Serie A e B, per i giovani un sogno sempre più lontano: in 10 anni crollati gli esordi

Giovani della Vis Pesaro in azione contro il Milan (credit: Filippo Baioni)
di NICHOLAS MASETTI e NICCOLÒ SEVERINI

Ripartire dai giovani. È l’imperativo che il mondo del calcio italiano si è dato dopo le cocenti delusioni dei mondiali 2010 e 2014 e il fallimento totale della campagna di Russia del 2018, mai iniziata. Dopo il trionfo di Germania 2006 l’Italia si è seduta e accontentata dei ricordi. Ma quel ricordo così dolce è diventato ingombrante: ha fatto fermare il nostro tempo, che nel resto del mondo è andato avanti molto più veloce.

Indice:
Una Nazionale “anziana”
Esterofilia e poco coraggio
Il campionato degli italiani
Lombardia, un dominio apparente
Quanto contano le neopromosse negli esordi in A e B
La situazione nelle Marche
‘Cantera’ e ‘Academy’: parole chiave all’estero

Una Nazionale “anziana’

Analizzando i dati di Transfermarkt, portale che raccoglie le statistiche di giocatori, campionati e nazionali in giro per il mondo, si nota come questo imperativo non solo non sia stato raccolto, ma la situazione sia anche peggiorata. Tra gli ultimi dieci anni, infatti, la stagione 2018/19 ha registrato – sia in Serie A che in Serie B – il numero più basso di “esordi diretti”, ovvero senza passare da altre categorie che non siano le prime due divisioni, con soli 94 esordi, rispettivamente 20 e 74. Un dato in picchiata considerando i 170 nel 2009/10, prima stagione presa in considerazione, e il picco di 173 nel 2013/14.

Il numero più alto di esordi si riscontra negli anni dispari, ovvero quelli che a fine stagione hanno in calendario l’europeo Under 21. Sintomo che le squadre, su pressioni della Federazione italiana giuoco calcio (Figc), provano a dare spazio ai ragazzi e metterli in vetrina. Completando il biennio con la stagione successiva i dati subiscono sempre un calo, prova che l’esca lanciata dalle competizione giovanili non viene raccolta. Inoltre, si contano sulle dita di una mano quei ragazzi che continuano a giocare con regolarità e ricevono fiducia nel corso della stagione d’esordio o quella immediatamente successiva.

Il mondiale saltato ha “bruciato” una generazione, che però non si è mai ben definita. Guardando la rosa dei convocati per la notte di Italia-Svezia, la partita che è costata l’addio a Russia 2018, si vede che la nostra nazionale aveva un’età media di 27,69 anni, contro i 26 della Francia quando ha sollevato la coppa del mondo a Mosca nel luglio del 2018, i 25,74 della Germania vincente in Brasile nel 2014 e i 24,52 della Spagna trionfatrice a Sudafrica 2010, giusto per considerare le ultime tre nazionali campioni del mondo. Sintomo di una nazionale più vecchia rispetto alle principali contendenti.

Nei cinque campionati maggiori europei (Francia, Germania, Inghilterra, Italia e Spagna), definiti “top five” per le prime posizioni nel ranking Uefa, il nostro si piazza a metà. Infatti Francia e Spagna, nello stesso periodo, hanno fatto esordire più giocatori (1693 e 1622), meno la Germania, che però in media con le squadre che partecipano ai campionati ci batte. 

La Lombardia è la regione che ha fatto registrare più esordi (187), seguita dal Lazio (139) e dalla Campania (134). I paesi esteri che ci hanno portato calciatori sono 63. I più rappresentati sono il Brasile e la Francia con 35, seguite dal Ghana con 27 e il Senegal a 26.

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Nei dieci anni presi in considerazione, hanno esordito direttamente in Serie A 295 calciatori, il 19,95% percento del totale, tra A e B: 189 italiani (64,07% del totale) e 106 stranieri (35,93%). Il Ghana è il paese più rappresentato (12), seguito da Francia e Senegal (10) e Brasile (8).
Se ci concentriamo sul dato nazionale, è possibile suddividere il Paese in tre macroaree: 72 giocatori provengono dal Nord, 65 dal Centro e 52 dal Sud.

