La guerra Russia-Ucraina pesa sull’economia marchigiana. Mobili e calzaturiero a rischio

di BEATRICE GRECO e ROSSELLA RAPPOCCIOLO

URBINO – “Ho paura di dover chiudere tutto”. Lo dice a mezza voce Ilasio Renzoni, proprietario di un calzaturificio a Porto Sant’Elpidio. Per lui il conflitto tra Ucraina e Russia significa lo stop quasi completo delle vendite. Perdite non economiche, ma umane per Giacomo Beccacece di Giessegi industria mobili, un mobilificio di Appignano, in provincia di Macerata. “Proprio quest’anno avevamo aperto un canale con l’Ucraina – dice – ma abbiamo dovuto congelarlo. Quello che ci preoccupa è che non abbiamo più notizie di due nostri collaboratori di Kiev”.

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Sono tanti e stretti i contatti che le aziende marchigiane hanno con i due Paesi, sia nel settore del mobile che in quello della moda. L’export della regione verso la Russia vale 273,8 milioni di euro, 86,4 milioni invece è il valore delle esportazioni verso l’Ucraina. “L’economia marchigiana – spiega in un comunicato stampa Paolo Silenzi, presidente del Cna Marche e titolare di Linea Italia Calzature – è molto più esposta alle ricadute delle sanzioni a Mosca rispetto al resto d’Italia, perché, ad esempio, il sistema moda pesa per il 40,5% di tutto l’export”. Un mercato che vale 111,9 milioni di euro, a cui si deve sommare il valore dei prodotti moda inviati in Ucraina, pari a 36,7 milioni.

Più a rischio il settore calzaturiero

Secondo Cna Marche, il 33% delle merci esportate verso la Russia da tutta la regione è costituto da calzature. A soffrire maggiormente è il distretto di Fermo, dove il 7% di tutto l’export locale è rivolto al Paese di Putin. “Il mercato russo e quello ucraino – osserva Alessandro Migliore, responsabile settore moda Cna Fermo e Macerata – rappresentano per il nostro distretto moda l’80% del fatturato”. Questo significa un blocco quasi totale di alcune realtà, soprattutto se si tratta di piccole aziende artigiane. Secondo la Cna il distretto calzaturiero è addirittura a rischio sopravvivenza.

Nel calzaturificio Renzoni lavorano cinque dipendenti e le scarpe vengono prodotte in cinque diverse fabbriche nella zona di Porto Sant’Elpidio. Gli affari con Russia e Ucraina coprono quasi tutta la produzione. “Lavoro per il 50% con la Russia e per il 10-15% con l’Ucraina – spiega il proprietario al Ducato -. Ora è un macello. Le spedizioni erano tutte pronte e ora mi ritrovo con diecimila paia di scarpe ferme in magazzino. Significa quasi un milione di euro di merce che rimane bloccata qui”. Per Renzoni, che il 27 marzo sarebbe dovuto andare a Mosca per una fiera, non esiste un altro mercato che riesca a coprire questa perdita: “Questa guerra per noi è un grosso problema. Il rischio è dover chiudere tutto”.

“Siamo in una situazione di grande disagio, ma ci auguriamo di non dover chiudere”. A dirlo al Ducato è il responsabile di Nila&Nila, calzaturificio di Pesaro, che aggiunge: “Eravamo nella fase culminante delle spedizioni e il lavoro è bloccato in maniera totale”. Per l’azienda, composta da 16 dipendenti, il mercato con Russia, Ucraina e Kazakistan rappresenta l’85-90% del lavoro.

Danno umano, più che economico

Nonostante lo stop delle esportazioni, la preoccupazione è tutta rivolta verso chi sta affrontando la guerra. “Ricevo su Facebook messaggi drammatici. Mi commuovo nel leggerli” confessa il responsabile di Nila&Nila, mentre racconta dell’ultimo messaggio ricevuto da un cliente ucraino che diceva “Vi prego, fate qualcosa anche voi italiani. Sono sotto terra da giorni insieme con i miei bambini. Non abbiamo da mangiare”.

