che voti. “Demeli è un uomo semplice e umile – spiega Gian Franco Fedrigucci, consigliere comunale nel gruppo misto ora candidato con Gambini – ma il problema è che partendo da uno schieramento di questo tipo, dove anche io militavo, è più facile separare che unire”.

“Mio nonno era comunista e mio padre socialista, in casa ho sempre respirato la politica”, dice il candidato. Il rosso del sangue nelle sue vene non è mai sbiadito, infatti il suo rimpianto più grande è quello di non essere riuscito, qualche anno fa, a ospitare i figli di Che Guevara a Urbino. Chissà se ora, dopo dieci anni al di fuori della scena politica, il compagno Demeli riuscirà ad accoglierli da primo cittadino della città Ducale.

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