Gli esordi hanno seguito una parabola discendente: nella prima stagione in analisi, la 2009/10 in Serie A hanno esordito 37 giocatori, il dato più alto dell’intero decennio: da Lorenzo Insigne, che giocò per la prima volta nel Napoli a 18 anni, a Julio Sergio Bertagnoli che a 30 anni divenne il portiere titolare della Roma. Dato che poi è proseguito in calando fino ai soli 20 debutti della stagione 2018-2019. I numeri della stagione 2016/17 registrato una lieve crescita, con 35 esordi, ma poi di nuovo calati nell’anno successivo con 24 nuovi volti nel campionato. Il giornalista di Sky Sport Daniele Barone ha spiegato così questi dati: “Il calcio italiano ha fretta di avere interpreti pronti, o che si presume lo siano. Le società preferiscono andare a pescare ragazzi in Sud America o in giro per l’Europa piuttosto che puntare sui propri giovani. Spesso i risultati ci dicono il contrario, però”.

Così come per il complessivo, anche in Serie A, la Lombardia è quella che regala più esordi con 32 (il dato più alto è 5 nella stagione 16/17), seguita dal Lazio con 25 (4 nel 2009/10, 2010/11 e 2012/13) poi l’Emilia Romagna con 20 (7 nel 2014/15, che è anche il valore singolo più alto nel decennio per una regione in Serie A). Le meno rappresentate, complice anche la popolazione totale delle regioni, sono anche qui Basilicata e Molise che non hanno avuto l’onore di far esordire alcun ragazzo, precedute solo dall’Umbria con uno (Matteo Lignani con il Livorno nel 2009/10) e il Trentino-Alto Adige con 2 (entrambi nella stagione 2016/17: Andrea Pinamonti con l’Inter e Fabio Depaoli con il Chievo Verona).

Esterofilia e poco coraggio

Molto spesso le squadre di Serie A preferiscono l’estero o l’usato sicuro. Questa è l’idea che si è fatto Barone commentando i dati: “Nel nostro campionato si tende ad andare su giocatori già formati, spesso andando ad attingere dall’estero, facendo sempre meno ricorso ai nostri vivai. Perciò potrei riassumere il trend in due concetti: esterofilia e poco coraggio”. Quindi poca fiducia nei giovani, se non nella parte finale di stagione, quando la classifica è definita e gli obiettivi raggiunti (o sfumati). “Il nostro calcio ha fretta. Fretta di avere subito giocatori pronti e fretta di vincere, perché poi sennò i presidenti non sono soddisfatti e le tifoserie rumoreggiano – continua Barone – perciò gli allenatori sono disincentivati a buttare nella mischia un ragazzo”.

Il problema è anche di natura economico, sottolinea il giornalista di Sky Sport, perché crescere un ragazzo all’interno del proprio settore giovanile costa molto più che intervenire sul mercato: “È un peccato. Il nostro è un movimento economicamente sano, ma i soldi vengono investiti in questa maniera, piuttosto che puntare sulle strutture, ad esempio, è questa la differenza principale con gli altri Paesi al momento”. Come detto, sono pochi i giovani a cui viene data fiducia e non fanno solo delle fugaci apparizioni.

Tra i giovani che dopo il debutto sono rimasti in campo in modo più o meno stabile, i casi più significativi sono Gianluigi Donnarummaportiere del Milan che ha esordito a 16 anni e 8 mesi – e Federico Chiesa – attaccante della Fiorentina in campo a 18 anni e 10 mesi. “Sono due fuori dalla norma. Hanno avuto un percorso di crescita rapido e netto. Non tutti sono già giocatori così speciali all’esordio e hanno bisogno di più tempo, tempo che non viene loro concesso”, sottolinea Barone che aggiunge: “Bravi i mister a credere in loro e lanciarli: Sinisa Mihajlovic ha creduto in Donnarumma e Paulo Sousa in Chiesa”.

Gianluigi Donnarumma all’esordio con il Milan contro il Sassuolo nell’ottobre 2015, aveva 16 anni (Credit: Piermauro De Rienzo)

Nulla a che vedere con il record di precocità stabilito da Amedeo Amadei che esordì a 15 anni e 10 mesi, con la Roma il 2 maggio del 1937. Primato eguagliato da Pietro Pellegri, attaccante che ha vestito la maglia del Genoa per la prima volta nella stagione 2016-17, a dicembre. In tutto Pellegri ha segnato tre gol in Serie A (uno alla Roma più la doppietta alla Lazio), prima di essere ceduto per 31 milioni di euro al Monaco, dove in due anni e mezzo ha giocato però solo sei partite. Una storia che dà un po’ la cifra di come sia il mercato italiano dei ragazzi: meglio generare una plusvalenza che investirci in campo.