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Seppur il rischio della chiusura lo spaventi, anche il pensiero di Renzoni è rivolto ai suoi clienti. “Sono in costante contatto con alcuni di loro che si trovano a Kiev o a Kharkiv – dice – . Passano le loro giornate nei bunker. Ogni tanto escono per andare a controllare i loro negozi e la loro paura è che li colpisca una bomba mentre sono fuori. So che anche i miei clienti russi sono in grande difficoltà. Molti sono contrari a questo conflitto. Quattro di loro mi hanno chiesto di ritirare dalle loro carte di credito tutto quello che avevano. La loro paura è di non riuscire a saldare, così hanno preferito pagarmi senza neanche ricevere la merce”.

Il settore del mobile tra crisi e resistenza

Per Mirgroup, azienda di import-export nel mercato del mobile con sede a Gallo di Petriano, in provincia di Pesaro e Urbino, il conflitto tra Russia e Ucraina ha un peso importante. “Abbiamo uffici sia a Kiev che a Mosca – spiega l’amministratore Fabio Filippini – l’85-90% del nostro fatturato si basa sull’esportazione in questi due Paesi. In questo momento stiamo riscontrando delle gravi difficoltà dovute ai pagamenti perché in Ucraina non funzionano più le banche e in Russia sono bloccate verso l’Europa a causa delle sanzioni”. Una situazione che li costringe a richiedere il blocco della produzione delle ditte per le quali esportano. “Rappresentiamo aziende sparse in tutta Italia con una grossa fetta nella provincia di Pesaro – continua Filippini – quindi la perdita è notevole”. E non solo in termini economici: “I due popoli sono da sempre amici, almeno secondo la nostra esperienza, e questa guerra sta creando una netta divisione. Ce ne rendiamo conto anche solo dalle testimonianze del nostro personale”.

“Da due anni abbiamo rapporti con Kiev” dice al Ducato Giacomo Beccacece di Giessegi industria mobili. Quest’anno l’apertura di un canale commerciale con l’Ucraina, subito congelato. “Ma per noi le perdite non sono economiche – afferma Beccacece – riguardano l’aspetto umano. Abbiamo perso le tracce di due nostri collaboratori che lavorano a Kiev. Un altro, Roman, si fa sentire ogni tanto per dirci che sta bene. Ma ci manda foto drammatiche: la situazione è ben peggiore di quella che si vede in televisione”.

Anche per Lorena Fulgini, co-fondatrice di Arredoclassic, mobilificio di Montecchio di Vallefoglia, in provincia di Pesaro e Urbino, la preoccupazione non è solo economica. “La Russia è un mercato molto importante, costituisce il 20% del nostro fatturato – spiega al Ducato – ma al momento non abbiamo problemi. Penso di essere tra le poche eccezioni e so che un cambio di direzione potrebbe arrivare già da domani”. Per Arredoclassic, le maggiori difficoltà riscontrate a livello di business sono legate all’aumento delle materie prime, ma si tratta di un trend già in atto da almeno un anno, precisa Fulgini. “C’è molta tensione e apprensione per i nostri clienti – ci tiene a sottolineare la co-fondatrice – un nostro importatore di Kiev si è rifugiato nel suo garage, ci racconta che le sirene suonano di continuo. Ha paura e non sa più come procurarsi da mangiare. In Russia invece sembra esserci ancora una sorta di normalità. Ma il problema più serio è la svalutazione del rublo: chi acquista potrebbe ritrovarsi a pagare più del doppio di quello pattuito”.

“Più tutele”: la richiesta di Cna Marche

“Bisogna sostenere le aziende che sono in stallo – dichiara Silenzi al Ducato – si deve facilitare l’accesso al credito e attuare politiche attive che permettano di diversificare i processi. Bisogna puntare su altri mercati di vendita, cioè fare investimenti per riqualificare il pacchetto clienti”. In un comunicato stampa il presidente Cna Marche invita a sostenere, con ristori e copertura dei costi, la partecipazione delle aziende ad altre manifestazioni fieristiche in Europa e nel mondo. Altrimenti il rischio è “il default di tutta la filiera”.

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