Il campionato degli italiani

Nello stesso periodo di riferimento, in 1184 (l’80,05% del totale) hanno esordito in Serie B: 946 italiani (il 79,9%) e 238 stranieri (20,1%). I Paesi esteri che hanno portato nel nostro secondo campionato più giocatori sono il Brasile (27), la Francia (25) e il Senegal (16). Barone rimanda allo slogan del campionato: “Non è un caso che sia definito il campionato degli italiani. è una prerogativa far esordire ragazzi di 19, 20 o 21 anni. In B c’è più margine per rischiare e sperimentare. è anche merito degli allenatori che sono più giovani e puntano sui ragazzi”.

Anche la B, come singolo campionato, vede regnare la Lombardia con 155 debuttanti (valore più alto 20, nel 2013/14), seguita dalla Campania con 115 (18 nel 2009/10), tallonata dal Lazio a 114 (18 nel 2016/17). Trend confermato anche tra le peggiori che vedono Molise e Basilicata ferme all’1 del 2010/11: Marco Perrotta con il Pescara per il Molise e Gianluca Sansone per la Basilicata con il Frosinone, calciatore che poi ha assaggiato anche la Serie A con Torino, Sampdoria e Bologna. Sopra di loro il Trentino-Alto Adige con 7 giocatori in dieci anni (con 3 esordienti nel 2016/17).

Rispetto alla categoria superiore, questo campionato è più incline a contare esordi. Sono due le ragioni principali. La prima economica, perché le squadre che vi partecipano non hanno un budget tale da poter fare follie in sede di mercato così o valorizzano i propri giovani o cercano di crescere quelli arrivati in prestito dalle grandi squadre di Serie A: “Le big del nostro campionato spesso mandano giovani in prestito a farsi le ossa, prima di richiamarli. L’esempio è Gaetano Castrovilli della Fiorentina, che si è messo in luce che dopo due ottime stagione alla Cremonese è diventato titolare nella Viola”, continua Barone. In secondo luogo, molte delle squadre che si arrampicano dalla Serie C mantengono lo zoccolo duro della promozione, perciò si registrano tanti debutti in quelle squadre, non solo di giovani ma anche di giocatori più esperti che si affacciano per la prima volta su un palcoscenico più prestigioso.

Lombardia, un dominio apparente

La Lombardia davanti, dietro tutti quanti. Che si parli di esordi in Serie A e B, di società iscritte o di giocatori tesserati, non fa differenza. Prendendo i dati disponibili dall’ultimo report Figc, la regione più popolosa d’Italia conta nella stagione 2017/2018: 11 giocatori esordienti nel calcio professionistico tra A e B (il dato più basso in 10 stagioni, al top nel 2013/2014 con 23), 1507 società iscritte e oltre 182 mila giocatori tesserati, ben 80 mila in più dell’unica regione che supera i 100 mila, il Veneto. Tutto normale se pensiamo al grande bacino di giovani regionale. Ma a livello percentuale nel rapporto tra giocatori esordienti e tesserati la storia cambia. Andiamo in ordine cronologico e vediamo il perché.

Daniel Maldini all’esordio contro il Verona. È il terzo della dinastia dopo Cesare e Paolo a giocare con il Milan (Credit: Piermauro De Rienzo)

Quanto contano le neopromosse negli esordi in Serie A o B

Nella stagione 2009/2010 la percentuale più alta (0,0082) in Serie A spetta alla Sardegna, con tre giocatori esordienti su 36.561 iscritti. Fondamentale in questo caso è la società Cagliari che ha permesso l’esordio di tutti e tre i giocatori. L’importanza di una squadra blasonata nella propria regione di nascita è un fattore che più volte ricorre nelle statistiche che abbiamo ottenuto, segno di come i club puntino su giovani del territorio o del perimetro geografico adiacente alla città.

In Serie B invece è sempre una regione del sud a dominare il rapporto percentuale: 0,244% per la Puglia con 12 esordienti – annata migliore del nostro report – su 49.098 tesserati. Di rilievo anche in questo caso la partecipazione alla seconda serie di squadre come Lecce e Gallipoli. Se invece prendiamo la somma dei giocatori esordienti tra A (2) e B (18) e lo dividiamo per i tesserati (80.574), a dominare la scena è la Campania con lo 0,0248%, grazie anche alla partecipazione in B della Salernitana.

Per esempio, in Serie B nella stagione 2010/2011 svetta la Toscana, con lo 0,0185% su 81.148 tesserati che diventa 0,0234% se ai 15 esordienti in B (un terzo nell’Empoli) si aggiungono i quattro in Serie A. Stessa sorte nella stagione successiva, la 2011/2012, quando a dominare è la regione Umbria con otto debutti in B su 23.592 tesserati, lo 0,0339%. Da evidenziare che ci fosse il Gubbio, società che ha fatto debuttare tre giocatori.

L’importanza di un club regionale in A o B lo vediamo anche nella stagione 2012/2013, questa volta in Serie A, dove è primo in percentuale l’Abruzzo con tre esordi su 31.781 tesserati, lo 0,0094, tutti nel Pescara. In B invece, nell’annata 2013/2014, domina la Sicilia con 13 giocatori esordienti (ben nove del Trapani) su 54.189 iscritti, lo 0,240%, che raggiunge la cifra di 0,295% sommando i tre debuttanti in Serie A.

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Anche nella stagione 2014/2015 l’importanza regionale di Cesena, Sassuolo, Parma e Bologna è fondamentale per l’Emilia-Romagna, con sette debuttanti su 74.808 giocatori tesserati, lo 0,0094%. Uguale in B, dove la Liguria, nonostante soli 27.788 giocatori tesserati raggiunge la percentuale dello 0,0180 grazie a cinque esordienti, di cui uno nell’Entella e uno nello Spezia. Sempre in B, ma nella stagione 2015/2016, domina la Toscana con ben 14 giocatori al debutto su 82.499 tesserati (lo 0,0170%). Quattro di loro hanno esordito nel Livorno. Questa, come poi vedremo, è la miglior annata, delle 10 prese in considerazione, per la regione Marche. Rimanendo in B, nella stagione 2016/2017, il primato è del Lazio con 18 debuttanti (un terzo nel Latina) su 95.442 iscritti, lo 0,0189%, che diventa 0,220% sommando in tre giocatori esordienti in Serie A.

Ma ci sono state anche stagioni che non hanno seguito la logica dell’influenza regionale, con società professionistiche che facilitano il debutto di giovani del territorio. Per esempio, nella stagione 2012/2013, in Serie B il Lazio con 17 esordienti ha la percentuale più alta, dello 0,0178% su 95.250 tesserati. Ma nessuno di loro in una squadra laziale.  Uguale nella stagione 2014/2015, dove il primato della somma di debuttanti tra A e B spetta alla Campania che raggiunge 15 giocatori (4+11) su 75.428 giocatori iscritti, ovvero lo 0,0199%, di cui uno solo in una squadra campana, l’Avellino.

La mancanza dell’influenza regionale la ritroviamo sempre in Campania, nella stagione 2017/2018, dove in Serie B dei 14 esordienti su 62.868 tesserati, lo 0,022%, solo due provenivano da un club campano, la Salernitana. Nella stagione 2018/2019 invece, non ci sono i dati Figc sui tesserati, quindi l’analisi è solo sui giocatori che hanno esordito.

La situazione nelle Marche

Mare, colline e Appennino. Ma anche calcio, tanto calcio. Queste sono le Marche, terra che nelle ultime dieci stagioni ha visto nascere e crescere nei settori giovanili 32 giocatori che poi hanno esordito in Serie A e Serie B. Basti dire che tra i più antichi club d’Italia figurano Ascoli e Vis Pesaro, nati entrambi nel 1898. C’erano già il Genoa, il Torino e la Juventus. Ma società come Milan, Lazio, Roma e Inter arriveranno dopo il 1898, facendo poi la storia del calcio della penisola.

Tra fine millennio e inizio 2000 la regione Marche ha visto scendere in campo nei club italiani più importanti e poi in nazionale, uomini e giocatori dello spessore di Roberto Mancini, Luca Marchegiani, Massimo Ambrosini e Giacomo Bonaventura. Ma nelle ultime dieci stagioni ad avercela fatta sono anche profili dal calibro di Mattia Destro, Riccardo Orsolini, Stefano Sensi e Filippo Romagna. Tutti partiti dal campetto di provincia, quel rettangolo di gioco fatto di terra, righe storte e bandierine rotte. Poi la chiamata nei settori giovanili più importanti della regione e infine l’esordio nella propria terra o il viaggio verso città lontane. Ma l’esordio di un marchigiano in Serie A manca dalla stagione 2014/2015. L’ultimo ad esserci riuscito sei anni fa, in maglia Milan, è Gian Filippo Felicioli.

Marche: calano le società iscritte

Nella regione, secondo l’ultimo report della Figc, nella stagione 2017/2018 erano iscritte 561 società, il dato più negativo delle ultime nove stagioni prese in esame. Un trend che non si arresta dalla stagione 2009/2010, la prima nelle nostre considerazioni. In quell’annata le società erano 697, ben 136 in più dal 2018. Un calo progressivo che ha raggiunto il picco più alto tra le stagioni 2015-2016 e 2016-2017, quando da 599 società iscritte si è passati a 571 (28 in meno).

L’importanza di un progetto per i settori giovanili. Qui alla Vis Pesaro (credit: Filippo Baioni)

Floriano Marziali, coordinatore federale regionale del settore giovanile delle Marche, spiega il perché di questi numeri: “Società di piccole dimensioni negli anni hanno dovuto fondersi, cercando una soluzione condivisa. Salendo di filiera, dalla categoria giovanile piccoli amici agli allievi, servono più giocatori per disputare le partite. Poi a livello nazionale, in tutti gli sport, sta crescendo il problema dell’abbandono giovanile. Il calcio è l’attività meno colpita, ma la fascia dove avviene maggiormente è tra esordienti e allievi, tra i 15 e i 16 anni. Purtroppo stiamo riscontrando che questa età media, oggi, si sta ulteriormente abbassando”.

Un problema strettamente correlato, anche se più altalenante e non con un trend netto come per le società, con il numero di giocatori tesserati nelle società marchigiane. Se nell’annata 2010/2011 la regione era al top nelle ultime nove stagioni con 46.572 giocatori, sei stagioni dopo, nella 2016/2017, i tesserati sono calati di oltre 4000, raggiungendo quota 42.095. Nonostante questo, le Marche rimangono la decima regione d’Italia per giocatori tesserati, lasciandosi alle spalle Sardegna (34.032), Liguria (28.204) e Friuli-Venezia Giulia (27.168).

“Influisce il calo delle nascite”, spiega Marziali. Partendo dal 2018, nell’arco degli ultimi dieci anni, secondo i dati Istat, le nascite sono diminuite di 136.912 unità, quasi un quarto (il 24% in meno) rispetto al 2008. La forte contrazione dei primi figli interessa tutte le aree del Paese, con un picco negativo di oltre il 30% in nove regioni, incluse le Marche con il -34,4% (peggio ha fatto solo l’Umbria -35,9%). Ipotizzando, il calo dei giocatori potrebbe anche quindi aumentare nelle prossime stagioni.

Secondo Alberto Zaffini, delegato dell’assemblea elettiva della Figc nazionale, i servizi possono incidere indirettamente: “Non sono migliorati come richiesto dai genitori: il trasporto con il pulmino, le casacche, i palloni. Piccole cose che però fanno la differenza. E in questa situazione il costo dei tesseramenti è aumentato, arrivando anche a toccare i 300 euro annuali”.

Parlando di classifica totale, la regione Marche, nelle dieci stagioni prese in considerazione, dal 2009/2010 al 2018/2019, è tredicesima su 19 (Piemonte e Valle D’Aosta sono conteggiate insieme) per esordi in Serie A e B. Infatti, sono 32 i giocatori ad aver esordito: 28 in Serie B e 4 in Serie A. Nove nati nella provincia di Pesaro Urbino, così come in quella di Ascoli Piceno, cinque a Macerata e Fermo, quattro in quella di Ancona.

L’ultimo giocatore ad esserci riuscito è Gian Filippo Felicioli, terzino sinistro classe ’97, nato a San Severino Marche. Dopo i primi passi nella scuola calcio della Folgore Castelraimondo, il giovane è passato prima al Camerino e poi alla Maceratese. Infine, il grande salto verso un settore giovanile nazionale: il Milan. In rossonero l’esordio. Oggi gioca nel Venezia.

Gli esordienti marchigiani in A e B

Prima di lui ci sono stati Francesco Urso, classe ’94 di Fano, Mattia Destro, nato ad Ascoli Piceno e giocatore di spicco del territorio marchigiano, e Alessandro Sbaffo, di Loreto, provincia di Ancona. Urso iniziò la sua carriera con il Marotta per poi passare nel blasonato, ai tempi, settore giovanile del Cesena. Lì l’esordio in Serie A: il 12 maggio del 2012 gioca un minuto contro l’Udinese. Non calcherà più il palcoscenico del calcio che conta. Nel suo curriculum tanta Serie C, con anche due stagioni in B al Vicenza.

Situazione simile, con qualche anno in più nella seconda serie, per Alessandro Sbaffo, classe ’90, cresciuto nel settore giovanile del Porto Recanati ma esordiente in Serie A con il Chievo. Per lui, come per Urso, la A è stata solo un assaggio. Ha disputato però diverse stagioni in B per poi passare alla Serie C, dove attualmente gioca.

Chi invece in Serie A ci ha debuttato per rimanerci è Mattia Destro. Calcio Lama, Ascoli e poi il grande salto verso Milano, sponda Inter. Tanti gol e trofei, ma la prima volta nella massima serie arriva con il Genoa, nella stagione 2010/2011. Esordisce a 19 anni e dopo sei minuti segna contro il Chievo. Un predestinato con il fiuto del gol che poi lo porterà a vestire le maglie di Siena, Roma, Milan e Bologna.

Clicca qui per vedere la mappa di provenienza dei 32 marchigiani esordienti 

Città di provenienza marchigiani esordienti in A e B

In Serie B, nelle dieci stagioni prese in esame, solo nella 2013/2014 non ci sono marchigiani esordienti. Ben sei giocatori invece hanno disputato almeno una partita nella stagione 2015/2016. Un’annata significativa per le Marche anche a livello percentuale: 0,0140 dice la statistica del rapporto tra giocatori marchigiani esordienti (6) e tesserati nei settori giovanili della regione (42.765). In base al rapporto percentuale hanno fatto meglio solo Campania (11 su 69.337) e Toscana (15 su 82.499). Se il dato viene invece rapportato a quanti italiani hanno esordito in Serie B, cioè 76, l’influenza della regione Marche è del 7,9%.

Tra i debuttanti anche Stefano Sensi, classe ’95 nato a Urbino e cresciuto nell’Urbania, e Riccardo Orsolini, ’97 di Ascoli Piceno. Ora entrambi sono nel giro della nazionale italiana. Sensi arrivò nel calcio professionistico grazie al Cesena, per poi passare al San Marino in Serie C, ritornare al Cesena, giocarsi da centrocampista la Serie A con il Sassuolo e approdare all’Inter l’estate scorsa. Orsolini invece è arrivato in Serie B per merito della squadra della sua città, l’Ascoli. Dopo aver dimostrato il suo valore da attaccante, l’Atalanta ha deciso di puntare su di lui sul mercato ma non sul campo. Ecco quindi l’approdo al Bologna.

Nelle stagioni precedenti alla super annata 2015/2016 hanno lasciato il segno nel calcio che conta anche Lorenzo Andrenacci, portiere classe ’95 di Fermo. Dopo i settori giovanili con le maglie di Sangiustese e Monturanese, Andrenacci è passato al Milan. Non arriva però l’esordio con i rossoneri. Il Brescia ci crede, così il portiere arrivato a giocarsi sia la Serie B, nella stagione 2014/2015, che la Serie A, nell’annata 2019/2020.

Un altro giocatore di spicco, oggi in Serie A, è Filippo Romagna, nato nel 1997 a Fano. Dopo la scuola calcio al Fanella è approdato al Rimini per poi spiccare il volo alla Juventus. La B l’ha assaggiata nel 2016/2017 in maglia Novara, per poi conquistarsi un ruolo da titolare al centro della difesa nelle stagioni successive con Brescia, Cagliari e Sassuolo, questi ultimi due club in Serie A.

Come abbiamo visto dalla provenienza dei giocatori marchigiani esordienti in Serie A e B, la differenza la fa il settore giovanile dove il tesserato è cresciuto, spiega Marziali: “L’Ascoli è la società più importante. Anche le realtà in Serie C – Vis Pesaro, Fano, Fermana, Sambenedettese – cercano di mettere in pratica al meglio i pochi budget a disposizione. Gli investimenti dovrebbe essere più adeguati, in linea al progetto che si ha mente. Stiamo parlando dei giovani, bisogna avere un senso di responsabilità verso di loro, non solo calcisticamente, ma anche per crescerli come uomini”.

Bambini del settore giovanile della Vis Pesaro (credit: Filippo Baioni)

La mancanza di una programmazione a lungo termine, secondo Marziali, è un altro tema ricorrente nei settori giovanili italiani. “Cambiano troppo spesso i referenti. Invece, il progetto dovrebbe essere a lungo termine, chiunque sia il responsabile in quel momento”, spiega Marziali, citando gli esempi di settori giovanili come Atalanta ed Empoli, “società che hanno sempre lavorato sul settore giovanile, con una filosofia e una tradizione consolidata nel tempo”. Club di Serie A e B lavorano oltre il territorio regionale, facendo una selezione nazionale grazie alle società affiliate, con “messe a prova, raduni e osservatori fedeli nel territorio”, racconta Marziali.

Parlando di progetti a livello nazionale, Marziali, coinvolto da oltre vent’anni nel settore giovanile scolastico federale, spiega: “La formazione dovrebbe essere comune in tutta Italia. Il ragionamento in passato era molto di conto proprio, a macchia di leopardo. Oggi invece, ci sono 50 centri federali territoriali”, che, come si legge sul sito web, cercano di fornire “un indirizzo formativo ed educativo univoco e coordinato”. Le Marche ne hanno due, uno a Recanati e l’altro a Urbino.

‘Cantera’ e ‘Academy’: concetti fondamentali all’estero

L’Italia non è messa così male però in Europa, considerando i top 5 campionati e le loro seconde divisioni nell’ultimo decennio. In questa speciale classifica siamo al terzo posto con 1479 esordi complessivi, preceduti dalla Francia (1693) e dalla Spagna (1622) e davanti alla Germania (1365) e all’Inghilterra (1249). L’Italia, però, è ultima per “coraggio”. I club del nostro paese infatti non se la sentono di lanciare i ragazzi direttamente in Serie A, ma li fanno passare prima dalla B, o comunque ce li spediscono dopo una manciata di minuti nel massimo campionato. Infatti solo il 19,95% dei casi debutta direttamente in Serie A, dato molto lontano dalla Bundesliga tedesca (39,41%). E di questa percentuale solo il 64,07% ha il passaporto italiano, dato che ci vede all’ultimo posto di questa classifica con la Spagna che arriva al 90,79% di “indigeni” e la Germania al 79,18%.

“Basta vedere il Borussia Dortmund di questo 2020 – commenta guardando i dati Pietro Nicolodi, telecronista del campionato tedesco per Sky Sport – finiscono le partite con un tridente formato da Sancho, Haaland e Reyna (rispettivamente 20, 19 e 17 anni, ndr). Loro hanno più voglia di rischiare con i ragazzi, oltre a ottimi scout che sanno individuare il talento”. Nonostante siano stranieri Jadon Sancho (inglese) e Giovanni Reyna (statunitense) il Borussia è andato a pescarli da bambini e li ha accuditi fino a farli sbocciare, mentre il norvegese Erling Haaland si è trasferito a Dortmund a gennaio, questo perché anche sul mercato vengono visionati prima di tutti i giovani, così come fa il Lipsia che acquista praticamente solo under 23. Negli ultimi dieci anni di Bundesliga sono 426 i tedeschi che hanno esordito, prova di quanto il calcio tedesco creda nei propri settori giovanili e sia disposto a rischiare subito le sue carte al tavolo dei grandi: “In Germania concedono una chance ai ragazzi fatti in casa, anche come premio, ma soprattutto danno la possibilità di sbagliare”, continua Nicolodi. Cosa testimoniata anche dai dati della Zweite Bundesliga, la loro Serie B, che conta solo 827 debutti (di cui 670 tedeschi però, l’81,02%).

Infatti la differenza con il nostro Paese sta alla radice, secondo il commentatore, è la mediaticità del sistema calcio che è sì importante, ma non maniacale come da noi. Nicolodi aggiunge: “Questo è forse il problema principale per gli esordienti. Come entrano in campo vengono bollati come fenomeni, ma poi dopo un paio di partite non sembrano più così buoni. Sicuramente anche colpa della stampa. Da noi la cosa che manca di più è la possibilità di errore: tre o quattro partite poi di nuovo in panchina. In Bundesliga danno continuità, servono almeno 10-15 match per capire se un ragazzo è valido”. Qui l’esempio più lampante per Nicolodi è Kai Havertz, centrocampista del Bayer Leverkusen che ha esordito in Bundesliga nel 2016/17 a 17 anni e in quella stagione ha raccolto 24 presenze. Ma non sempre va bene, o meglio come ci si aspettava: “Prendiamo Julian Draxler, ad esempio, è partito fortissimo allo Schalke e tutte le big d’Europa se lo contendevano, anche la Juventus, poi dopo un’ottima parentesi al Wolfsburg al Paris Saint Germain si è un po’ perso”.

Il segreto tedesco del saper valorizzare, parte ancora prima: dalla ricerca. Infatti gli scout delle squadre vanno a scoprire giocatori con enormi potenzialità anche in luoghi sconosciuti sulla mappa del calcio che conta: soprattutto Repubblica Ceca, Polonia e Svezia. Ma per Nicolodi l’esempio lampante è Edin Dzeko, scoperto dal Wolfsburg: “L’hanno preso che non era nessuno e ha crivellato di gol le difese di mezza Europa”. Nonostante ormai anche il mondo del pallone sia globalizzato, il segreto rimane nella mentalità teutonica: “Vai a spiegare a un tedesco che deve prima non prenderle, come succede in Italia, anziché attaccare… Certo anche loro ormai si sono evoluti a un calcio più europeo e non vanno più tutti in avanti, ma la Bundesliga rimane il campionato con più gol segnati”.

La Germania ha vinto l’Europeo Under 21 2017 in Polonia, praticamente con la squadra B, perché i più rinomati giovani di quella generazione erano in Russia a vincere la Confederations Cup, mentre è arrivata seconda a quelli italiani del 2019 perdendo in finale contro la Spagna. Proprio la Spagna ha numeri molto simili alla Germania nel calcio giovanile, alla quale si aggiunge anche la Francia, non a caso le ultime tre nazionali campioni del mondo.

La Liga e la Segunda Liga hanno si posizionano al secondo posto con 1622 esordi totali (rispettivamente 445 e 1177). I dati più alti si riscontrano nel periodo d’oro, quello del triplete Europeo-Mondiale-Europeo tra il 2008 e il 2012. Infatti, la stagione 2009/2010 è quella che ha registrato il maggior numero di esordi, 194, successiva. Ma il dato che impressiona è la forte matrice casalinga: il 90,79% degli esordienti in Liga è spagnolo e in Segunda il 92,01%. Questa è la spiegazione della forza delle squadre spagnole che hanno vinto 12 delle ultime 20 coppe europee, tra Champions ed Europa League: “Loro hanno bisogno di una forte impronta locale all’interno del grande calcio, si riconoscono molto in questo – commenta Nicolodi – i Real Madrid e Barcellona più forti della storia avevano tutti un’identità territoriale radicatissima”.

La Francia ha registrato il numero più alto del decennio con 1693 esordi totali, 576 in Ligue 1 e 1117 in Ligue 2. Sono i campionati più bilanciati per debutti nazionali e stranieri con il 65,28% di francesi nel massimo campionato – l’Italia è comunque sotto – e il 65,80% in quello inferiore, con la nostra Serie B sopra di una sola posizione con il 79,90%. C’è da dire però che la quasi totalità degli stranieri che debuttano hanno il doppio passaporto: francese e quello di un ex colonia di Parigi: “Motivo per cui ogni nazionale blues può scegliere in un parco giocatori pressoché infinito”, fa notare Nicolodi.

In Inghilterra invece si registra invece il numero più basso del decennio: 1249, con il peggior risultato sia in Premier League che in Championship, rispettivamente 273 e 1076. I loro ragazzi però giocano mediamente più tempo dopo l’esordio e si affermano nelle squadre di esordio. Basta pensare al Chelsea di questa stagione con Frank Lampard che ha lanciato la linea verde e utilizza tutti prodotti dell’Academy come Tammy Abrham (23 anni) e Callum Hudson-Odoi (19), e Mason Mount (21) che ha fatto tutta la trafila nei Blues, ma poi ha esordito con il Vitesse in Olanda. Oppure basti pensare a Marcus Rashford, ragazzo del 1997 del Manchester United che ha debuttato nel febbraio del 2016 con una doppietta sia in Europa League contro il Midtylland, esordio assoluto, che in Premier contro l’Arsenal, diventando protagonista del resto della stagione e guadagnandosi la chiamata a Euro 2016.

All’estero è fortissimo il concetto di “cantera” (in Spagna) o “academy” (in Inghilterra): “Il Manchester United ha chiuso il ciclo di Sir Alex Ferguson e ha faticato, ora sta provando a risorgere con il loro settore giovanile così come sta facendo il Chelsea – commenta Barone – a differenza del Manchester City che per vocazione della sua proprietà deve vincere tutto e subito e punta sulle grandi firme del calcio mondiale. Mentre il Liverpool è stato bravo a fare un mix delle due cose”.

Ma una volta analizzati, i dati rispecchiano la realtà che vediamo sui campi da gioco. Non è un caso se Germania, Spagna e Francia sono al top e Italia e Inghilterra arrancano. Il lavoro parte dal settore giovanile e alcune nazionali ci credono più di altre, come l’Italia. Ripartire dai giovani, imperativo fallito.

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